Ulster: l’ultima guerra di indipendenza

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Se i movimenti di indipendenza scozzesi, gallesi e cornici sono sempre stati piuttosto pacifici nel perseguire il loro obbiettivo di indipendenza da Londra, il movimento di indipendenza dell’Irlanda del Nord ha preferito sempre la lotta armata piuttosto che la politica.
L’Irlanda del Nord, infatti, dagli anni ’70 al 1998 è stato un vero e proprio teatro di guerra, con centinaia di morti da una parte e dall’altra.
Le ragioni di questa carneficina non sono chiare a tutti. A torto o a ragione, comunque, è da alcuni considerata ancora oggi l’ultima guerra di religione del Vecchio Continente – anche se l’odio tra cattolici irlandesi e protestanti inglesi affonda le sue radici non nella teologia, ma nella storia.

Tralasciando Guglielmo d’Orange (che viene commemorato dai protestanti ogni anno ad agosto, facendo arrabbiare non poco i cattolici) e Cromwell, i problemi in questo strano posto, l’Ulster (l’Irlanda del Nord), iniziano nel momento in cui l’Irlanda diventa indipendente dopo una guerra durata due anni contro gli inglesi, che furono costretti a riconoscere l’indipendenza all’Irlanda (che pochi anni dopo sarebbe uscita anche dal Commonwealth, diventando una repubblica).
Il trattato del 1921 che riconobbe l’indipendenza dell’Irish Free State, prevedeva 26 contee su 32 indipendenti, quelle a maggioranza cattolica. Le altre 6 contee, a maggioranza protestante (52% – 48%), dovuta alla forte immigrazione avvenuta nei secoli principalmente dalla Scozia, preferirono invece la Union Jack al posto del tricolore irlandese.
E ancora adesso – non dimentichiamolo – la maggioranza della popolazione dell’Irlanda del Nord è protestante, di origine scozzese e fortemente unionista.

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E proprio per la paura di essere uniti a queste 26 contee gli unionisti iniziarono dagli anni ’20 una politica di esclusione della popolazione cattolica, anche grazie a una politica di corruzione da parte degli unionisti.
I tentativi di cambiare questa situazione furono fatti da vari politici unionisti moderati, ma ogni sforzo fu reso vano dagli unionisti puri e duri, guidati da Ian Paisley (che diventerà primo ministro dell’Irlanda del Nord tra il 2007 e il 2008).
Reverendo protestante, estremista e fondatore del DUP (Partito Democratico Unionista), Paisley è sempre stato caratterizzato da un fortissimo astio per i cattolici.
Altri unionisti iniziarono ad attaccare i cattolici in altri modi, passando dalla politica alle armi, tanto che Londra fu costretta a mandare i soldati per proteggere i cattolici dai nazionalisti.

Negli anni nascono due movimenti cattolici e irlandesi distinti: un movimento per chiedere maggiori diritti civili, pacifista e guidato da John Hume – il partito Socialdemocratico e Laburista, indipendentista ma moderato; e un movimento armato, l’IRA, di ispirazione vagamente marxista, che perseguiva l’unificazione dell’Irlanda del Nord con l’Irlanda attraverso le armi.
Nei primi anni ’70 il governo nordirlandese, di maggioranza unionista, emanò una legge speciale che prevedeva l’internamento di una persona sospettata a tempo indeterminato senza alcun processo, ma solo con l’approvazione del Ministro degli Interni dell’Irlanda del Nord.

bloody-sunday-massacreDomenica 30 gennaio 1972 la Civil Rights Association organizzò una manifestazione a Derry (o Londonderry, per gli unionisti) per protestare contro questa legge. Il primo battaglione del paracadutisti dell’esercito britannico aprì il fuoco contro questa manifestazione pacifica, uccidendo 13 persone disarmate.
Questo evento, ricordato anche dal cantante irlandese Bono Vox, venne chiamato “Bloody Sunday” (nel 2010 il governo Cameron chiese ufficialmente scusa per quello che successe quel giorno, come del resto aveva anche fatto per la tragedia di Hillsborough).

Fu una scintilla che fece divampare un gigantesco incendio. I nazionalisti di tutta l’Irlanda del Nord si rivoltarono contro il governo britannico e sempre più persone aderirono all’IRA.
Tra il 1972 e il 1998 centinaia di civili, poliziotti, soldati morirono, portando l’Irlanda del Nord sull’orlo della guerra civile.
Tra il 1972 e il 1974 furono centinaia i morti, coinvolti in quella spirale di violenza; anche quando l’IRA proclamò una tregua, gli unionisti risposero uccidendo decine di cattolici.
La tregua cessò immediatamente, con un cambio nella dirigenza dell’IRA: al vertice infatti salirono Gerry Adams (attuale leader dello Sinn Fein) e Martin McGuinness (attuale vice primo ministro nordirlandese).

Il 27 agosto 1979 l’IRA uccise il cugino della Regina, Lord Louis Mountbatten, facendo saltare in aria la barca in cui era con altre 3 persone, anche loro rimaste uccise; altri attentati uccisero nello stesso giorno 18 soldati inglesi, tutti del primo battaglione paracadutisti.
Su un muro di West Belfast (la parte cattolica di Belfast) comparve la scritta “13 gone and not forgotten, we got 18 and Mountbatten”.
Le tensioni continuano nel 1981, con una protesta nel famigerato carcere di Long Kesh (costruito nel 1976 per ospitare i combattenti nordirlandesi): i detenuti chiedevano al primo ministro Margaret Thatcher di riottenere lo status di “prigionieri politici”.
Brutto cliente, la Iron Lady di Grantham: i prigionieri intrapresero uno sciopero della fame, che culminò il 5 maggio 1981 con la morte di Bobby Sands, il capo di questa protesta, dopo 66 giorni di astinenza dal cibo. 
Ne parlò tutto il mondo: Bobby Sands era stato da poco eletto nel parlamento britannico come deputato.

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Negli anni ’80 la guerra si acuì: da una parte l’IRA era sostenuta dal colonnello Gheddafi che tramite l’Eire faceva arrivare navi cariche di esplosivi e armi; dall’altra la Gran Bretagna spedì in Irlanda del Nord i famigerati SAS, le forze speciali già determinanti nelle Falkland.
Nel 1984 l’IRA fece esplodere un’autobomba nel Grand Hotel Brighton, che quasi uccise Margaret Thatcher.

Ma negli anni ’90 sale al governo britannico una nuova classe politica: nel 1997 è il turno dei laburisti di Tony Blair, scozzese di origini cattoliche, il quale cerca e ottiene una soluzione pacifica al problema nordirlandese.
Con questo spirito fu siglato l’Accordo del Venerdì Santo (o Accordo di Belfast), che prevede in pratica la doppia cittadinanza (inglese e irlandese) per ogni cittadino nato in Irlanda del Nord e prevede una specie di doppia giurisdizione tra Irlanda e Gran Bretagna sull’Irlanda del Nord.

Eppure, sia da una parte che dall’altra alcuni pazzi (non c’è altro modo di definirli, dato che ormai non c’è più nulla per cui valga la pena lottare: gli accordi garantiscono a ogni cittadino uguali diritti e la possibilità di scegliere la cittadinanza che vuole) continuano la loro guerra santa, disconoscendo tali accordi.
Ma l’Ulster non è più la polveriera di trent’anni fa: a Belfast, accanto alla Union Jack, oggi sventolano il Tricolore Irlandese e la Bandiera Europea.

Alessandro Sabatino
@twitTagli

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