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Arriva il via libera per il trasferimento a Bala Boluk, ultimo avamposto italiano nel sud dell’Afghanistan. E arriva a Camp Arena anche il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, che – in viaggio verso l’India per trattare la questione dei nostri due marò detenuti da un anno – ha fatto visita ai ragazzi dell’Afghanistan.
I CH-47 hanno già le eliche in moto, Alberto corre insieme agli altri verso il portellone a testa bassa e si parte per la Fob – Forward operation base – di Bala Boluk. Gli elicotteri sorvolano un paesaggio quasi lunare, un deserto di roccia che si estende a perdita d’occhio. Il velivolo si posa a terra mentre in cielo continuano a volare le “zanzare”, il soprannome usato per definire gli elicotteri d’assalto Mangusta che presiedono alla sicurezza del luogo di atterraggio.
La visita lampo del ministro si chiude con i saluti ai leoni del San Marco, commilitoni dei marò Latorre e Girone. Poi la base torna ai suoi ritmi normali, anche se qui, a migliaia di chilometri dall’Italia in un deserto ostile la normalità è un concetto relativo.
Gli alloggiamenti sono costituiti da tende da campo, all’interno brandine e sacchi a pelo. Docce e servizi igienici sono in due container diversi. Per raggiungerli devi passare nella polvere e tra i sassi, al freddo. Agi e comodità sono rimasti a casa con le famiglie, devi essere bravo a ritagliarti il tuo spazio. Anche un banalissimo caffè che tutti i giorni trangugiamo di fretta diventa una risorsa indispensabile per allentare la tensione e far passare il tempo. Ognuno si è portato la sua moka e il suo fornelletto. Siamo italiani, al caffè non si può rinunciare, è un rito che va onorato. Una doccia in più, un caffè in più sono gli unici lussi che puoi concederti. La carta igienica viene scherzosamente definita “oro bianco”.
La Fob è un microcosmo autosufficiente nel quale operano centinaia di ragazzi, ognuno con un compito preciso. La vita assume tutto un altro significato, conta soltanto l’essenziale. E l’essenziale spesso è sopravvivere. La base è protetta da diversi terrapieni e reticoli di filo spinato ma un colpo di mortaio sparato da una distanza di 5 km potrebbe colpirla in qualsiasi momento. Ti accorgi del colpo soltanto quando arriva a bersaglio. Vivono così i nostri ragazzi, sotto costante minaccia. E senza che questo scalfisca la loro professionalità.
I mortai non sono l’unico pericolo. Ci sono anche le Ied – Improvised explosive device – nascoste lungo la strada, o le imboscate con armi leggere. Anche per questo i lavoratori locali che prestano servizio nella base vengono attentamente controllati all’ingresso. Quello che oggi si presenta come innocuo orecchino domani, assemblato con crudele pazienza, può dare vita ad un ordigno comandato a distanza. Per i mezzi civili che entrano c’è un’area di quarantena, vengono lasciati lì per 12 ore, il tempo che impiega un timer a compiere un giro completo. Le pattuglie possono uscire dalla base solo se il meteo è così favorevole da consentire copertura aerea, altrimenti si deve rimandare.
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Alessandro Porro