¡La traducción se ha muerto, viva la traducción!
José Ortega y Gasset
Eva ci guarda dritto negli occhi e sorride, sicura della sua nudità e invitante, mentre regge in mano il frutto proibito. Alle sue spalle il tradizionale serpente avvolge l’albero della conoscenza. Sembra un’immagine familiare, nota. Ma, a ben guardare, qualcosa non torna: il frutto fra le sue mani è un fico[1]. E la canonica mela? Frutto di una traduzione sbagliata, ci suggerisce Romolo Giovanni Capuano nel suo ultimo libro 111 errori di traduzione che hanno cambiato il mondo, edito da Stampa Alternativa / Nuovi equilibri.
Inanellando episodi curiosi e spesso accidentali che attraverso la traduzione hanno avuto un grande influsso sulla formazione dell’immaginario collettivo e della tradizione culturale e iconografica europea, Capuano propone al lettore un esercizio intellettuale di dubbio. Si tratta di un dubbio che non risparmia niente e nessuno e viene esercitato anche su certezze apparentemente incrollabili, veri e propri assiomi della storia occidentale o della religione cattolica: come la verginità di Maria o l’esistenza della peste nera.
Quello di Capuano è un libro gustoso non solo per gli “addetti ai lavori”, ma anzi divulgativo nel senso nobile del termine e caratterizzato da una prosa scorrevole e ironica. Strutturato in brevi capitoletti di una o due pagine e corredato da una bibliografia completa, 111 errori di traduzione che hanno cambiato il mondo racconta il farsi e il disfarsi della storia, seguendo il file rouge dell’importanza che hanno avuto nella vita della gente certe traduzioni date per certe e assodate ma tecnicamente inesatte, per capriccio del caso, per distrazione o per precisa volontà di demistificare il senso del testo originale.
Perché, se è vero che il senso dell’immagine evangelica non cambia di molto se al proverbiale cammello che tenta di passare per la cruna di un ago sostituiamo una più sensata (soprattutto in un contesto di pescatori, quali erano alcuni degli apostoli) gomena, bisogna anche considerare che far nascere Eva non da una sola costola di Adamo, ma dalla metà della sua carne, apre orizzonti nuovi, e non solo in un’ottica femminista, ma anche in una prospettiva genetica o filosofica.

Nella sua antologia, Capuano propone errori di traduzione dagli esiti buffi, quali la la nascita di animali leggendari come l’unicorno, ma anche seri, per esempio alcuni casi diplomatici odierni e anche quello tragico che portò allo sgancio delle bombe di Hiroshima e Nagasaki. Capuano finisce così per riscrivere una storia in cui Gesù non veniva da Nazareth, Giuseppe non era un falegname, la sindone era un vestito, la piazza Rossa di Mosca e il mar Rosso si rivelano di tutt’altro colore.
Chiudendo il libro, al lettore resta la sensazione che la traduzione sia un’arma potente di diffusione di idee, molto più di quanto siamo portati a credere normalmente, ma anche una certa sfiducia nell’operato di chi traduce: se persino la stessa parola italiana “tradurre” è figlia di un errore di traduzione[2], quanto possiamo fidarci dei testi che ci consegnano i traduttori?
Si giunge qui al paradosso che da secoli tormenta ogni traduttore: se con traduzione si intende un’operazione di travaso di senso da una lingua a un’altra in cui nulla vada perduto, allora tradurre è senza dubbio impossibile; eppure da sempre l’uomo traduce e sempre tradurrà. Perché, come sintetizza magnificamente Ervino Pocar, “tradurre non si può, è vero, ma si deve“.
Romolo Giovanni Capuano
111 errori di traduzione che hanno cambiato il mondo
Stampa Alternativa / Nuovi Equilibri, Viterbo, 2013
232 pagine, € 15
Serena Avezza
[1] In realtà, nel dipinto originale di Lucas Cranach il Vecchio, Eva tiene in mano una mela, come da tradizione. Né nel quarto di copertina, né altrove all’interno del libro di Capuano viene citata la fonte dell’immagine usata in copertina, ma è chiaro che si tratta di un ingegnoso fotoritocco che sintetizza in un’icona il contenuto del libro.
[2] Traducendo Le notti antiche di Aulo Gellio, l’umanista Leonardo Bruni fraintese “traductum”, che in latino voleva dire “introdotto”, e lo rese con “tradotto”: dal suo errore derivano l’odierno tradurre italiano, ma anche lo spagnolo traducir, il francese traduir e il portoghese traduzir.