Cronache di Nemesi: Capitolo 1 – Thule, finalmente!

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Cronache di Nemesi: Capitolo 1 – Thule, finalmente!

Thule e sue bianche mura risplendevano alla luce della Stella, e la sua immagine si rifletteva sul lago di Thule, un largo bacino di acqua dolce, trasparente come l’aria. Dalle mura della capitale partiva una strada che andava verso ovest, a Sangrilah, passando per i boschi di Kird, mentre ad est un piccolo sentiero si inerpicava sul monte Erebus, coperto in cima dalla neve, e arrivava alla cittadina di Iperborea, la terza città del pianeta, affacciata sul Grande Oceano. Lì le scogliere risplendevano alla Stella quasi fossero le bianche mura di Thule. Le tre lune quel giorno erano tutte e tre visibili nel cielo terso, Arktogaa, Meropide e Mu.

“Finalmente casa” pensò Nadir, dopo il lungo viaggio.

betterville“Comandante” disse il capitano di guardia al porto intergalattico, che si trovava poco fuori Thule, facendogli il saluto militare con il braccio teso al cielo. “Sono stato avvisato del suo arrivo. Se mi vuole seguire”. Nadir e gli altri quattro entrarono in un salone bianco, asettico e molto alto. Quattro nerboruti soldati dallo sguardo truce montavano la guardia, due alla porta d’entrata e due alla porta di uscita. L’umano, che si chiamava John, si era ripreso. Era stato curato dalla dottoressa di bordo che lo aveva sottoposto a diverse analisi . Era in tutto e per tutto uguale alla razza delle persone che vivevano su Thule. Eppure quella stella e quel pianeta non erano segnati su nessuna mappa. Era una zona relativamente vicina, molto più di altre zone che sono state conquistate dalla gente di Thule. “Perché?” si domandava Thule.

“Signore” disse un soldato che si era avvicinato al comandante Nadir. Era sovrappensiero e quindi era rimasto attardato nell’operazione di consegna delle armi. “Sa che deve consegnare le armi prima di entrare in città?”

“Sì. Mi scusi stavo pensando ad altro. Mi perdoni”

“Si figuri comandante” disse il soldato facendo un segno di riverenza al comandante. Era una leggenda vivente, alcuni militari che tramavano contro il regno di Thule gli avevano chiesto se li avesse sostenuti nel tentativo di rovesciare il Proconsole. Lui aveva risposto di no. Sia per amicizia con il Proconsole, sia per il giuramento di fedeltà. Si sfilò l’arma che teneva nella cintura dell’uniforme, e l’altra arma che teneva sempre negli stivali. La nave nel mentre veniva disarmata da altri soldati. Gli altri lo stavano aspettando. “Come è possibile che sia noi che loro non si fossero accorti della reciproca esistenza?”. Forse il Proconsole poteva fornirgli una qualche risposta. “Eppure sono vicini, molto vicini, appena un anno di viaggio”.

L’umano (così si chiamavano) guardava sbalordito le bianche mura, che da millenni proteggevano la città di Thule. Erano alte quasi 50 metri e nessuno era mai riuscito ad espugnarle nella storia, nessuno era riuscito a distruggerle, nonostante gli Zhor avrebbero potuto farlo. Ma la fierezza e la combattività del popolo di Thule riuscirono ad evitare questo scempio, portando i campi di battaglia lontani dalle città, lontani dalla gente di Thule. Generazioni di guerrieri e di scienziati avevano retto la città, in maniera virtuosa e onesta. Eppure a Thule non c’erano elezioni. Il Senato era composto da scienziati, artigiani e guerrieri, ma semplicemente nominato dal Proconsole. A capo di essi c’era proprio il Proconsole, il cui incarico durava fino alla morte di esso.

Una volta eletto dal Senato, dopo la morte del suo successore, scioglieva l’assemblea stessa e decideva il nuovo Senato. Le leggi, immutabili, parlavano chiaro. Cento senatori, che dovevano essere scelti dal Proconsole in base a meriti eccezionali, non in base ad amicizie o legami di sangue. La legge esplicitamente vietava i legami di sangue, non potevano esserci parenti fino al terzo grado dentro il Senato, né persone con le quali il Proconsole avesse avuto affari o altro genere di relazione. Era forse questa la ragione che aveva spinto il Proconsole attuale a non scegliere Nadir. A capo di tutto questo sistema c’erano i Saggi, 10 scienziati scelti dal Proconsole precedente prima della morte tramite testamento che avrebbero dovuto vegliare sul Senato e sul Proconsole stesso. Erano loro a validare ogni decisione, sia del Senato che del Proconsole, inclusa l’elezione stessa di entrambi gli organi. Potevano inoltre cambiare Proconsole, con voto favorevole dei 3/4 di essi. In ogni caso con la dipartita del Proconsole o con la sua cacciata, i Saggi dovevano essere rimossi dal loro incarico e dovevano essere nuovamente nominati dal Senato, che avrebbe dovuto scegliere nuovamente un Proconsole e avrebbe dovuto sciogliersi. Il sistema politico di Thule era abbastanza complicato, ma funzionava alla perfezione. Mai nessun problema si era verificato negli anni e nessuno aveva mai osato criticare le decisioni del Proconsole, del Senato o dei Saggi. Il Senato, infatti, aveva facoltà di promulgare o di cambiare le leggi, ma queste modifiche dovevano essere approvate sia dai Saggi che dal Proconsole. Il Proconsole stesso poteva proporre delle leggi ma potevano essere bocciate dal consiglio dei Saggi, mentre il Senato non aveva potere vincolante a meno che i 3/4 dell’assemblea non si fosse espresso contro. I Saggi invece avevano solo ruolo di controllo: non potevano proporre leggi, né sollecitarne, mentre potevano allontanare uno o più Senatore o il Proconsole stesso se ravvisava che non stesse facendo gli interessi del popolo, ma i suoi stessi interessi.

