Percorsi biografico-musicali: K come… Korn

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Bene, il nostro tour nella cara vecchia Inghilterra invasa dalla nuova ondata di heavy metal può concludersi qui. Almeno per il momento: non è escluso che si possa tornare a farci una capatina.
Intanto, proseguendo questo viaggio soggettivo, vi farò fare un salto sia spaziale che temporale. Torniamo negli USA, per la precisione a Bakersfield, California, scavalcando praticamente un’intera decade, arrivando così nel pieno degli anni ’90. Si entra dunque in un territorio che mi attiene maggiormente da un punto di vista biografico, attraversando un trend e una stagione musicale che hanno lasciato il segno nella mia generazione.
Così, tra i primi cellulari, i programmi di MTV, gli albori dell’internet di massa, la PlayStation, il trionfo dei CD e compagnia cantante, abbiamo avuto il tempo anche di far nascere qualche fenomeno musicale generazionale. Alcuni di noi ringraziano e hanno ringraziato, altri decisamente no. È il gioco delle parti.

K come… KORN

Vi consiglio: Korn, Issues
Tracklist:  Dead / Falling Away from Me / Trash / 4 U / Beg for Me / Make Me Bad / It’s Gonna Go Away / Wake Up / Am I Going Crazy / Hey Daddy / Somebody, Someone / No Way / Let’s Get This Party Started / Wish You Could Be Me / Counting / Dirty
Etichetta: Immortal/Epic
Anno: 1998

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Già sento levarsi i cori di indignazione dei puristi. Posso immaginare i commenti astiosi e pressappochisti degli intransigenti brothers of steel e i loro discorsi di sedicente ontologia del metal. 
Nel migliore dei casi qualcuno avrà urlato al “poseraggio”, nel peggiore  all’incompetenza musicale e alla mancanza di senso critico. Il tutto dopo aver magari letto con piacere due note biografico–musicali dedicate a due classici dell’heavy metal.
C’è da capirli, lasciamoli cuocere nel loro brodo. Cosa che ho sempre dovuto fare nella mia breve esistenza, spesso anche in settori diversi da quello musicale. Ma è un’altra storia.
Sta di fatto che la mia formazione musicale, come quella di molte altre persone, è estremamente personale e dunque ha spesso seguito terreni non “ortodossi”.
Nel caso specifico parlare dei Korn e del fenomeno nu metal [1] è per me imprescindibile.

Lo scenario biografico in cui si colloca questo momento era particolarmente eterogeneo e confuso: tra i 13 e i 15 anni il mio background musicale era costituito principalmente da eredità rock paterne (Beatles su tutti), vaghe adesioni al pop di fine anni ’90, alcune impressioni di rock più recente, più altri variegati spunti. Tra questi ultimi è da registrare la breve parentesi hip hop di cui vi ho già parlato che, in questo marasma, costituì un primo importante momento di identificazione e di autocoscienza.
Ma era qualcosa che non mi apparteneva. Mi affascinava, mi intrigava, mi appassionava, ma non era il mio. Il fenomeno nu metal, pesantemente generazionale e allora in rapida ascesa, colmò questo vuoto di identità in maniera completa. Il connubio tra dinamiche hip hop e strutture ruvide e pesanti ebbe un impatto praticamente immediato, così in quel periodo iniziai a masticare un gruppo dietro l’altro.
Ci arrivai per puro caso, tra alcuni video su MTV e alcuni dischi masterizzati [2] da qualche amico. Tra questi ultimi emerge senza alcun dubbio Issues, quarto prodotto dei Korn.

Si tratta di un disco importante per i nostri che consolidano e confermano i risultati ottenuti fino ad allora: dopo il seminale debutto omonimo del 1994, erano infatti stati sfornati altri due dischi (Life Is Peachy, 1996; Follow The Leader, 1998) che li avevano definitivamente lanciati nell’area del mainstream.
Dopo Issues si può dire che i Korn fossero diventati di diritto “il simbolo della generazione cresciuta musicalmente dopo il grunge” [3], fenomeno di punta di una stagione sottoculturale che di recente qualcuno ha cominciato a ricordare non senza nostalgia.

Korn esordi 

In effetti intorno alla galassia di gruppi nu metal di quel periodo era nata una vera e propria moda non solo a livello di abbigliamento, ma anche a livello di atteggiamento. Gli adolescenti di allora, americani e non, trovarono una risposta, una rappresentazione di sé e della propria generazione nei testi e nella musica di quelle band. 
I Korn in particolare, attraverso la figura e i versi del frontman Jonathan Davis, contribuirono a creare un immaginario dark, sofferente, dimesso e negativo, felicemente definito come «uno spleen suburbano intensissimo». [4]

Issues modifica leggermente le carte in tavola rispetto ai dischi precedenti dei Korn. Le componenti hip hop e funk restano sullo sfondo, emergono strizzate d’occhio all’elettronica e oscurità industriali.
In generale si può rilevare come in questo disco prevalga «un’unità di tono che permette di apprezzare il lavoro di tutto il gruppo» [5] e che dimostra una raggiunta quadratura del cerchio rispetto alle primordialità degli esordi.
La sessione ritmica mantiene la sua varietà soprattutto negli arrangiamenti del basso, vera e propria percussione aggiuntiva come l’ha descritta lo stesso bassista “Fieldy”; le chitarre, accordate in tonalità cavernose, restituiscono un sound di una corposa gravità. 
L’interpretazione vocale schizoide e alienata di Davis chiude coerentemente il cerchio. 
Non bastasse il primo singolo estratto dall’album, Falling Away from Me, a far emergere sotto forma di musica tutta la carica (auto)distruttiva dei Korn e il senso di emarginazione che ne trasuda, il resto del lavoro non sarà affatto da meno.

