Basta caccia alle streghe: tornare alla normalità significa accettare e gestire il rischio

Mi sono ripromesso di non commentare più niente, specialmente i post relativi alla pandemia, al lockdown, alla fase 2 e quant’altro.
Ma faccio un’eccezione dopo le proteste per la movida, e per la gente nei parchi, e per chi prova a tornare alla normalità, ricordando un qualcosa di ovvio: questo virus ha ucciso la società non perché ha provocato un edema polmonare di massa, ma perché ha infettato le menti e ha ricordato a tutti quello che nessuno vuole sentirsi dire: l’essere umano muore, senza possibilità di scampo.

E non muore solo per i tumori, il grande spauracchio dei nostri tempi, ma anche di malattie infettive, e to’ guarda, esistono i virus! e in particolare esiste il Coronavirus!
A tutto questo, aggiungiamoci pure che i media italiani, di qualunque tipo, sono stati completamente incapaci di informare correttamente la popolazione, dicendo tutto e il contrario di tutto, contraddicendosi ogni giorno.

Risultato? Un ribollente distillato di paura, ansia, incertezza e un pizzico di odio e frustrazione repressi che hanno sconquassato il già precario equilibrio psichico della gente, culminato con il famoso lockdown, che ha fatto pensare a tutti “Poffarbacco, ma allora è tutto vero!“.
Cosa è successo dopo già lo conosciamo: sceriffi da balcone, forze dell’ordine esasperate che danno multe ridicole, il malcontento sale, infine la caccia agli untori.
I runner, poi i nazisti delle mascherine, poi la movida, un tutti contro tutti mentre la sanità collassa, il personale sanitario è allo stremo, e tutti, dico tutti, diventano piano piano sempre più poveri.

Mi rivolgo anche ai colleghi medici e sopratutto ai colleghi della rianimazione: nessuno qui minimizza il dramma degli ospedali, un dramma iniziato anche prima del coronavirus – e che si ripropone più o meno gravemente ogni anno all’inizio dell’autunno con la comparsa dei primi virus influenzali.
Nessuno dice che si sarebbe dovuto lasciare tutto così com’era senza far niente mentre le rianimazioni scoppiavano e si doveva scegliere chi attaccare al ventilatore e chi no.

Qui si dice che dopo due mesi di lockdown senza se e senza ma, bisogna porsi la domanda fatidica: “ok, e adesso che si fa? Come tornare alla normalità?”.
Non si può bloccare la vita di un paese di 60 milioni di persone a tempo indeterminato. I danni economici, psicologici (psichiatrici addirittura) uccideranno più del virus se non ci rimettiamo in moto, e i danni già ci sono stati.

Secondo le stime che sono state calcolate, in Italia il lockdown avrebbe evitato circa 30.000 vittime. Ok, moltiplichiamole pure per dieci: 300.000, un numero palesemente esagerato.
Anche così, possiamo permetterci di massacrare completamente la vita di 60 milioni di persone ad oltranza?
Oltretutto senza dati certi riguardo la situazione epidemiologica, la diffusione del virus, la reale letalità, la stratificazione per fattori di rischio, anamnesi ed età? Senza sapere veramente dove sono, chi sono, quanti sono questi benedetti positivi asintomatici?

Senza considerare che il virus si è diffuso in massima parte non tra le gente dei bar della movida, bensì negli ospedali, nelle RSA, nelle case di riposo? Spesse volte a causa della mancanza dei dispositivi di protezione, di decisioni prese in ritardo per non assumersi responsabilità?
Senza considerare che la sanità piemontese è al collasso tutti gli anni – e non solo per il covid?
Che le rianimazioni sono esplose non perché la gente non è stata a casa, ma perché si è lasciato che il virus si diffondesse proprio là dove vi erano i più deboli e i suscettibili, contagiando poi anche gli operatori sanitari, mandati allo sbaraglio senza mascherine, senza camici, magari infettando le proprie famiglie?

Tornare alla normalità è anche accettare che non tutti abbiano buon senso.
Tornare alla normalità è anche accettare che non tutti abbiano buon senso.

Però, dai, va bene, abbiamo scatenato una caccia alle streghe, anzi all’untore, facendo credere agli intelletti più deboli che anche solo mettere il naso fuori di casa è qualcosa di letale, e chiunque lo fa e non resta a casa è un disgraziato misantropo distruttore della società!
Io mi dissocio, come medico in primis, da questo operato.

Non si può tornare indietro e la frittata è bella che fatta. Ma almeno cerchiamo di risanare un minimo la salute mentale della società, con ragionevolezza e buon senso.
E buon senso significa anche che bisogna ad un certo punto prendere una decisione: o si apre, e si accettano certe conseguenze, tra cui il fatto che la gente non sempre fa uso dell’intelligenza, oppure si tiene tutto chiuso di nuovo, con i problemi di cui sopra. E di “tornare alla normalità” si smette di parlare.

Ad un certo punto, bisogna saper scegliere tra il male minore. Se devo valutare questa decisione prendendo il singolo paziente che mi muore davanti perché non ho il respiratore per intubarlo, è un dramma; ma è un dramma che non si può evitare mettendo agli arresti domiciliari tutta una Nazione, è un dramma che va sventato non tagliando i fondi alla sanità, non tagliando sul personale, sui letti, sui macchinari, riducendo medici, infermieri, oss a rischiare con turni folli la loro stessa incolumità, oltre a quella dei pazienti.
Va evitato eseguendo tamponi, esami sierologici e indagini epidemiologiche per studiare la diffusione del virus, dei focolai e dei contagi.
Altrimenti, alla lunga, sarà come amputare un braccio per un dito infetto che non si è curato con una pomata: un male non necessario per un male che si poteva gestire meglio.

Andrea Ghilardi, medico

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