La vista che l’umano ebbe quando entrò dalle mura era sconvolgente, dopo la visione delle bianche mura che risplendevano alla luce di Stella: le mura infatti racchiudevano una immensa città, che si stendeva fino a dove arrivava lo sguardo, ovvero ad una distesa d’acqua che splendeva illuminata dai raggi di Stella: il lago di Thule. A perdita d’occhio si stagliavano delle casette dello stesso colore delle mura; erano alte sì o no 2 o 3 piani e avevano un giardino davanti a loro. Le strade non erano asfaltate, ma c’erano i sassi e le pietre. Non c’erano le automobili, solo delle piccole aeronavi che solcavano i cieli sopra la città, o dei mezzi elettrici che correvano lungo speciali linee che si spargevano per la città di Thule. In fondo, vicino al lago, due palazzi dorati, uno più piccolo, quasi non distinguibile dal resto delle case, se non per il colore di oro brillante e l’altro più grande; in mezzo ad essi una alta torre di guardia che si affacciava sulle acque cristalline del Lago di Thule.

La vita sembrava scorrere lenta in quella landa pacifica; le strade, tutte parallele o perpendicolari tra di loro erano piene di giovani che parlavano tra di loro, da bambini che giocavano con una palla costruita con degli stracci messi insieme, da donne che andavano in giro con vestiti di tanti colori, quasi a contrastare quel bianco e quel verde che dominavano la città di Thule.

“Prendiamo l’aerobus?” disse Jamila al capitano

“No, andiamo a piedi” rispose il comandante “voglio far fare al nostro ospite un giro della città”.

Man mano che si procedeva dentro la città, quella disposizione lineare delle case mostrava anche spazi come piazze e fontane, tutte però distribuite con rigore quasi matematico e senza spezzare la geometria di insieme della città di Thule. Passarono davanti alla casa del comandante. L’interno della casa era spartano, ma la casa si distingueva da quelle del vicinato per la presenza di una bandiera davanti alla casa che garriva al vento: era una bandiera a bande orizzontali colorate viola, gialle e rosse. Si era fermato per indicare ai suoi compagni di viaggio la sua casa.

Il terrestre era stato in silenzio durante tutto il cammino, quasi stesse pensando a qualcosa, o quasi come non avesse parole da dire. Fino a quel momento.

“Che bandiera è quella, comandante?” disse con accento incerto John, sforzandosi di parlare nella lingua di Thule.

“Come sai parlare nella nostra lingua?” disse meravigliato il comandante che lo guardava con un volto tra lo stupito e il terrorizzato.

“Perché la vostra lingua è molto simile ad una lingua che conosco bene, il Sanscrito”

É… la bandiera di Kird, una terra non molto lontana da qui dove le persone vivono sopra gli alberi, in contatto con la natura. Io sono nato lì, ma poi mi sono trasferito” disse con voce tremula il comandante.

TKUvFCome era possibile? Anche gli umani sapevano la loro lingua. Quel pianeta era troppo vicino a Thule per essere una coincidenza. Nadir affrettò il passo per arrivare subito dal Proconsole. Il Proconsole, o meglio Alshemali, quando non era ancora “il Proconsole”, era un uomo alto con gli occhiali per correggere un difetto della vista che lo affliggeva da quando era bambino. Era stato, prima di ricoprire quel ruolo, un brillante matematico all’Università di Thule. Molti pensavano che sarebbe entrato nel consiglio dei Saggi, ma a sorpresa fu nominato Proconsole. Durante la guerra dei cinque anni era solo uno dei tanti scienziati mandati nell’esercito per combattere gli Zhor e per studiare le strategie avversarie. Era stato assegnato ad una missione di ricognizione con una navetta, quando si trovò ad affrontarne due disarmato. Fortuna volle che un giovane soldato, Nadir, fosse nei paraggi e salvasse Alshemali da morte certa, distruggendo entrambe le navette. Da quel giorno i due erano diventati amici.

Nadir stava per salutare il Proconsole, quando egli lo abbracciò. Era da molto tempo che non si vedevano ed era un gesto alquanto insolito per un Proconsole lasciarsi andare ad una manifestazione del genere. Ma era un gesto spontaneo, di un amico, di un fratello.

Poi invitò i cinque a sedere intorno al tavolo nel quale si accomodò il Proconsole.

“Tu” indicando John “devi essere quello che chiamano il terrestre”

“Sì, lo sono”

“Bene, allora sai anche parlare la nostra lingua. Allora è tutto vero…” disse con un’espressione tra il terrorizzato e lo stordito.

“Quali teorie?” si intromise il comandante Nadir.

Il Proconsole si alzò dal tavolo. Sembrava più nervoso che mai, prese un grosso contenitore di acqua e lo mise sul tavolo, quindi andò verso la biblioteca. Sparì per pochi minuti quindi tornò con un polveroso volume foderato di rosso. Quando lo posò sul tavolo, una grande quantità di polvere si alzò nell’aria.

“Signori, quello che vi dirò non deve uscire da questa stanza”.

-continua-

Alessandro Sabatino

@twitTagli

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