Perché l’Emilia Romagna ha deciso di “rendere obbligatori” i vaccini (e cosa significa)

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Premessa: in questo pezzo si parlerà di vaccini, ma da un punto di vista incentrato in particolar modo sul problema dell’obbligo vaccinale.
Chi scrive è pienamente convinto dell’utilità e dell’importanza delle vaccinazioni, ma in tal caso non si occuperà di contestare le obiezioni antiscientifiche e complottiste tanto di moda ai giorni nostri; la loro infondatezza viene infatti data per scontata.
Qualora vi interessasse questo particolare argomento, troverete sul web articoli scritti da autori ben più esperti del sottoscritto, oltre che naturalmente una mole imponente di dati, tra cui ad esempio
questa recente revisione che è attualmente la più completa sul celebre tema dell’autismo “causato” dal vaccino MPR.

È notizia degli ultimi giorni l’introduzione da parte della Regione Emilia-Romagna dell’obbligo di adempiere alle vaccinazioni previste dalla legge per l’iscrizione agli asili nido di tutto il suo territorio.
Sulla notizia si è scatenato un dibattito rapidamente allargatosi a livello nazionale: da un lato i sostenitori della libera scelta dei genitori riguardo alle vaccinazioni dei figli, dall’altro chi ha salutato questa misura come una pietra miliare della lotta contro le teorie complottistiche antivacciniste e i loro seguaci, con il consueto abuso del trito concetto dell’analfabetismo funzionale.
Ma di fatto quale può essere il reale impatto di una misura di questo tipo?

Cominciamo dai fatti. La Regione Emilia-Romagna, nel monitorare le coperture vaccinali, scopre che la proporzione di cittadini vaccinati è scesa al di sotto degli standard indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità; con l’obiettivo di favorire tra i nuovi nati una maggior percentuale di vaccinati, impone come requisito per l’ammissione agli asili nido (stiamo quindi parlando di una fascia di età molto specifica) l’adempimento degli obblighi vaccinali previsti dalla normativa vigente a livello nazionale.
Tale misura è volta a garantire il diritto alla salute “sia del minore sia della collettività con cui il minore stesso viene a contatto”.

Un momento. Vi intuisco perplessi dall’altra parte del monitor. Una Regione italiana certifica che è obbligatorio sottoporsi a una serie di trattamenti che la legge italiana identifica come obbligatori.
O ci troviamo davanti a un capolavoro degno di Monsieur de La Palice, oppure c’è qualcosa che non quadra.
L’obbligo vaccinale è infatti per il nostro Paese un concetto estremamente complesso, contraddittorio, variegato e mutevole, secondo la miglior tradizione delle normative italiane praticamente su qualsiasi ambito.
Di fatto, i governi hanno introdotto negli anni, attraverso leggi ordinarie, l’obbligo per tutti i nuovi nati di sottoporsi alle vaccinazioni contro poliomielite (nel ’66), tetano e difterite (nel ’68), epatite B (nel ’91): in sostanza esistono provvedimenti legislativi ben specifici riguardo a tali malattie, accompagnati da un provvedimento del ’67 con la quale l’ammissione alle scuole di ogni ordine e grado veniva subordinata alla certificazione dello stato di vaccinazione.

Nel 1992 la legge 210 introduce poi un concetto piuttosto importante, quello dell’indennizzo ai danneggiati da vaccinazioni obbligatorie. In buona sostanza lo Stato veniva vincolato a risarcire chi, a causa degli effetti collaterali (rari ma esistenti) di quei quattro vaccini, subiva dei danni biologici: un provvedimento indubbiamente sacrosanto, basti pensare ai casi dei pazienti rimasti paralizzati per la poliomielite da retrovirulentazione del vaccino di Sabin.
Tuttavia, questo provvedimento rappresenta se vogliamo il primo passo verso una ridefinizione dell’obbligo vaccinale, anche nel solco di un cambiamento nelle modalità di interazione tra i medici e la popolazione: a un modello paternalista segue una sorta di progressiva parificazione tra le indicazioni del curante e le aspettative del paziente, con l’obiettivo ideale di costruire una cosiddetta “alleanza terapeutica” e tuttavia una deriva reale verso la svalutazione della scienza, la continua contrattazione, le denunce e la medicina difensiva (di cui vi abbiamo parlato qui).

