La Germania e il coronavirus: modello organizzativo e pregiudizi italiani.

Pubblichiamo un contributo di Federico Quadrelli, italiano residente a Berlino da tanti anni. Il suo è un tentativo di raccontarci non solo come la Germania abbia affrontato l’emergenza Covid-19, ma anche di smentire alcune “bufale” sull’approccio tedesco. 

8 maggio 2020, a Berlino si celebrava il 75esimo anniversario della liberazione dal nazifascismo (Tag der Befreiung) e non è una cosa scontata. Infatti, Berlino è l’unico Land che ha ufficializzato questa data come festa comandata. Sconfitta o liberazione? Si chiede qualcuno. Io dico: una sconfitta che ha significato la liberazione di tutta la Germania da un male che la stava ormai divorando da tempo. Come l’intera Europa.

Parto da questa considerazione perché sul ruolo della Germania nelle disgrazie di questo continente si torna con molta frequenza anche oggi. Le cicatrici della seconda guerra mondiale sono ancora aperte ovunque e quel capitolo, che doveva essere chiuso proprio con la fondazione dell’Unione Europea (UE), in realtà viene riaperto all’occorrenza, specie dalle destre nazionaliste in Italia o altrove.
Così, si ripropone quell’idea distorta della Germania cattiva e degli “italiani brava gente”, come se in quel capitolo di storia l’Italia non avesse giocato alcun ruolo. Come se la creazione del fascismo, avvenuto ben prima dell’ascesa di Hitler, non fosse mai accaduto. O, come si sente dire, che dopotutto il “fascismo ha fatto anche cose buone”, fino a quando non sono arrivati i tedeschi.

Questa narrazione, in un certo senso, si ripropone in modo ciclico: ogni volta che l’Europa attraversa una qualche crisi – economica, finanziaria, sociale, politica o da ultimo sanitaria – in qualche modo i tedeschi sono colpevoli di qualche cosa. La Germania, cattiva, agisce contro l’Italia, contro l’UE. Peccato che la realtà sia sempre un po’ più complessa di come qualcuno vorrebbe dipingerla.
L’emergenza Covid-19 ha riconfermato questo quadro desolante di rabbia e sfiducia, di rancori mai assopiti. Così, qualcuno è arrivato a sostenere che la Germania nascondeva addirittura i numeri sui decessi, che stava mentendo per non dimostrarsi “vulnerabile” o “inefficiente”. Altri hanno sostenuto che il braccio di ferro sugli Eurobonds era un modo per mettere l’Italia ko economicamente per poi “andare a farci shopping”. Insomma, anche in questo caso, c’è chi è stato capace di dare il peggio di sé: indicando la pagliuzza nell’occhio altrui, senza guardare la trave nel proprio.

Questa emergenza sanitaria globale ha fatto emergere nello specifico approcci politici e culturali diversificati tra paesi dell’UE. Gli anglosassoni si sono posti – as usual – prima di tutto il problema dell’economia da salvaguardare. I paesi del mediterraneo, almeno nella retorica che si sente, hanno anteposto la vita delle persone al di sopra di qualsiasi altro interesse e hanno bloccato tutto. Come in tutto, anche qua c’è del vero e c’è della narrazione. La Germania si è posta a metà strada fra questi estremi, se vogliamo proprio cercare di ingabbiarla in una sorta di “modello”.
L’emergenza Covid-19 è esplosa in Italia con particolare gravità e forza. D’improvviso. E l’Italia ha fatto da apripista all’Europa. La Germania non ha né preso sottogamba la questione, né deriso gli italiani per le scelte compiute, né agito in modo cinico. In Germania il governo, compatto, seppur composto da forze non affini, ha agito anteponendo il benessere del Paese alle scaramucce politiche interne.

Certo, gli ingenti finanziamenti messi a disposizione fin da subito per le micro e piccole imprese, e per i liberi professionisti, un pacchetto da 60 miliardi di euro, la Germania “poteva permetterseli” come ha detto il ministro delle finanze Olaf Scholz. Il piano di sostegno a disoccupati, lavoratrici e lavoratori, è stato messo su con rapidità. Il sistema ospedaliero aveva già un enorme vantaggio tecnico e organizzativo rispetto a quello italiano, basti pensare alla disponibilità di posti letto per la terapia intensiva. Infine, la diffusione del virus ha colpito fasce di popolazione mediamente più giovane di quelle in Italia.
Insomma, la Germania ha gestito l’emergenza in circostanze diverse, secondo procedure diverse – ricordiamo che è una repubblica federale, e che, nelle rispettive competenze, stato e regioni collaborano e non si fanno i dispetti, di norma – e in tempi diversi. Infine, non ha imposto limitazioni gravi come accaduto, e giustamente, in Italia. C’è sempre una sorta d’approccio bipolare da parte di chi attacca la Germania, la vogliono dipingere come il nemico pronto a divorarci, e poi, gli stessi che vorrebbero abbatterla, la usano come modello positivo da sbattere in faccia alla politica italiana, ora causa invece di tutti i mali.

Covid-19 ha messo a nudo i nostri modi di concepire le relazioni politiche oltre che sociali ed economiche. Ci siamo trovati a dover, ciascuna e ciascuno, mettere in discussione modelli consolidati con cui, fino ad oggi, ci si era approcciati ai vari problemi. Il dibattito sugli Eurobonds non è certo stato facile. Proprio su questo si sono scontrati approcci politici ed economici diversi: ma non è un prendere tutto o lasciare sbattendo la porta. Si tratta di capirsi, cosa assai difficile, e capire che davanti ad eventi così importanti, globali, da soli si è nulla e solo insieme – al di là delle solite retoriche, questa volta sì – se ne può uscire vincenti.
Ciò che il dibattito a livello europeo ci ha dimostrato è che, al netto di tutti i limiti dell’UE, dei suoi sistemi e delle sue regole, al netto degli egoismi nazionali, che c’erano ieri come ci sono oggi e ci saranno domani, i Paesi dell’UE si sono confrontati e hanno deciso di agire, insieme. La Germania non ha fatto mancare il suo contributo. Sufficiente? Forse no. Ma è un percorso che segna un cambio di rotta importante, indica la consapevolezza di aver compreso che il momento non è più quello di ieri e che per fronteggiare questa crisi, che non sarà certo l’ultima che potrà avvenire, servono nuovi metodi, nuove regole, nuove azioni.
Se è vero che tutto non sarà più come prima, e probabilmente sotto molti punti di vista è già così, dovremo dirci come vogliagmo che tutto cambi. E dovremo partire col ripensare il senso dell’Unione Europea oggi, degli Stati nazionali, delle regole di mercato e, cosa più difficile, ma anche è più urgente mettere in discussione l’intero assetto economico-produttivo, l’univeso di valori che ha indirizzato le scelte compiute, nel bene e nel male, fino allo scoppio di questa pandemia. La Germania non è esclusa, anzi, sarà un player determinante, con Italia e Francia, nel rilancio di questo progetto.

Federico Quadrelli

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