Un treno, una Siria, tante Italie

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CRONACA DI UN VIAGGIO IN INTERCITY IN COMPAGNIA DI UN GRUPPO DI PROFUGHI SIRIANI

15 Agosto 2013: 
154 migranti di origine siriana, iraniana e afgana giungono sulle coste di Reggio Calabria a bordo di un motoveliero. Arrestati gli scafisti.

31 Agosto 2013: 
130 migranti siriani e somali sbarcano sulle coste di Roccella Jonica, nella Locride.
Tra loro anche una donna al settimo mese di gravidanza.
Il loro viaggio era cominciato 5 giorni prima sulle coste della Grecia.

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L’8 Settembre 2013 alle ore 12.53 sarebbe dovuto partire un treno che, da Paola (Cosenza), avrebbe dovuto percorrere svariati chilometri ed arrivare 16 ore dopo a Torino, con me a bordo. 
Nella realtà quel treno è arrivato nella cittadina calabra con venticinque minuti di ritardo: giungeva da Reggio Calabria dove erano saliti, oltre a passeggeri assolutamente ordinari, un buon numero di profughi siriani di recente sbarcati sulle nostre coste.
Nello specifico una ventina erano sul vagone in cui mi trovavo io.

In compagnia di un’amica salgo sul treno e mi trovo davanti a un palcoscenico di tensione: intere famiglie composte da padre, madre e dai due ai cinque figli seduti per terra in corridoio o, se stremati dalla fatica, nei posti assegnati ad altri passeggeri.
Questi, saliti a bordo, rivendicano il sedile che hanno pagato e lo fanno urlando e imprecando contro i passeggeri migranti.

Le famiglie siriane sembrano appartenere a un ceto medio: i loro vestiti sono buoni ma ridotti male dal viaggio. Puzzano e prendono molto spazio. I bambini sono tra gli uno e i sette anni al massimo e non abbandonano neanche per un secondo il fianco delle loro madri.
I passeggeri negli scompartimenti protestano con viva ignoranza: non ce li vogliamo loro seduti accanto a noi, sono maleodoranti e magari non hanno neppure pagato per essere qui.
Salgono dei poliziotti che però poco possono e poco in realtà fanno, in un misto di svogliatezza e umanità: i profughi hanno regolare biglietto per posto in corridoio e lì possono stare, nonostante le proteste dei locali.

Io e la mia amica abbiamo due posti assegnati ma sono occupati da due adulti, di cui una donna all’ottavo-nono mese di gravidanza, e due suoi figli. Il capotreno li fa alzare affinché noi ci possiamo sedere, ma dopo qualche minuto decidiamo di cedere uno dei nostri posti alla donna, che si siede con in braccio due bambini. 
È stata fatta alzare, spostata, ricollocata e presa a spiacevoli parole dai passanti: non ha battuto ciglio ed è dubbiosa sul se accettare un posto o meno. 
Percepisce il disaccordo degli altri passeggeri del nostro scompartimento che non hanno voglia di averla vicina, così maleodorante e problematica. Subodoriamo anche un biasimo nei nostri confronti, che stiamo contribuendo ad aumentare il disagio del loro viaggio che sarà, forse, più lungo e scomodo di quanto avevano previsto: amen, il posto che abbiamo ceduto è il nostro, non il loro.

Nelle successive ore facciamo a turno a stare in piedi in corridoio e quello che vediamo è un padre che fa freneticamente avanti e indietro dal vagone per controllare che la sua famiglia e i suoi conoscenti stiano bene e abbiano un posto. Vediamo bambini che dopo aver dormito tre, quattro ore sul pavimento di un vagone freddo e sporco piangono di stanchezza ed esaurimento.
Vediamo una madre incinta che riesce a riposare tenendo in braccio tre bambini per sei ore consecutive. 
Vediamo più di una persona che, noncurante del fatto che una bambina sia sdraiata in corridoio, le passa addosso con il trolley.

treno intercityPer lo più vediamo persone che vestono ne più né meno bene di me – ma semplicemente si possono lavare molto meno spesso – che, dopo presumibili settimane di viaggio, vengono accolte da scostanza e maleducata ritrosia dagli indigeni.
Al contempo, un capotreno mette a disposizione tutto lo scompartimento del personale di bordo per una famiglia.
Qualche minimo atto di comprensione nei loro confronti, gesti piccoli: una bottiglia d’acqua, un aiuto a capire cosa c’è scritto sul biglietto, un tentativo di traduzione in inglese, per chi di loro può capirlo.

Il loro viaggio terminerà a Milano centrale per poi forse proseguire in un secondo momento verso il Nord Europa.
Per ora hanno potuto sperimentare una realtà umana locale al cui interno confliggono forze positive e negative, coscienze e pregiudizi; al di sopra – o al di sotto? – di tutto questo, la loro stanchezza, la sete e un insormontabile senso di sopportazione. 
Tutto ciò che è meno grave di un insulto viene accolto a braccia aperte; ogni gesto carino nei loro confronti, per quanto piccolo e ovvio, è considerato un regalo inaspettato.

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@twitTagli

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