L’Unità d’Italia negli equilibri europei – 3) Da Villafranca all’unità nazionale.

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La pace di Villafranca, come si può ben immaginare, suscitò delusioni e proteste in tutto il movimento nazionale, dalle componenti moderate a quelle più radicali. Napoleone III di Francia e Francesco Giuseppe I d’Austria si erano accordati a discapito delle velleità italiane, tuttavia non tutto il male venne per nuocere. Vi fu un indubbio aspetto positivo in quella firma: si diffuse in tutti i regni della penisola una avversione viscerale verso la restaurazione dei sovrani (cacciati dai rispettivi possedimenti tra l’aprile e il giugno 1859).

Nonostante l’apparente sconfitta di Cavour e dei suoi piani, l’armistizio rappresentò per l’Impero asburgico un clamoroso tonfo. L’accordo tra Francesco Giuseppe e Napoleone III avrebbe potuto infatti trasformarsi in un’alleanza (magari in funzione antiprussiana), ma ciò avrebbe significato trasformare l’armistizio di Villafranca in una nuova restaurazione autoritaria.

Napoleone III e Francesco Giuseppe a VillafrancaIl Bonaparte non poteva permetterselo: dopo aver condotto una guerra a fianco dei Savoia in funzione antiaustriaca, la restaurazione dei legittimi sovrani avrebbe solo avvantaggiato gli Asburgo e screditato il prestigio napoleonico. 
Francesco Giuseppe, preoccupato per il contemporaneo allargarsi del potere della Prussia nella Confederazione germanica, sarà indotto a distogliere sempre più l’attenzione dall’Italia. In un tale teatro il movimento nazionale riuscì a muoversi con maggiore agilità.

Dal canto suo Cavour, superata la crisi di nervi durante e dopo l’armistizio, proseguiva nella sua azione. L’ex primo ministro stimolò i governi provvisori della penisola a resistere nella loro opposizione alle manovre della Restaurazione (da non confondere, mi raccomando, con la Restaurazione del Congresso di Vienna, avvenuto circa 50 anni prima e per risolvere altre faccende).
Allo stesso tempo, Cavour agiva in prima persona per il mantenimento dell’ordine e per evitare eventuali colpi di mano dell’aristocrazia dei vari staterelli preunitari. I governi dell’Italia centrale seguirono le disposizioni di Cavour, manifestando anche importanti tensioni annessionistiche. Vittorio Emanuele II accolse cautamente i voti d’annessione quali dichiarazioni di volontà del popolo, promettendo di mediare con le potenze europee per far sì che esse accettassero la situazione.

 

La cosa non fu semplice: fu necessaria la pace di Zurigo (10-11 novembre 1859), teoricamente una semplice ratifica di Villafranca, per muovere qualche passo in una direzione un pochino più favorevole ai destini italiani. Non si ottennero risultati definitivi, comunque: per evitare difficili trattative con Vienna, Napoleone delegò la questione dell’Italia centrale a un congresso europeo; l’unica questione su cui si trovò un accordo concreto fu la cessione della Lombardia al Regno di Sardegna. Gli accordi di Villafranca, che parevano tanto favorevoli agli austriaci, non venivano tradotta in fatti concreti. Ma l’Austria si era troppo indebolita e troppo isolata diplomaticamente per far rispettare le sue ragioni o per intraprendere una nuova guerra.

 

Napoleone III restava comunque preoccupato. La mossa del Bonaparte fu allora quella di far pubblicare (22 dicembre 1859) un opuscolo anonimo dal titolo Le Pape et le Congrès che risollevò la delicata questione della riduzione dello Stato pontificio e delle sue riforme interne. Le reazioni del papa, ma soprattutto della corte di Vienna, furono tali da bloccare i preparativi per il congresso.
L’Impero asburgico indeboliva ulteriormente la sua presenza in Italia, l’opinione pubblica e il movimento nazionale iniziarono a premere: in un contesto così favorevole, il re doveva richiamare al governo Cavour per intraprendere una politica annessionistica. Dopo lunghe trattative ed esitazioni, Vittorio Emanuele II «fece quello che ei stesso chiamò il massimo sacrifizio» richiamando il conte a capeggiare un nuovo governo (16 gennaio 1860).

