L’Unità d’Italia negli equilibri europei – 1) Premessa e cenni introduttivi

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Nel descrivere il processo di unificazione nazionale, molto spesso la storiografia e la manualistica tendono a soffermarsi sul solo teatro italiano, in particolar modo sulle iniziative del movimento nazionale (sia liberale che democratico) che, seppure ebbero la loro indubbia importanza nella stagione risorgimentale, non possono da sole esaurire la descrizione del processo unitario. A uno sguardo approfondito, risulta chiaramente come un movimento nazionale ristretto (o comunque sia ben lungi dall’essere un movimento di massa) sia riuscito a imporsi soprattutto grazie per una serie di circostanze favorevoli legate alla diplomazia e al mutare degli equilibri europei.

L’ordine politico che uscì dal Congresso di Vienna (1814-1815) fu, com’è noto, un ordine di restaurazione dei vecchi sovrani e dei relativi ordinamenti che erano stati smantellati dall’impero napoleonico. Il ruolo di “gendarme” fu assunto dall’Impero asburgico che, attraverso la figura del cancelliere von Metternich (1773-1859), puntava a costruire un assetto di equilibri di potenze e alla tutela dell’ordine politico all’interno del continente. A tal proposito furono strette due importanti alleanze: la Santa Alleanza (tra Impero asburgico, Russia e Prussia) e la Quadruplice Alleanza (tra Inghilterra, Impero asburgico, Russia e Prussia) che impegnavano le potenze all’aiuto reciproco nel mantenimento dello status quo e introducevano il principio dell’intervento per soffocare ogni eventuale minaccia.
Il Cancelliere Clemens von MetternichLa penisola italiana all’indomani del Congresso fu a sua volta spartita in base agli interessi dinastici e al principio dell’equilibrio delle potenze. Non vi fu alcuna possibilità di modificare l’ordine pianificato a Vienna per via dell’intransigenza del Metternich verso qualunque progetto riconducibile ai principi “rivoluzionari” del nazionalismo o del liberalismo.

 

Va da sé che, in un quadro del genere, ogni tentativo insurrezionale volto a mutare l’ordine e gli equilibri politici restaurati sarebbe stato del tutto velleitario e impossibile da realizzare se non avesse tenuto conto del contesto internazionale. Una dimostrazione in questo senso venne dai moti degli anni ’20 nel Regno delle Due Sicilia, nel Regno di Sardegna e in Grecia. I primi due fallirono perché si ritenne ingenuamente che fosse possibile basarsi sul solo assenso dei sovrani locali per mutare gli ordinamenti politici, ma i “gendarmi d’Europa” austriaci furono invece solerti nel reprimere i moti.
Altrettanto non accadde in Grecia poiché il movimento nazionale si collocò in un teatro favorevole. Anzitutto l’Impero russo, deciso a farsi strada verso il Mediterraneo, trovò conveniente supportare la causa del movimento nazionale greco per colpire un diretto rivale, l’Impero ottomano. Inoltre il nuovo equilibrio era giudicato conveniente da tutto il sistema di potenze egemoni e, non ultimo, la causa greca trovò un forte supporto internazionale da parte dei gruppi liberali di tutta Europa.

 

Le esperienze del Belgio, della Polonia e dei moti italiani negli anni ’30 non fecero che confermare la crucialità degli equilibri politici internazionali, ma fu la «Primavera dei Popoli» del 1848 a turbare profondamente l’ordine europeo. L’Impero asburgico fu attraversato da rivolte in tutti i suoi domini (Ungheria, Boemia, Vienna, Milano e Venezia) e pertanto fu incapace di prestare soccorso ai sovrani della penisola italiana. Qui assunse un grande significato simbolico l a fallimentare iniziativa di Carlo Alberto di Savoia, descritta successivamente come «Prima Guerra d’Indipendenza»: anche se il re sabaudo nutriva principalmente ambizioni espansionistiche personali, il suo intervento rappresentò la prima assistenza di un sovrano in funzione antiaustriaca e pertanto incontrerà diversi consensi nella movimento nazionale italiano.

 

Il Regno di Sardegna diventò così punto di riferimento per l’élite intellettuale di ispirazione liberale e per i patrioti nazionali. Inoltre il mantenimento dello Statuto albertino (1848), anche se concesso dal benestare del re e quindi non di ampissimo respiro, faceva dello Stato sabaudo l’unico a carattere costituzionale di tutta la penisola italiana. In questo contesto emerse la figura di Camillo Benso Conte di Cavour (1810-1861) che, durante il suo primo governo, compì la scelta determinante di intervenire nella Guerra di Crimea (1854-1856).
Conte-Camillo_Benso_CavourIl nostro, è bene sottolinearlo, non stava portando avanti alcun disegno o pianificazione a breve o lungo termine di unità o indipendenza nazionale, ma operava secondo i progetti di espansionismo sabaudo nell’Italia occupata dall’Impero austriaco. Cavour riuscì così a essere ammesso al tavolo del Congresso di Pace a Parigi (1856) nonostante il ruolo marginale svolto delle truppe sabaude durante il conflitto. L’abile Primo Ministro sabaudo ebbe modo di richiamare l’attenzione sui mali che affliggevano la penisola e di intessere primi importanti rapporti personali con personalità quali Clarendon (1800-1870), Ministro degli Esteri britannico, e Napoleone III (1808-1873), Imperatore di Francia.

 

La fine della Guerra di Crimea aveva inoltre modificato qualcosa nel blocco d’alleanze garanti dello status quo europeo: la sconfitta e l’isolamento dell’Impero russo avevano infatti portato a un raffreddamento dei rapporti diplomatici tra quest’ultimo e l’Impero asburgico. La Francia napoleonica era pronta ad approfittarne per realizzare le mire espansionistiche del suo Imperatore. E, visto l’interesse di Napoleone III all’indebolimento dell’Impero asburgico, l’accordo con la causa sabauda  pareva essere una logica conseguenza. L’imperatore era però frenato dagli ambienti diplomatici francesi che ritenevano invece il Regno di Sardegna un importante stato-cuscinetto antiaustrico, e temevano inoltre che l’indebolimento austriaco avrebbe potuto favorire il rafforzamento di un’altra potenza rivale, la Prussia.

 

Le trattative per l’alleanza franco-sabauda vennero avviate grazie soprattutto ai contatti personali e informali stabiliti precedentemente da Cavour con Napoleone III: tra la fine del 1857 e l’inizio del 1858 pare che l’idea di una guerra antiaustriaca a sostegno della causa sabauda fosse già matura nei piani napoleonici. Ovviamente il Bonaparte non intendeva con questo gesto avallare progetti di unità nazionale o di indipendenza dell’intera penisola, su cui sperava di accaparrarsi qualche sfera d’influenza o di protettorato. Poco fondata o comunque da ridimensionare sarebbe dunque la tesi tradizionale secondo cui la rottura degli indugi da parte francese avvenne dopo l’attentato ordito dall’irredentista Orsini (14 gennaio 1858).

 

doc. NEMO
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Bibliografia:

Derek Beales, Eugenio F. Biagini, Il Risorgimento e l’unificazione italiana, Il Mulino, Bologna, 2005.

Rosario Romeo, Cavour e il suo tempo, vol. III, (1854-1861), Laterza, Roma-Bari, 1984.

Stuart J. Woolf, La storia politica e sociale, in Storia d’Italia, vol. III, Dal primo Settecento all’Unità, Einaudi, Torino, 1973.

Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. IV, Dalla Rivoluzione nazionale all’Unità, Feltrinelli, Milano, 1972.

 

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