Emergono a tratti episodi liberatori, di reazione alla merda e alle incomprensioni narrate nelle liriche (Beg for Me Wake Up), ma la sostanza di fondo resta la violazione subita dal singolo. Si avranno dunque, tra gli episodi migliori, le crude descrizioni di violenza sessuale dell’evocativa Trash, l’appello disperato di Somebody, Someone, e la fredda desolazione di Let’s Get This Party Started.
L’incedere dell’album è spesso intervallato da brevi brani che fungono da interludi: se ne contano in tutto cinque, inclusa la nenia introduttiva di Dead. Tra questi vi è senza dubbio da rammentare la fragilità allucinata di Am I Going Crazy,dove l’effettistica e i suoni sintetizzati contribuiscono a creare un’atmosfera straniante e claustrofobica, e le rabbiose e nichiliste constatazioni di 4 U.
Meritano infine una citazione la linea ritmica allucinata di Hey Daddy e lo sclero morboso di I Wish You Could Be Me, senza dimenticare un altro singolo di punta dell’album: Make Me Bad [6] disegna un’atmosfera livida, negativa e folle, perfettamente equilibrata tra pause meditative e scatti rancorosi, rappresentando con ogni probabilità il pezzo migliore di tutto Issues.

Per un ragazzo a suo modo fragile ed emarginato quale mi percepivo a suo tempo, la musica dei Korn è stata una vera rivelazioneIssues ha costituito una valvola di sfogo per le incertezze e le inadeguatezze della mia adolescenza, ma ha soprattutto permesso un guado importante da una galassia confusa di ascolti al primo, vero e proprio momento di autocoscienza musicale generazionale.
Un passaggio che maturerà poi nell’amore e la passione per il metal della decade precedente, ma questa è una storia che ho già raccontato. I Korn (e l’intera temperie nu metal) sono stati simbolo di un’epoca, hanno parlato a una generazione reietta che si percepiva priva di prospettive, abbattuta, infamata e disagiata.
Lo hanno fatto con onestà e capacità, colmando il vuoto lasciato dalla stagione del grunge e generando un nuovo linguaggio musicale. E questo nonostante tutto il discredito che qualche integerrimo metallaro si sente sempre obbligato a gettare su un’intera generazione di musicisti, rei di non aver seguito i canoni e le etichette preimpostate. Nonostante le presunte ontologie e le ortodossie duropuriste. Nonostante tutto il coretto a canone sempre pronto a riaffermare che «il nu metal fa schifo» per semplice partito preso.

Riascoltando quel vecchio CD masterizzato non avverto alcun segno di produzione plastificata o preconfezionata per venire incontro a un pubblico volubile, ma semmai l’onesta traduzione di stati d’animo e vissuti personali. 
Per Davis e soci probabilmente non era che un esorcismo del loro non felice passato, per molti di noi è stata la prima reazione a un presente che ci rifiutava e che rifiutavamo.
Quando un musicista riesce in questo non c’è giuria critica che possa, nel bene e nel male, opporsi. Io faccio parte di quella generazione e, sebbene buona parte delle mie problematiche fosse gonfiata oltre il reale, nella musica dei Korn ho ritrovato sublimata una parte di me stesso e dei miei patemi. Ergo, nel processo che ancor oggi si riverbera sul nu metal non mi troverete certo al banco dell’accusa.

doc. NEMO
@twitTagli


[1] Il termine nu metal ci proietta in un territorio dai confini poco netti. Spesso confuso col crossover, di cui è uno dei possibili sviluppi, si tratta sostanzialmente di un’evoluzione del linguaggio metal avvenuta negli anni ’90: nel suo solco si possono trovare elementi funk, hip hop, post-grunge mescolati (in allegra eresia) con stilemi mutuati dal metal. Ha conosciuto l’apice del suo successo tra fine anni ’90 e inizio anni 2000.

[2] Caro, vecchio masterizzatore! Strumento non posseduto da chiunque, ma che nondimeno tra fine anni ’90 e inizio 2000 fu un piccolo portale verso una maggiore fruibilità musicale. Soprattutto se vi era qualche mago capace di scaricare i primi mp3 da internet, mettendo su spesso e volentieri vere e proprie associazioni a delinquere nella propria camera o nello studio dei suoi genitori.

[3] Korn, in Metallus. Il libro dell’heavy metal, a cura di Luca Signorelli e della redazione www.metallus.it, Giunti, Firenze, 2001, p. 100.

[4] Ivi, p. 101. Quanto ciò costituisse un semplice atteggiarsi è difficile dirlo tanto per i Korn quanto per i ragazzi e le ragazze di allora. Il dato di fatto è che una buona parte della gioventù problematica ed emarginata di fine anni ’90 e inizio anni 2000 ritrovò una parte di sé in quei testi e in quell’immaginario. Fu indubbiamente un merito l’essere capaci di parlare a una nuova generazione, al di là dei fenomeni di moda e le pose che possono esserne derivati.

[5] Tommaso Iannini, Nu Metal, Giunti, Firenze, 2003, p. 55.
[6] Chi ha più memoria tra voi ricorderà probabilmente questo pezzo adottato in uno spot televisivo della Puma

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