Perché continuare ad imporre forzatamente alcuni vaccini quando la società si evolve verso un mondo dove la libera scelta del paziente conta sempre di più, e dove tutto sommato i pochi danni derivanti da questi vaccini costano allo Stato una barca di soldi?
Nel 1999 viene cambiata la normativa riguardo alla scuola dell’obbligo: per frequentare gli istituti scolastici non sarà più un requisito essenziale la vaccinazione contro le quattro malattie già citate, ma i dirigenti saranno comunque chiamati a certificare lo stato vaccinale degli alunni e a comunicare alle ASL eventuali inadempienze all’obbligo vaccinale.
E che cosa dovrebbe fare poi la ASL?
A questo punto sprofondiamo nel caos delle diverse normative regionali sulla sanità, partorito grazie alla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001; ognuna si occuperà di modulare in modo diverso l’obbligo vaccinale e le eventuali sanzioni amministrative da parte delle ASL, come del resto dimostra la possibilità dell’Emilia-Romagna di decidere autonomamente sugli asili nido.
Sempre nel 1999, inoltre, lo Stato elimina la distinzione tra vaccinazioni obbligatorie e raccomandate, per evitare di generare la falsa percezione che le seconde fossero meno importanti delle prime (tutt’altro, come vedremo più avanti); una serie di vaccini, in base all’importanza delle singole malattie nel contesto della salute pubblica italiana, vengono indicati come prioritari e offerti attivamente e gratuitamente all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza, le prestazioni che tutte le Regioni italiane sono chiamate aderogare.
In buona sostanza, quindi, le vaccinazioni contro poliomielite, tetano, difterite ed epatite B rimangono obbligatorie sulla carta, ma in un contesto reale un po’ diverso.

Se siete confusi è esattamente l’effetto che i legislatori hanno voluto creare nel corso degli anni, non preoccupatevi. Torniamo dalle parti di Bologna. Perché la Regione ha deciso di reintrodurre, almeno nello specifico ambito degli asili nido, un obbligo che le leggi emanate negli anni avevano progressivamente, se non smantellato, almeno ridefinito?
Perché in questo caso, oltre alla necessità di tutelare la salute del singolo minore, a cui non può essere attribuita la colpa di avere due genitori che si curano con la meditazione e le tisane di semi di finocchio, si innesca una responsabilità nei confronti della collettività.
Esistono infatti bambini che per varie ragioni non possono essere vaccinati, ma che restano comunque protetti grazie al concetto della herdimmunity, o immunità di gregge.

In che cosa consiste la herdimmunity? Si tratta del principio per il quale un’elevata copertura vaccinale nella popolazione è in grado di bloccare un’eventuale diffusione del microorganismo, anche qualora una (piccola) parte della popolazione non fosse vaccinata.
Se il piccolo Pierino si ammala di morbillo, teoricamente potrebbe contagiare altri bambini non vaccinati (perché, per esempio, affetti da malattie del sistema immunitario, allergici al vaccino, o parte di famiglie con gravi problemi sociali che non li hanno mai portati dal pediatra) ma il virus difficilmente diffonderà nella popolazione, perché il suo entourage di parenti e conoscenti è vaccinato e quindi blocca sul nascere la propagazione della malattia, impedendole di arrivare fino ad altri soggetti recettivi.
Naturalmente il concetto va a farsi benedire in un contesto in cui i non vaccinati sono raggruppati insieme e il contagio diventa più facile, per esempio in contesti sociali difficili nei quali una gran parte dei bambini non sono protetti: non per niente le epidemie di morbillo in Italia scoppiano facilmente nei campi Rom.

Dopo questa interminabile spiegazione scientifica che vi ha lasciati più o meno così diventa allora facile chiedersi: ma in fondo, serve davvero la legge emanata dalla Regione Emilia-Romagna? E la risposta, ahimè, è estremamente difficile da dare.
Uno degli argomenti preferiti di chi, spesso ammantato di autoreferenzialità, si scaglia con intenti più che giusti contro i complottisti, è appunto quello della herdimmunity. I genitori antivaccinisti hanno responsabilità non solo verso i loro poveri figli, ma nei confronti di tutta la collettività, favorendo la circolazione delle malattie; la stessa idea ha in parte ispirato la delibera regionale in causa, del resto.
In realtà, questo aspetto è in tal caso in parte secondario. La delibera riguarda, come già detto, i vaccini “obbligatori” sulla carta, non tutti: poliomielite, tetano, difterite, epatite B.