 

Il contesto internazionale era ora largamente favorevole all’ allargamento del Regno di Sardegna sull’Italia centro-settentrionale:

 

  • la Gran Bretagna obbedì al principio di non-intervento sulla questione, non mancando però di mostrare simpatia per l’annessione;
  • Prussia e Russia si dissero a loro volta favorevoli essendo chiaro che il movimento nazionale si muovesse in autonomia rispetto a Napoleone III.

Il Regno d'Italia dopo i plebisciti annessionisti del giugno 1860Il ruolo di mediatore spettò ai britannici che proposero la rinuncia da parte di Francia e Impero asburgico ad ogni intervento negli affari interni italiani e di lasciare che i governi dell’Italia centrale si pronunciassero nuovamente sull’ordinamento con nuove votazioni. La corte di Vienna, politicamente isolata, non poté battere ciglio. Napoleone III, anche – seppur contrariato dalla scarsa influenza che avrebbe avuto sulla penisola: un eventuale tentativo annessionista avrebbe provocato una guerra europea con la Prussia in testa.

Cavour dunque si comportò come se la Francia avesse accettato i punti proposti dalla Gran Bretagna: furono indetti nuovi plebisciti a suffragio universale maschile che sancirono (11-12 marzo 1860) la vittoria degli annessionisti; in seguito (sempre tramite plebisciti) si ebbero anche le cessioni alla Francia di Nizza e Savoia. In meno di due anni l’azione politico-diplomatica del governo di Torino aveva portato alla nascita di un regno nell’Italia centro-settentrionale sotto la corona dei Savoia.

Solo quando Garibaldi e gli ambienti di sinistra iniziarono a progettare una spedizione annessionistica nel Mezzogiorno, Cavour iniziò a pensare seriamente al completamento del progetto di unificazione nazionale. La Spedizione dei Mille fu seguita passo passo da Cavour, preoccupato soprattutto che l’operato garibaldino non urtasse qualche tassello del domino internazionale.

Mappa della spedizione dei Mille e degli spostamenti dell'esercito sabaudo (1860)Dopo le proteste delle prime settimane successive alla partenza da Quarto (5-6 maggio 1860), il quadro europeo si definì con chiarezza:

  • la Russia e la Prussia, pur avversando l’iniziativa, rinunciarono a prendere provvedimenti diretti;
  • l’Impero asburgico, diplomaticamente isolato,poteva fare ben poco;
  • Francia e Gran Bretagna (pur tentando di trovare soluzioni di compromesso) non si opposero.
 

In un contesto internazionale nuovamente favorevole, Cavour decise un nuovo colpo di mano: ridare ruolo attivo alla monarchia con un’invasione di Marche e Umbria. Ciò avrebbe tra l’altro dissuaso Garibaldi dall’avanzare su Roma, evitando così lo scontro aperto con la Francia che tutelava dal 1848 lo Stato pontificio. Garibaldi, nonostante l’antipatia verso Cavour, si dimostrò fedele al Re obbedendo agli ordini di interrompere l’avanzata verso Roma.

 

L’unificazione della penisola (salvo il Veneto e ciò che restava dello Stato pontificio) era completa, e il Regno d’Italia fu ufficialmente proclamato il 17 marzo 1861. Il tutto anche grazie al pragmatismo dell’operato cavouriano e alle sue attente valutazioni sulla crucialità del contesto europeo.

 

doc. NEMO
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Bibliografia:


Derek Beales, Eugenio F. Biagini, Il Risorgimento e l’unificazione italiana, Il Mulino, Bologna, 2005.

 

Rosario Romeo, Vita di Cavour, Laterza, Roma-Bari, 2004.

 

Rosario Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III, (1854-1861), Laterza, Roma-Bari, 1984.

 

Stuart J. Woolf, La storia politica e sociale, in Storia d’Italia, vol. III, Dal primo Settecento all’Unità, Einaudi, Torino, 1973.

 

Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. IV, Dalla Rivoluzione nazionale all’Unità, Feltrinelli, Milano, 1972.

 

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