Note notevoli: vi va di ascoltare la Grande di Schubert?

schubert

Alcuni mesi fa abbiamo iniziato questo ciclo di appuntamenti domenicali con la musica colta dalla sinfonia “Incompiuta” di Franz Schubert. Oggi, dieci puntate dopo, il pezzo che vi propongo è un’altra sinfonia di Schubert, passata alla storia come “La grande”: da un punto di vista cronologico, questa sarebbe la nona sinfonia composta dal genio austriaco, ma abbiamo già visto come molte delle opere di Schubert siano andate del tutto perse (tra cui la settima e la decima sinfonia) e come altre siano state pubblicate dagli editori con forti ritardi: questa sinfonia, nello specifico, viene a volte indicata come la settima (prima che fosse accertata l’esistenza di una settima sinfonia andata perduta), altre volte come l’ottava (in quanto si identifica – erroneamente – l’incompiuta come cronologicamente più tarda).

Schubert non vide mai la pubblicazione della sua “Grande sinfonia in Do maggiore” (da precisare che lui aveva dato questo nome solo per distinguerla dalla sesta sinfonia, composta nella medesima tonalità): scritta nel 1825, è noto che l’orchestra di Vienna si rifiutò di eseguirla, giudicandola troppo difficile, e l’editore, in conseguenza di tale rifiuto, non si curò di pubblicarla.

Schubert morì nel 1828 (un anno prima si era spento Beethoven), e la storia della musica corse il serio rischio di non accorgersi dell’esistenza di questo capolavoro: il manoscritto originale venne acquisito dalla “Società degli amici della musica” a scopo collezionistico. Per fortuna, nel 1938, Robert Schumann, in visita a Vienna, ebbe la possibilità di visionare lo spartito, e colse immediatamente la genialità dell’opera: decise quindi di acquistare la partitura, e di portarla con sé a Lipsia, dove iniziò ad occuparsi di allestire un’esecuzione. Che avvenne, trionfalmente, il 21 marzo 1839, proprio a Lipsia: a dirigere la (già allora) prestigiosa orchestra del Gewandhaus era Felix Mendelssohn Bartholdy.

Da un punto di vista analitico, si tratta di un’opera estremamente complessa, e lunga (tra i 45′ e i 55′, a seconda della velocità di esecuzione), che segue i canoni stilistici del classicismo (la presenza di 4 movimenti, di cui il primo di carattere maestoso, il terzo in forma di “Scherzo” e il quarto denominato “Finale”), pur mantenendo nella sostanza un’anima pre-romantica.

L’esecuzione che vi propongo è un’autentica gemma: l’orchestra dei Wiener Philarmoniker, alla Scala di Milano, diretti da Riccardo Muti. Buon ascolto.

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La semicroma del giorno

(ovvero: una rapida, rapidissima curiosità musicale)

Uno degli aneddoti più simpatici riguardanti Wolfgang Amadeus Mozart, narra che una volta sfidò il suo maestro e amico (non proprio l’ultimo arrivato: Franz Joseph Haydyn) a eseguire un pezzo composto da lui, e questi si arrese quando ad un certo punto vi erano da suonare contemporaneamente tre note, due alle due estremità della tastiera, ed una al centro. A questo punto Mozart si sedette al pianoforte e eseguì a sua volta il brano in questione: arrivato al passaggio “impossibile”, suonò la nota a centro tastiera con la punta del naso.

Luca Romano

@twitTagli

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