Se dovessimo usare una metafora calcistica per definire la performance di Benigni ieri sera potremmo dire che la squadra ha avuto un avvio stentato nel primo tempo per poi riprendersi quasi del tutto nella seconda frazione di gioco.
Benigni ha fatto il suo ingresso in uno studio che ricordava per scenografia Annozero di Santoro con i soliti saltelli da monellaccio, poi si è profuso in una lunga quanto noiosa serie di ringraziamenti alla Rai e a Napolitano. L’incipit vero e proprio è stato un prevedibile quanto scontato monologo su Berlusconi, proprio mentre quello in carne ossa si prestava alle domande preconfezionate di Paolo Del Debbio su Rete 4.
Vecchie battute-paragone tra Silvio e il padreterno, qualche affondo copiato da Twitter e un repertorio stantio che ha quasi rischiato di riabilitare i monologhi della Littizzetto. Un copione visto e rivisto che però paga se è vero che 12,6 milioni di telespettatori sono rimasti incollati al piccolo schermo, anche dopo il prologo. In fondo molti italiani vogliono quello, quelli che non lo vogliono hanno avuto il loro momento di gloria domenica pomeriggio e in parte anche ieri sera su Rete 4.
Quando però decide di smettere il costume di polemista e di indossare la toga di divulgatore Benigni costringe tutti ad ascoltarlo. Il programma vero e proprio inizia qui. Un appello al voto, una frecciatina tra le righe a Grillo, la sottolineatura del primato della politica intesa come cura della cosa di tutti sono soltanto l’antipasto.
Benigni ricostruisce brevemente la storia d’Italia fino ad arrivare alla guerra di Liberazione. E qui fa una cosa sensazionale, invita a non considerare con odio chi ha combattuto per un’idea diversa, accomuna nella necessità di rispetto partigiani e repubblichini, fratelli e figli della stessa patria che si sono uccisi per due diverse idee di mondo. In un gioco di chiaroscuri la guerra fratricida lascia spazio all’Assemblea Costituente, Benigni ricorda che i Padri della Repubblica erano “Divisi su tutto tranne che sull’essere uniti”. Divisi nelle idee, uniti nel voler dare un futuro democratico all’Italia.
Con una grande vis ermeneutica il Piccolo Diavolo recita l’articolo 1, parlando solo en passant della tematica del lavoro, si concentra sull’articolo 2 prima di dare il meglio di sé sull’articolo 3. Legge ed esalta il principio di uguaglianza che i Costituenti hanno avuto il merito di inserire nella nostra Carta fondamentale prima ancora che lo facessero le Nazioni Unite.Benigni si esalta come quando si trova davanti al Canto 33 del Paradiso, definisce l’articolo 3 come “Imagine 20 anni prima di John Lennon”.
Mano a mano che scorre e interpreta gli articoli la sensazione è quella di avere davvero la Costituzione più bella ma anche più disattesa del mondo. Certo, andrebbe modificata in alcuni punti ma i principi fondamentali sono la ricetta per ottenere un paese davvero civile. Sull’articolo 6, forse anche per alleggerire il discorso si concede una battuta: “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche, Di Pietro, questa l’hanno scritta per te”. Un riferimento all’importanza della laicità da intendersi come separazione tra vita politica e religione prima di scorrere velocemente gli altri articoli fino all’articolo 11 dove Benigni sale nuovamente di livello per chiudere con l’articolo 12.
In definitiva una serata piacevole, al netto delle facili e un po’ scontate ironie sul Cavaliere. Insomma, il solito Benigni, nel bene e nel male.
Alessandro Porro
@alexxporro