Sta montando, attualissima, la polemica dovuta alla totale assenza di donne all’interno delle due “commissioni di saggi” invitati dal Presidente Giorgio Napolitano ad elaborare “proposte programmatiche che possano divenire in varie forme oggetto di condivisione da parte delle forze politiche” e con il fine ultimo di arrivare alla mediazione per la formazione del Governo. Tra le principali voci in dissenso giova citare l’articolo di Maria Teresa Meli apparso sul Corriere della Sera e la dichiarazione di Emma Bonino secondo cui la scelta “non rispecchia la società italiana […] come se in Sudafrica decidessero di formare una commissione composta da soli bianchi”.
Contro tali argomentazioni andrebbe ricordato che l’istituzione delle due commissioni non ha lo scopo di enumerare eccellenze del Paese su base statistica né tantomeno di rispecchiare la composizione della società, questo prescindendo dalle opinioni e dall’apprezzamento di ciascuno per le personalità che hanno accettato l’invito presidenziale.
D’altra parte, per analogia, dato che i nominati sono tutti nativi italiani e laureati oltreché maschi, potrebbero rivendicare posti e posizioni altre “categorie” di persone, quali ad esempio gli italiani naturalizzati con personalità come Magdi Allam o Jean Leonard Touadi, oppure persone prive di istruzione accademica, con punte di diamante quali Oscar Giannino, Francesco Rutelli o Enrico Mentana.
Ampliare l’orizzonte del ragionamento permette dunque di far emergere la sterilità di queste polemiche originate da un femminismo poco edificante – superato solo dalle feste per sole donne che si tengono in occasione dell’8 marzo – nonché la pericolosità del concetto che sottendono, ovvero che una ripartizione per quote dei cosiddetti posti di potere garantirebbe in qualche misura maggiore qualità, equità e democrazia.
Semmai, il rischio è esattamente l’opposto, ovvero che una ripartizione aprioristica diminuisca le competenze messe in campo, dacché si ha ragione di ritenere che queste andrebbero attinte laddove esse sono e laddove esse siano ritenute utili ad una causa senza distinzione alcuna di genere, provenienza o altro.
D’altra parte, tale deriva ha già preso piede nella società attraverso la diffusione nel linguaggio comune di un termine alquanto fastidioso come “femminicidio”, che qualcuno vorrebbe diventasse addirittura una fattispecie di reato, negando il medesimo concetto di uguaglianza che intende in tal modo supportare.
Non sentendo la necessità di ricordare a questi illustri personaggi che il codice penale prevede l’aggravante della discriminazione – sia essa razziale, di genere, di orientamento sessuale o religioso – monta la necessità di ricordare, polemicamente, l’assoluta mancanza addirittura della proposta di una fattispecie di “andricidio”.
Jack O. Hearts