Medicina difensiva: tutela del paziente o causa di rischio?

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Ascoltando qualunque telegiornale in qualunque periodo dell’anno, troviamo uno degli argomenti preferiti fra i media italiani: la malasanità. Lo sappiamo, è un problema diffuso su larga scala sul territorio nazionale, dall’ospedale di Grosseto che trasfonde sacche di sangue errate ai casi più recenti, come la morte di Gloria in seguito ad un errore nella selezione del catetere questa volta a Tor Vergata.
I dati giustificano l’allarme: il rapporto 2013 della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario dichiara 570 casi presunti da aprile 2009 a dicembre 2012, di cui 400 risultati letali per il paziente. 

Qualcuno inizia a proporre una forma di tutela dei pazienti dal punto di vista legale: è in effetti la linea che si sta diffondendo dal ’94 ad oggi, visto anche l’aumento (addirittura del 300%) delle denunce verso medici e chirurghi, con particolare predilezione per chirurghi estetici, ginecologi e ortopedici. 
Premesso che il settore pullula di “professionisti” che mettono a rischio la salute dei pazienti non seguendo le linee guida e i protocolli teoricamente obbligatori (per i quali la denuncia è necessaria e sacrosanta), qual è l’altra faccia della medaglia?

Ovvero: quali sono le conseguenze indirette di una così rapida diffusione della cosiddetta “medicina difensiva (cioè, per utilizzare la definizione dell’amica Wiki,  della medicina praticata, prima che per assicurare la salute del paziente, come garanzia dalle responsabilità medico-legali conseguenti alle cure mediche prestate)?

Cominciamo col dire che l’Assicurazione RC professionale per i medici diverrà obbligatoria con l’entrata in vigore della Legge n. 148/2011 (rimandata ad agosto 2014 per l’approvazione di un recente emendamento).
L’Assicurazione professionale copre la responsabilità civile di un medico professionista in caso di disputa legale: vi sarà facile immaginare la gioia delle compagnie assicurative, con le denunce in aumento negli ultimi dieci anni da un lato e la corsa a sottoscrivere polizze da parte di tutti i medici non ancora assicurati dall’altro.

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I camici bianchi, presi in mezzo a questo sistema, non possono fare molto se non adeguarsi.
Ed infatti lo stanno facendo, ma non nel senso più immediato da immaginare: negli ultimi dieci anni, infatti, si è diffuso il fenomeno delle prescrizioni di farmaci e di esami non strettamente necessari alla diagnosi o alle terapie.
Questo perché, in caso di disputa, avere sotto mano una radiografia che certifica la condizione del paziente può aiutare davanti a un giudice.

Stesso fenomeno riguarda anche i ricoveri. Un’indagine della commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari rileva che il 70% dei medici propone un ricovero non necessario e il 60% più esami del dovuto. 
Tutto questo ovviamente si ripercuote sulle casse del Sistema Sanitario Nazionale, già in cronica difficoltà e ulteriormente vessato dai recenti tagli della Legge di Stabilità – per non parlare dei problemi logistici in termini di posti letto e tempi di attesa per esami e visite.

Per assurdo, dunque, l’aumento delle denunce per servizio scadente favorisce la riduzione della qualità. Come affrontare, quindi, tutto ciò? Bisogna trovare il classico, banale e mai abbastanza perseguito equilibrio fra i due estremi. Il metodo migliore, forse un po’ utopistico, sarebbe infondere uno spirito critico nelle persone riguardo il ricorso a vie legali.
Sebbene, come già detto, l’incompetenza medica vada denunciata, ci sono casi di gravità minore in cui vengono seguite tutte le procedure in maniera corretta e il medico non è responsabile di risultati inferiori alle aspettative.
In ogni caso, dal punto di vista puramente giuridico, eccetto il chirurgo estetico che ha obbligazione di risultato, tutte le altre specialità mediche hanno esclusivamente obbligazione di mezzo, con le varie sfumature legali del caso.

Mark Molnar
@twitTagli

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