  • Per la difterite, malattia estremamente pericolosa che ancora abbonda nell’Europa dell’Est e che si è resa protagonista anche dalle nostre parti di drammatici casi di cronaca, tutto il discorso fatto finora è assolutamente valido.
  • Per quanto riguarda l’epatite B, l’obbligo di vaccinazione per tutti i nuovi nati è figlio di indicazioni dell’OMS legate all’elevata diffusione del virus, in genere in forma latente, nella popolazione italiana; l’obiettivo è aumentare la copertura vaccinale nella popolazione, non tanto proteggere dal contagio i bambini. La malattia infatti si trasmette soprattutto per via parenterale (ovvero tramite sangue infetto) o sessuale, e il contagio nei primi anni di vita dipende soprattutto dalla trasmissione al parto da parte di una madre infetta (condizione che oggi viene gestita efficacemente con misure ad hoc); un’epidemia in un asilo nido sarebbe quanto meno improbabile, tanto che in Paesi dove la circolazione del virus è minore è ipotizzabile una vaccinazione obbligatoria solo per categorie a rischio, come gli operatori sanitari.
  • La poliomielite: malattia devastante e pericolosa, ancora presente ai nostri confini (il virus è stato isolato in Israele e nell’ex URSS) e responsabile vent’anni fa di epidemie in Albania, punto di partenza di una massiccia emigrazione verso le nostre coste. Un problema quindi non così remoto e dimenticato, ma attualmente abbastanza improbabile nel nostro Paese (l’ultimo caso è di più di trent’anni fa): un’epidemia di poliomielite non rappresenta un pericolo concreto ed immediato.
  • Il tetano, malattia grave ma NON contagiosa, trasmessa all’uomo solo attraverso ferite contaminate; il vaccino in questo caso offre una protezione esclusivamente individuale, e peraltro può essere somministrato con successo anche dopo che il paziente si è procurato la ferita a rischio, pratica effettuata di routine in qualunque pronto soccorso.

Con questo non voglio dire (assolutamente) che la vaccinazione contro quelle quattro malattie sia inutile o controproducente, tutt’altro. È però indubbio che questo tipo di obbligo sia un retaggio del passato, imposto da leggi emanate cinquant’anni fa e oggi anacronistico; nella sanità pubblica moderna, come già detto, si tende ad integrare questi vaccini in un piano in cui tutti vengono parificati e offerti attivamente come prioritari.

Per essere chiari: concentrarsi su pochi vaccini e presentarlo come un grande successo della politica è quantomeno tendenzioso, visto che la battaglia si gioca su altri campi. È vero, un beneficio indiretto viene dal fatto che i quattro vaccini “obbligatori” vengono somministrati in genere in una preparazione esavalente, combinati con altri due: i vaccini contro pertosse (malattia che oggi rimane un importante problema di salute pubblica, con casi riportati anche in Italia) ed Haemophilusinfluentiae tipo B (uno sconosciuto killer, responsabile un tempo di quasi tutte le meningiti nei primi cinque anni di vita, il cui tasso è crollato proprio grazie all’esavalente nonostante una certa pseudoinformazione).
Una delibera come quella dell’Emilia-Romagna indirettamente potrebbe quindi avere benefici ulteriori. Ma le altre malattie?
Il morbillo, per esempio, malattia che in un caso su mille si porta dietro encefaliti potenzialmente mortali. Oggi un enorme problema nel mondo, con il verificarsi in Occidente di nuove epidemie, principalmente per colpa del falso mito dell’autismo causato dai vaccini, una propaganda mistificatoria il cui accusato era proprio il vaccino trivalente contro morbillo, parotite e rosolia.
Anche quest’ultima, patologia quasi mai grave per i bambini, rappresenta un enorme pericolo per la gravidanza: una madre non vaccinata potrebbe ammalarsi contraendo il virus da bimbi come lei non protetti, e trasmettere al feto l’infezione con esiti disastrosi per il rischio di malformazioni. Un quadro tutt’altro che raro, dal momento che l’incidenza annuale della rosolia congenita in Piemonte è stimata in quasi un caso ogni cinquemila nati, una percentuale folle, praticamente dieci volte il tasso delle leucemie acute infantili per cui i media si mobilitano tanto.
E che dire delle meningiti da meningococco, il responsabile di quei casi tanto enfatizzati ai telegiornali in cui in poche ore si arriva alla morte o a gravissime lesioni? Si tratta di vaccinazioni che ricadono al di fuori dell’ombrello dei cosiddetti “obbligatori”, per malattie che comunque rappresentano un problema di salute pubblica attualmente molto più grave della poliomielite.

