Cyberia: Torino è pronta per il software libero (e qualcuno ci spiega cosa vuol dire, per fortuna)

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Ehi, il Comune di Torino farà migrare il parco macchine dell’amministrazione da Windows a GNU/Linux! Avranno un Software libero!”
“Oh. ehm, cosa?”

Il Comune di Torino ha annunciato di voler migrare tutti i pc dal Sistema Windows al free software. La notizia non ha avuto grande risonanza a livello mediatico, per un motivo: nessuno, tranne la comunità smanettona, pare sapere cosa questo effettivamente significhi.
A porre rimedio a ciò hanno pensato la Italian Linux Society e Arci Torino, che nella giornata di Domenica 14 Ottobre hanno organizzato Cyberia: l’evento era finalizzato proprio a far conoscere il concetto di software libero ai torinesi, attraverso dimostrazioni e dibattiti.
Sono intervenuti gli amministratori coinvolti nel cambiamento, a fianco di guru informatici di stampo mondiale come Richard Stallman – attivista pioniere del Software Libero e creatore di GNU – e di chiunque altro potesse spiegare alle masse cosa tale migrazione fosse e cosa comportasse in pratica.

In parole povere usare un software libero significa non dover pagare le licenze per gli aggiornamenti, usufruire di programmi che sono disponibili “free” ed avere un’assistenza fornita da una community (senza passaree dalle grinfie dei proprietari di software che vincolano le nostre opportunità di cambiamento).
Tutti conoscono Windows ed Apple e sanno che entrambi 1) si pagano 2) non possono essere copiati e rivenduti. Quello che non viene percepito è il fatto che, attraverso software proprietari – così si chiamano i suddetti – l’utente e le informazioni private dello stesso presenti sul suo computer sono controllati dal software e da chi controlla il software. 
In parole ancora più povere, il software proprietario si paga – e non si può evitare di pagarlo se non andando incontro a violazioni del copyright e conseguenti sanzioni – e può controllarci; il software libero è invece accessibile, modificabile, trasmettibile a terzi e, soprattutto, siamo noi a poter controllare lui.

Negli ultimi anni molte realtà territoriali – amministrazioni, istituzioni, regioni, città ecc… – hanno deciso di passare al software libero in nome di un rilevante risparmio economico e sì, certo, anche nel rispetto di un’etica che è poi quella del Movimento per il Software Libero (movimento fondato appunto da Richard Stallman nei primi anni ottanta).
Per il Comune di Torino si leggono online cifre strabilianti e frasi come “un risparmio di sei milioni di euro” ma per Roberto Guido, direttore dell’Italian Linux Society, a conti fatti il “risparmio” si aggirerebbe sui quattro milioni.
E non sarebbero soldi non spesi, ma spesi meglio; non in licenze – e dunque ad arricchire imprese oltreoceano – ma in corsi di formazione, consulenze e assistenza forniti da imprese italiane. Dunque: investimento sul territorio e crescita professionale di dipendenti locali. Comunque un ottimo risultato.

Arci e i linuxari italiani hanno organizzato Cyberia con, tra gli altri, uno scopo non banale: portare le persone a capire cosa possono fare i loro computer – e i rispettivi software – e cosa i loro computer possono fare a loro.
Problema: come spiegare alla gente cosa significa “il software proprietario limita la libertà personale e ci controlla” senza usare l’informatichese? Con parole semplici e metafore.
Roberto Guido, ad esempio, lo fà ponendo un quesito: “Tu compreresti una macchina con il cofano sigillato da qualcuno che ti dice: ‘solo io posso aprire, vedere cosa c’è in dentro questa macchina e ripararla’ ?” No, dico io. “Bene, con il software proprietario hai lo stessa mancanza di libertà e facoltà d’azione sul software che compri”  dice lui.
Ah, capito.

Esemplare l’intervento di Richard Stallman che, inforcati gli occhiali e chiarite le regole del gioco (“non fate video di me per pubblicarli su Youtube”, “Non fatemi foto da mettere su Fb o Instagram”, “non parlate di Linux ma solo di Gnu/Linux”, ecc…) tiene banco per 90 minuti netti spiegando, in un inglese lento e in linguaggio ironico, chiaro e diretto, che i software proprietari ci privano di libertà d’azione, crescita personale e professionale.
Fa più di un esempio: l’impatto dei sistemi Windows sulla nostra privacy, il ruolo intrusivo dei cellulari nelle nostre vite e i modi in cui Amazon ha minacciato la nostra conoscenza attraverso il controllo dei libri on line.
Essendo un purista attivista, incentra il suo discorso sull’importanza delle parole (“free software, non oper source! Autori, non creatori!“) e sul perseguimento degli ideali piuttosto che del profitto economico.

Dimostrazioni pratiche di funzionamento di software liberi e stampanti 3D portano agli occhi dei passanti e dei curiosi la realtà dei fatti: dalle 17 in poi gli interventi di vari sapienti del settore e personalità istituzionali si alternano nel dichiarare che il software libero va preferito a quello proprietario “perché è economicamente conveniente” o perché “è eticamente migliore”, a seconda dell’ottica personale e delle tendenze professionali.
Inoltre, è stata messa in luce la situazione normativa regionale che già nel 2009 con la legge 9 prevedeva una politica tendente all’open source ma che, anche grazie a ritardi garantiti dall’amministrazione Cota, non si era ancora sviluppata nei fatti.

Di fatto, fa notare il Prof. Angelo Raffaele Meo del Politecnico di Torino, “il passaggio all’open source è già previsto per legge, quindi non dovremmo accogliere con stupore l’iniziativa del Comune, al quale riconosciamo comunque il merito di aver voluto mettere in pratica quanto la normativa prevede” (in effetti la Direttiva Stanca del 2003 ed il D. lgs 82/2005 impongono di preferire, tra le alternative possibili, la più libera ed economicamente vantaggiosa, il che spesso si traduce in “open source”, n.d.a.).
Insomma, la migrazione da software proprietario a free software da parte delle pubbliche amministrazioni sembra inevitabile, in un futuro più o meno prossimo; le quali, come ricordano relatori come Roberto Guido e Alessandro Portinaro, Sindaco del Comune di Trino, sono costituite da dipendenti pubblici che dovranno essere formati e messi nelle condizioni di potersi avvicinare all’open source nel modo migliore possibile.

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@twitTagli

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