Mentre sto scrivendo queste righe, le note dell’ennesimo ritornello di Adriano Celentano si diffondono nell’aria di Vanchiglia.
Dozzine di balconi abitati da studenti fuorisede pugliesi combattono una lotta di nervi con i loro nemici naturali: i pensionati. Guardano quel carrello della spesa con una nota di nostalgia e con le lacrime sopite di chi ne ha passate tante, e ora non può concepire di trascorrere la propria vecchiaia in mezzo ai flash mob della quarantena.
Ci ricorderemo di questo periodo storico come di un momento contraddistinto da una certa unità e orgoglio nazionale. Personalmente, mai più di ora mi sento fiero di essere italiano e mi sento orgoglioso di come le istituzioni hanno gestito una crisi senza precedenti, come gli operatori sanitari stanno combattendo la minaccia e come i commercianti stanno garantendo quello che a tutti gli effetti è un servizio pubblico.
D’altra parte, trovo estremamente antipatico lo slogan “andrà tutto bene”. Forse è per via del mio pessimismo cosmico, o forse perchè mi ricorda lo “stai sereno” di qualche anno fa.
Le chiamate alle armi dell’ottimismo sono sacrosante e condivisibili, ma secondo me distraggono da una piccola, fondamentale lezione che ognuno di noi dovrebbe portarsi a casa in questo periodo di isolamento e riflessione personale.
La verità è che non andrà tutto bene.
La pandemia di Covid19 è una calamità naturale estemporanea e difficilmente prevedibile, o può esserci modo di contestualizzarla in un quadro più ampio e “globale”?
Vorrei provare ad argomentare per il secondo caso, ma prima sento il bisogno di una sigla. Magari non spariamola dal balcone di casa, perchè comunque si tratta di una canzone di Marracash e mi vergogno un po’ a proporvela, ma mi sembrava appropriata.
Sigla!
Nelle scorse settimane abbiamo imparato che i Coronavirus si trasmettono da animale a persona e da persona a persona. I trasferimenti da persona a persona sono più veloci e diffusi, e questa è (molto poco scientificamente parlando, perdonatemi ma non è il mio campo) l’origine dell’epidemia attuale di Covid19, che probabilmente è “saltato” da animale a persona per la prima volta in un mercato di animali selvatici a Wuhan, in Cina.
Gli scienziati sono concordi nell’affermare che il Covid19 non è l’ultima grande pandemia globale a cui assisteremo.
Perché?
Le ragioni sono molteplici, ma è soprattutto il risultato del modo in cui noi esseri umani stiamo interagendo con il pianeta. Le nostre scelte e le nostre azioni ci stanno portando ad una situazione nella quale vedremo scatenarsi sempre più spesso nuove epidemie.
Il riscaldamento globale crea un clima più caldo e rende l’ambiente più ospitale per virus e batteri, e la nostra economia ci sta spingendo ad occupare anche gli ultimi spazi naturali inesplorati, mai toccati da mani umane. Entriamo in contatto con nuove specie, nuovi virus e batteri, nuove malattie. Cose a cui non siamo pronti.
Finché continueremo a rendere i posti remoti sempre meno remoti, le epidemie continueranno.
Un altro motivo plausibile per cui il riscaldamento globale è collegato alla pandemia? L’inquinamento dell’aria. Come dimostra uno studio recente:
“… I processi infettivi delle malattie respiratorie possono essere influenzati dall’inquinamento del particolato a vari livelli.”
Benjamin Horne, PhD, direttore dell’epidemiologia cardiovascolare e genetica dell’Intermountain Medical Center Heart Institute di Salt Lake City (USA)
Non andrà tutto bene.
Niente affatto.
In questo periodo si parla molto di fare dei sacrifici, ma la nostra generazione sembra impallidire di fronte ai sacrifici dei nostri nonni e bisnonni.
Quando la loro generazione è stata chiamata ad un sacrificio, ha vissuto sulle sue spalle gli orrori di una guerra o di una grande depressione. È molto facile sentirsi colpevoli, dal basso del nostro sacrificio spicciolo e casalingo, del nostro sedere attaccato al divano di casa e del nostro semplice, elementare divieto a non uscire di casa.
La quarantena sembra un sacrificio ridicolo, di poco conto, soprattutto alla mia generazione, quella dei 30-35enni, i millennials, quelli che si lamentano sempre e credono di essere speciali.
La verità è che lo sono davvero.
La generazione di cui parlo è quella la cui esistenza sul pianeta è stata indelebilmente segnata da un evento: l’avanzamento drastico e sempre più rapido del riscaldamento globale.
Come per tante altre persone della mia età, la minaccia del global warming mi è sempre sembrata “all’orizzonte”, ma mai del tutto presente: un futuro inevitabile ma abbastanza lontano da me per essere ignorato, il cui percorso è sufficientemente lento da posizionarlo sempre ad una certa distanza di sicurezza; una minaccia non del tutto credibile al mio stile di vita.
In questo periodo si parla spesso di rimettere in discussione il nostro stile di vita, di pensare al fatto che, quando tutto questo sarà finito, abiteremo in un mondo nuovo.
