
La pace di Villafranca, come si può ben immaginare, suscitò delusioni e proteste in tutto il movimento nazionale, dalle componenti moderate a quelle più radicali. Napoleone III di Francia e Francesco Giuseppe I d’Austria si erano accordati a discapito delle velleità italiane, tuttavia non tutto il male venne per nuocere. Vi fu un indubbio aspetto positivo in quella firma: si diffuse in tutti i regni della penisola una avversione viscerale verso la restaurazione dei sovrani (cacciati dai rispettivi possedimenti tra l’aprile e il giugno 1859).
Nonostante l’apparente sconfitta di Cavour e dei suoi piani, l’armistizio rappresentò per l’Impero asburgico un clamoroso tonfo. L’accordo tra Francesco Giuseppe e Napoleone III avrebbe potuto infatti trasformarsi in un’alleanza (magari in funzione antiprussiana), ma ciò avrebbe significato trasformare l’armistizio di Villafranca in una nuova restaurazione autoritaria.
Il Bonaparte non poteva permetterselo: dopo aver condotto una guerra a fianco dei Savoia in funzione antiaustriaca, la restaurazione dei legittimi sovrani avrebbe solo avvantaggiato gli Asburgo e screditato il prestigio napoleonico.
Francesco Giuseppe, preoccupato per il contemporaneo allargarsi del potere della Prussia nella Confederazione germanica, sarà indotto a distogliere sempre più l’attenzione dall’Italia. In un tale teatro il movimento nazionale riuscì a muoversi con maggiore agilità.
Allo stesso tempo, Cavour agiva in prima persona per il mantenimento dell’ordine e per evitare eventuali colpi di mano dell’aristocrazia dei vari staterelli preunitari. I governi dell’Italia centrale seguirono le disposizioni di Cavour, manifestando anche importanti tensioni annessionistiche. Vittorio Emanuele II accolse cautamente i voti d’annessione quali dichiarazioni di volontà del popolo, promettendo di mediare con le potenze europee per far sì che esse accettassero la situazione.
L’Impero asburgico indeboliva ulteriormente la sua presenza in Italia, l’opinione pubblica e il movimento nazionale iniziarono a premere: in un contesto così favorevole, il re doveva richiamare al governo Cavour per intraprendere una politica annessionistica. Dopo lunghe trattative ed esitazioni, Vittorio Emanuele II «fece quello che ei stesso chiamò il massimo sacrifizio» richiamando il conte a capeggiare un nuovo governo (16 gennaio 1860).
- la Gran Bretagna obbedì al principio di non-intervento sulla questione, non mancando però di mostrare simpatia per l’annessione;
- Prussia e Russia si dissero a loro volta favorevoli essendo chiaro che il movimento nazionale si muovesse in autonomia rispetto a Napoleone III.
Il ruolo di mediatore spettò ai britannici che proposero la rinuncia da parte di Francia e Impero asburgico ad ogni intervento negli affari interni italiani e di lasciare che i governi dell’Italia centrale si pronunciassero nuovamente sull’ordinamento con nuove votazioni. La corte di Vienna, politicamente isolata, non poté battere ciglio. Napoleone III, anche – seppur contrariato dalla scarsa influenza che avrebbe avuto sulla penisola: un eventuale tentativo annessionista avrebbe provocato una guerra europea con la Prussia in testa.
Cavour dunque si comportò come se la Francia avesse accettato i punti proposti dalla Gran Bretagna: furono indetti nuovi plebisciti a suffragio universale maschile che sancirono (11-12 marzo 1860) la vittoria degli annessionisti; in seguito (sempre tramite plebisciti) si ebbero anche le cessioni alla Francia di Nizza e Savoia. In meno di due anni l’azione politico-diplomatica del governo di Torino aveva portato alla nascita di un regno nell’Italia centro-settentrionale sotto la corona dei Savoia.
Solo quando Garibaldi e gli ambienti di sinistra iniziarono a progettare una spedizione annessionistica nel Mezzogiorno, Cavour iniziò a pensare seriamente al completamento del progetto di unificazione nazionale. La Spedizione dei Mille fu seguita passo passo da Cavour, preoccupato soprattutto che l’operato garibaldino non urtasse qualche tassello del domino internazionale.
Dopo le proteste delle prime settimane successive alla partenza da Quarto (5-6 maggio 1860), il quadro europeo si definì con chiarezza:
- la Russia e la Prussia, pur avversando l’iniziativa, rinunciarono a prendere provvedimenti diretti;
- l’Impero asburgico, diplomaticamente isolato,poteva fare ben poco;
- Francia e Gran Bretagna (pur tentando di trovare soluzioni di compromesso) non si opposero.
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Derek Beales, Eugenio F. Biagini, Il Risorgimento e l’unificazione italiana, Il Mulino, Bologna, 2005.