Terza tappa: 11 giugno 2012
Mi sveglio la mattina a Firenze con sensazioni contrastanti. Da un lato ho ancora addosso l’emozione per il concerto della sera prima (e le scarpe ancora zuppe sono lì a ricordarmelo); dall’altro non so cosa aspettarmi da questa terza e ultima tappa. Non sono mai andato da solo a un concerto; per quanto, ormai l’avrete capito, in realtà non sono mai da solo, specie se ascolto il Boss. Dopo un mini-giro turistico per il centro di Firenze parto alla volta di Trieste.
Sento però nostalgia del pit. Voglio almeno andare a dare un’occhiata, voglio rivedere qualche faccia conosciuta, capire quante ce ne siano che hanno affrontato la trasferta arrivando alle 8 di mattina a Trieste partendo da Firenze non prima delle due di notte. Inizio ad aggirarmi verso l’ingresso del pit e noto una faccia conosciuta. Un americano enorme tutto tatuato: gli scalmanati sotto il palco di Firenze lo hanno identificato come Graham, il direttore della security del Boss. E mi torna alla mente che ieri ad un certo punto l’ho visto confabulare con un altro addetto alla security per poi dare l’ordine di fare entrare altra gente nel pit: d’altronde non ci possono essere spazi vuoti sotto il Boss. Penso di provare a infilarmi anche stavolta, tentar non nuoce. E infatti Graham sale sul palco, scruta il pit e quasi subito fa un segno e il pit viene aperto: “Ragazzi non spingete ne facciamo entrare altri cento per adesso…” E così mi ritrovo di nuovo nel pit, di nuovo con il braccialetto… Un po’ spaesato per questa ennesima “fortuna” mi guardo attorno e ritrovo gli stessi scalmanati di Firenze. Ma stavolta invece che sulle transenne frontali li vedo appoggiati alle transenne in fondo al pit.
Mi rilasso, e l’emozione arriva forte tutta insieme: da un lato sono contento perché è stata un’esperienza magnifica; soprattutto mi piace l’idea di aver, in qualche modo, portato Cesco a divertirsi con me come mi ha detto sua mamma quando siamo partiti. Ma dall’altro lato mi spiace di dover abbandonare questa dimensione surreale dove quasi niente era importante se non il Boss.
Domenico Cerabona
@DomeCerabona