Ma come sarà davvero il mondo del futuro?
La scienza ci dice che, se non cambiamo rotta immediatamente, entro il 2100 la Terra sarà più calda di almeno 4 gradi centigradi, il che in parole povere significa:
- il doppio dell’acqua;
- la metà delle risorse alimentari;
- un impatto più drammatico sull’economia globale di qualunque periodo di depressione della nostra storia, e soprattutto un impatto permanente.
Se il 2100 è una data troppo lontana per essere presa seriamente in considerazione, la verità è che molte delle conseguenze più terribili del riscaldamento globale si manifesteranno più velocemente, molto prima del 2100.
Ad esempio, si prevede che entro il 2050 molte delle grandi città del sud-est asiatico e del medio-oriente diventeranno letteralmente inabitabili durante l’estate.
Nel giro di appena 3 decenni da oggi, le decine di milioni di persone che vivono in queste città non saranno in grado di uscire di casa d’estate senza rischiare la morte.
Oggi il pianeta è 1.1 gradi più caldo di com’era prima della rivoluzione industriale. Potrebbe non sembrare molto, ma questo dato posiziona la Terra in cui abitiamo ora al di fuori del margine di temperature più alte del pianeta in tutta la storia della vita umana.
È come se fossimo atterrati su un pianeta diverso, con un clima diverso, e ora dovessimo capire che cosa della nostra civiltà potrà sopravvivere in queste condizioni, e che cosa non potrà.
E “non andrà tutto bene”, perchè le cose continueranno a peggiorare. La metà delle emissioni da combustibili fossili nell’intera storia dell’umanità è stata prodotta negli ultimi 30 anni.
Per contestualizzare questo dato: dall’anno in cui Al Gore ha pubblicato “Una Scomoda Verità” (il 2006) ad oggi, abbiamo fatto più danni al pianeta che in tutti i secoli e millenni precedenti.
Resto convinto che non andrà affatto tutto bene, perchè io tra un mese faccio 31 anni: la mia vita contiene la totalità di questa storia.
Quando sono nato, il clima su questo pianeta sembrava stabile. Oggi siamo sull’orlo dell’apocalisse. Il cambiamento climatico non è il retaggio dei nostri antenati, ma un danno provocato dall’uomo nello spazio di una sola generazione.
La mia.
E quindi? Qual è il contrario di “andrà tutto bene”? Prima di scoprirlo, pensiamo un attimo a quest’ultimo dato, perchè contiene la chiave delle nostre speranze di salvezza.
Il complesso dei danni e delle minacce al pianeta di cui ho appena parlato sono incalcolabili, quasi impossibili da quantificare.
Allo stesso tempo però, sono il simbolo del nostro potere e dell’influenza che abbiamo sul clima della Terra. Dimostrano tutto quello di cui è capace l’uomo nel cambiare e influenzare l’ambiente circostante.
Se trasformeremo la Terra in un inferno, sarà perchè siamo stati noi a farlo accadere. L’abbiamo scelto. Questo significa che, potenzialmente, possiamo scegliere di fare accadere qualcos’altro.
Possiamo cambiare scenario.
Gli ostacoli, soprattutto quelli di natura politica, sono giganteschi. Eppure trovo qualcosa di rassicurante nella consapevolezza che l’agente principale del riscaldamento globale siano solo ed esclusivamente le azioni umane.
La nostra sconfitta non sarà il Corona Virus.
Non saranno gli alieni o le formiche mutanti.
Non sarà un’asteroide né un’eruzione vulcanica.
Saremo noi.
Sono le nostre, quelle mani sulla leva. Possiamo scegliere di non attivare la ghigliottina. Siamo gli arbitri del destino del mondo, nel male ma anche, potenzialmente, nel bene. Scriveremo le pagine future del nostro pianeta che ci piaccia o no, sia che decidiamo di fare qualcosa sia che non facciamo nulla.
Questa non è la storia di tutta l’umanità, dalla sua nascita ad oggi. È la nostra storia: un’epica saga stile Signore degli Anelli in cui una sola generazione si trova con le sorti del pianeta sulle spalle, e che oggi ha il compito di decidere il futuro della specie. Non andrà tutto bene, ma forse potrebbe non andare tutto male.
Se decidessimo di agire, che aspetto avrebbe questo nuovo mondo in cui ci troveremmo a vivere, una volta finita la quarantena?
Forse potrebbe avere le sembianze di un luogo in cui l’energia solare ha preso il sopravvento: hanno calcolato che basterebbe solo una porzione di deserto del Sahara per assorbire abbastanza energia solare da soddisfare le necessità dell’intero pianeta; forse potremmo creare un sistema basato sull’energia nucleare.
Di certo abbiamo bisogno di un nuovo tipo di agricoltura. Temo che sarà impensabile chiedere all’intera popolazione mondiale di passare ad una dieta vegetariana o vegana, quindi il futuro dovrebbe portarci alla creazione di un nuovo modo di allevare gli animali, o forse ad un “vecchio” modo: alcuni metodi di allevamento tradizionale infatti – al contrario di quella intensiva, che è altamente inquinante – sono in grado di produrre i cosiddetti “sink biosferici”, depositi che assorbono l’anidride carbonica contribuendo a diminuire le quantità di CO2 nell’atmosfera.