Quanto una delibera come quella dell’Emilia-Romagna, che non si occupa di queste patologie, potrebbe contribuire a generare la falsa percezione che tali vaccini siano facoltativi e meno importanti? Quanto, dietro alle esultanze di chi vede nella restaurazione della vaccinazione obbligatoria per gli asili nido la panacea contro tutti i mali, si cela l’ignoranza di quali siano i reali e immanenti problemi di oggi?
C’è da dire che la sospensione tout court dell’obbligo, lasciando ai genitori la piena potestà della libera scelta, è stata sperimentata in Veneto a partire dal 2008 con risultati tutt’altro che idilliaci, come si può vedere dai report appositi: la propaganda sottolinea come si rimanga al di sopra degli obiettivi fissati dall’OMS, dimenticandosi di notare l’andamento in discesa di tutte le coperture vaccinali, in particolare quelle del già citato esavalente.
Che soluzione adottare quindi?

Oggi gli indirizzi maggiormente seguiti, come nel piano vaccinale della Regione Piemonte, vanno nella direzione di una mitigazione del concetto di obbligo vaccinale e delle sanzioni per gli inadempienti, enfatizzando piuttosto il dialogo, la ricerca del consenso, l’informazione ai genitori.
L’atteggiamento dialogante mira a snidare e sconfiggere le sacche di opposizione alle politiche vaccinali, piuttosto che generare un muro contro muro a colpi di denunce; l’atteggiamento degli antivaccinisti è, inutile dirlo, parte in genere di una più ampia sfiducia verso il Sistema, che tende solo ad aumentare nel momento in cui si tira in ballo la magistratura.
Nessuno può sapere quali saranno le conseguenze della nuova forma di obbligo vaccinale prevista per l’Emilia-Romagna, ma un rischio possibile è di esacerbare il conflitto, creare nuove sacche di resistenza: e se prima o poi nascessero asili nido privati in cui sottobanco non si applica questo obbligo, e se questi coagulassero i figli degli antivaccinisti creando una piccola comunità di bambini non protetti, il terreno idoneo per un’epidemia, che so, di difterite?
La semplice instaurazione dell’obbligo, tanto più se questo riguarda pochi vaccini (e nemmeno quelli più “caldi” al momento), tanto più se non è accompagnato da iniziative che puntino al recupero dei genitori che dissentono, può persino essere controproducente.

E quindi, penserete a questo punto, non sarebbe più saggio proseguire lungo la strada della ricerca del consenso attraverso il dialogo, dell’informazione attraverso i pediatri e i medici generali? Puntare molto di più sulla comunicazione attraverso i media, anziché invitare in una televisione di Stato sedicenti esperti per spettacoli vergognosi come quello offerto recentemente su Rai2?
Tutto vero, in un mondo ideale questa strategia sarebbe di sicuro efficace, ma ad esempio i già citati dati del Veneto sembrano suggerire che la sospensione di ogni forma di obbligo vaccinale possa favorire esattamente l’effetto opposto.
Il punto è che si tratta di un problema ancora aperto, in cui le strategie possibili sono diverse, e per il quale una soluzione definitiva non c’è ancora: un contesto ben diverso dalla sicurezza di chi vede in questa legge una vittoria della ragione contro i tanto vituperati “analfabeti funzionali”.

E poi naturalmente entra in gioco una responsabilità individuale. Quanti dei censori che tuonano contro i complottisti si sono preoccupati di quando sottoporsi al richiamo decennale per tetano e difterite (e auspicabilmente pertosse), che mediamente dovrebbe essere effettuato intorno ai venticinque anni?
Quanti di coloro che non hanno fatto la varicella sanno che esiste un vaccino che consentirebbe di abbattere il tasso di complicanze gravi che si registrano tra gli adulti contagiati, oltre che ridurre la trasmissione della malattia ai più piccoli?
Quanti degli intellettuali di Facebook hanno pagato poche decine di euro per farsi vaccinare contro il meningococco e contribuire realmente a ridurre la possibilità di epidemie e di contagio verso bambini che sono nati dopo che quel vaccino fosse offerto a tutti nel secondo anno di vita?
A volte, forse, un piccolo gesto pratico conta molto di più di tanta autoreferenziale sicumera.

Matteo Mancarella

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