Di topi, scannamenti e scansioni: riflessioni linguistiche in laboratorio d’informatica

Si sa: la lingua italiana è zeppa di anglicismi, soprattutto nel campo dell’informatica.

In Spagna c’è la Real Accademia che si occupa di regolare l’ingresso dei nuovi vocaboli, e quindi anche di quelli derivati dall’inglese;  in Francia è vi è un organismo apposito per creare neologismi quando ci si trova davanti ad un oggetto nuovo… e da noi?

Se nel resto del mondo ci si prova a difendere dall’invasione di termini americani per indicare i frutti dell’innovazione tecnologica degli ultimi 30 anni, in Italia il prestito è considerato la soluzione più rapida ed efficace. Così mentre per gli inglesi, gli spagnoli, i francesi quello che si usa per puntare sullo schermo e per aprire i menù a tendina è un famigliare topo (mouse, ratón, souris che dir si voglia), per noi è un asettico mouse.

mouse

Ma al di là della scelta di accettare l’inglese come lingua guida nel campo dell’informatica, è molto interessante occuparsi di come poi gli italiani abbiano applicato la morfologia della loro lingua ai termini inglesi, creando ibridi come il celebre cliccare, diffusosi a macchia d’olio nonostante il tentativo di Microsoft d’imporre la dicitura “fare clic”.

Ma veniamo alla pietra dello scandalo. Quel verbo che, quando bisogna usarlo, mette proprio tutti, anche i più attenti alla lingua e alle sue sfumature, in serie difficoltà. Quesito: siete in ufficio, vi danno un documento cartaceo, dovete mandarne una copia digitale a un collega, cosa fate? Cercate uno scanner, ok, e poi…?

scanner

Forse i meno giovani se lo ricorderanno, inizialmente si parlava di scannare un documento, con un buffissimo calco dall’inglese to scan. Certo, sembrava poco fine l’idea di dover trucidare qualcosa sul posto di lavoro, quindi si è sostituito il termine con il più famigliare scannerizzare, un vocabolo dalla cacofonìa rara, ma che si prestava meno a fraintendimenti. I più raffinati, non contenti, si sono resi conto che l’operazione dello scanner è una scansione e quindi a partire da questo termine, legittimo e italianissimo, hanno creato il verbo scansionare, che suona nostrano seppure in realtà non esista.

Ma fermiamoci un secondo a riflettere. Come fa lo scanner a digitalizzare un documento analogico? Lo strumento “legge” l’oggetto che gli viene poggiato sul vetro, lo suddivide in righe orizzontali, ciascuna costituita da punti, che vengono trasformati in numeri e così possono venir dati in pasto al pc. Si tratta di un’operazione di scansione del tutto analoga a quella di un sonar marino, che suddivide la superficie del fondo marino in piccole “fette” per determinarne la profondità. Ma, a ben pensarci, per la scansione del sonar esiste già un verbo italiano?

Ebbene sì, proprio scandire. Perché la superficie da esplorare, viene appunto suddivisa, scandita, proprio come si scandisce un tempo musicale o un verso, una parola o un discorso intero. Il verbo italiano da usare per indicare quando si digitalizza un documento grazie ad uno scanner, sarebbe quindi proprio scandire. Ma ormai nell’uso comune è improponibile.

Potete fare una prova degna del miglior accademico della Crusca con tendenze sociopatiche: azzardatevi domani ad entrare in ufficio e chiedere a un collega:

Mi può scandire questo documento, per favore?

e osservate la reazione che provocherete.

 Serena Avezza
@twitTagli

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