Forse un giorno non molto lontano saremo in grado di convertire interamente la produzione di alimenti di origine animale e passare alla carne creata in laboratorio. Forse potremo nutrire le nostre mucche con le alghe, dal momento che le coltivazioni di alghe riducono sensibilmente le emissioni di metano.
Forse, alla fine dei conti, dovremo fare tutte le cose appena elencate,
perchè la verità è che non esiste un’unica soluzione per salvarci dal riscaldamento globale. È una minaccia troppo vasta e complessa per essere combattuta solo con un metodo.
Al di là del numero di soluzioni praticabili, probabilmente non riusciremo comunque a ridurre le emissioni in tempo utile. La terribile verità espressa dai numeri attuali ci dice che è già troppo tardi.
Non siamo più in grado di sconfiggere il cambiamento climatico, ma forse siamo in grado di trovare soluzioni per conviverci e limitarlo il più possibile.
Di certo avremo un grandissimo bisogno di emissioni negative, elementi che tolgano anidride carbonica dall’atmosfera. Dovremo abituarci all’idea di piantare miliardi di nuovi alberi, sconfinate piantagioni di piante cattura-emissioni. Servirà una nuova industria, che sulla carta avrebbe bisogno di essere 3-4 volte più grande di quella petrolifera.
Avremo bisogno di nuove infrastrutture, un nuovo tipo di cemento, anche considerato che oggi la Cina sta versando tanto cemento ogni 3 anni quanto gli Stati Uniti hanno fatto nell’intero ventesimo secolo. Avremo bisogno di muraglie protettive sulle coste e di enormi dighe per proteggere le città più a rischio, molte delle quali sono troppo povere per prodursele da sole.
In estrema sintesi: è possibile, con azioni e scelte rapide e mirate simili a quelle che ho appena, superficialmente elencato, che vada tutto bene?
Forse.
Ma agire in questi termini dovrebbe comportare la fine di una visione geopolitica limitata alla propria nazione, un cosiddetto “mondo senza patrie” che ci impedisca di valutare la sofferenza di chi vive dall’altra parte del mondo come insignificante o intangibile.
Questo “futuro migliore” non sarà facile. Anzi, sarà praticamente impossibile. Eppure pensateci un attimo: gli unici ostacoli davanti a noi sono di natura umana. La scienza e la tecnologia di oggi non ci impediscono di risolvere la più grande minaccia che la nostra specie abbia mai incontrato, abbiamo tutti gli strumenti che ci servono per agire.
Non ci servono tecnologie avanzatissime che non sono neanche ancora state concepite. Ci basta una nuova politica: un modo per unirci e superare questi ostacoli insieme, partendo dalle iniziative di una comunità, ispirate e proposte da chi ci governa e dovrebbe coordinare e amministrare i nostri sforzi. Solo una nuova politica può combattere l’indifferenza e il disinteresse dei più ricchi e potenti, quelli meno motivati in assoluto a prendere iniziativa.
Andrà tutto bene? È possibile, dandoci le dovute priorità. Che non sono uscire di casa, ma impegnarci da oggi stesso per generare un cambiamento.
Andrà tutto bene solo ed esclusivamente se lo scegliamo adesso, se comprendiamo in fondo al nostro cuore è che il riscaldamento globale – con tutto il rispetto del mondo per il corona virus – la vera e più assoluta priorità del nostro tempo.
Le vere priorità sono quelle che scuotono radicalmente i nostri stili di vita, ci impongono sacrifici superiori al restare chiusi in casa, più vitali persino del partire per combattere una guerra.
Le nostre case non resteranno sempre al sicuro dal cambiamento che stiamo vivendo, i nostri divani non potranno più ospitare le nostre quarantene a meno che non ci rendiamo conto di cosa dobbiamo necessariamente fare affinché vada tutto bene.
Il cambiamento climatico trasformerà le nostre vite e i nostri habitat in modo irreversibile, per sempre. Cambierà le nostre abitudini più di qualsiasi decreto legge anti-passeggiate. Molto presto usciremo di casa e ci renderemo conto di vivere in un pianeta nuovo, come adesso amiamo gridare dalla finestra insieme a quel vecchio giradischi con il 45 giri di Adriano Celentano.
(Scusate, per un istante ho dimenticato le mie priorità e sto maledicendo il mio vicino di casa studente fuorisede pugliese).
Quando tutto questo sarà finito, usciremo di casa e abiteremo in un nuovo mondo. Con una nuova politica, una nuova economia, un nuovo rapporto con l’ambiente e con la tecnologia. Un nuovo mondo.
Sta a noi fare in modo che sia abitabile.
Davide Mela
P.S. la maggior parte dei dati e delle fonti su cui si basa l’articolo sono tratte da un discorso dell’autore David Wallace-Wells sul podcast di TED Talks Daily, dal titolo “How we could change the planet’s climate future”.
Questo qui.