Come la penso? Devo fare un sondaggio…

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Durante le elezioni 2013 si è creata una esigenza di mercato ben precisa, cui è stata fornita una risposta altrettanto puntuale: l’esigenza degli elettori italiani era capire “che cosa fossero”, da che parte stessero; la risposta l’hanno fornita i pratici questionari/sondaggi che avete visto pubblicare in quei mesi e in questi giorni qui e là sulle vostre pagine Facebook (sotto elezioni, c’erano Voi Siete Qui e il Politometro di Repubblica; recentemente, Bussola Politica e Political Compass).
Il principio è semplice, quasi didascalico: una ventina di domande molto precise e poco tecniche cui rispondere dichiarandosi da “molto d’accordo” fino a “per nulla d’accordo”. Alla fine, la macchina shakera le risposte e colloca l’utente nella “sua” posizione.

I limiti di una tale trovata sono evidenti, dalla naturale incompletezza della schedario al trascurare le storie personali, biografiche, filosofiche (!) dei soggetti partecipanti: immagino il trauma di un ateo convinto cui il computer suggerisce di spendere il proprio voto per Casini. Inoltre, si aggiunge la tara classica dei sondaggi, soprattutto quelli che si sanno verranno resi pubblici (per giunta, sul proprio profilo social: un giardino zen elettronico da tenere il più possibile in perfetto ordine): vi si risponde più con la testa a cosa si vorrebbe pensare piuttosto che a quel che si pensa realmente.
Dunque, far discendere significati metafisici da questo giochino del tutto innocente è di sicuro pretestuoso; eppure ho già sentito qualcuno confessare di aver utilizzato questo strumento al di là del suo ruolo di cartina tornasole. 

C’è quindi chi lo ha utilizzato realmente per capire chi votare e cosa votare: un comportamento significativo.

La schermata finale di Bussola politica prevede come antitetiche le dicotomie destra/sinistra (e fin qui va bene) e autoritario/libertario. Bussola Politica, invece, suggeriva direttamente la lista elettorale cui l'utente risultava esser più vicino. La schermata finale di Bussola politica prevede come antitetiche le dicotomie destra/sinistra (e fin qui va bene) e autoritario/libertario.

Non tanto perché testimonia una povertà di pensiero politico moderno e/o radici personali antiche (a questo proposito, un divertente aneddoto: alla Festa Democratica del PD di Torino svoltasi questo settembre, la platea non sapeva completare la frase “Uno spettro si aggira per l’Europa”, vergata da Carletto Marx in persona. Un amico chiosava: “C’è molto lavoro da fare”), ma perché certifica l’inconcludenza del messaggio politico di tutto l’arco parlamentare ed extraparlamentare italiano.
Gli elettori non sanno quale parte persegue un determinato progetto politico, posto che ci sia: e non lo sa sicuramente per proprie gravi e innegabili colpe, ma anche per responsabilità istituzionali. Primo, una trascuratezza poco lungimirante nel momento di trasmettere il proprio messaggio, i propri valori; secondo, per processi di decisione della linea politica sempre più esclusivi e dirigenziali (e non condivisi e discussi); terzo, pure per una serie di ottiche sballate: se per decenni si riduce l’agone elettorale al rincorrere, contestare, appoggiare o distruggere le leadership carismatiche (Berlusconi su tutti), è naturale che le proposte di intervento pratico passino radicalmente in secondo piano.
Il processo diseducativo di un elettorato è compiuto: urgono ora nuove metodologie per invertire la rotta.

Umberto Mangiardi
@UMangiardi

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