Questo articolo parla di Zeman ma non parla di calcio. Zeman è in tutto e per tutto letteratura. E con la letteratura si deve confrontare: la letteratura del suo Paese – che Paese non è: la Boemia.
Zeman passeggia nella pioggia della sua città, da cui è fuggito da più di quarant’anni, poco prima della Primavera di Praga. Zeman, mentre avanza per le strade di Stare Mesto, ha attorno a lui altri fantasmi, i fantasmi della letteratura di quello spicchio d’Europa.
Ci sono i personaggi di Kafka. E non tanto il grottesco Gregor Samsa, ma l’angoscioso Joseph K., protagonista del Processo. La sensazione claustrofobica di un’accusa ingiusta, di una sentenza ingiusta e di una pena ingiusta si ritrova con qualche analogia.
Ma la passività di Kafka non è la passività di Zeman, che è un ribelle – silenzioso, ma sempre ribelle. Stesso discorso per Milan Kundera, i cui personaggi de L’insostenibile leggerezza… sono lontanissimi da Zeman.
Personaggi superficiali, come il dottore Tomas, o personaggi sconfitti (come Tereza): anche Zeman è uno sconfitto, ma uno sconfitto titanico; mentre Tereza è una sconfitta rassegnata. Forse Franz, che si consuma di amore per la sua amante, è il più vicino a Zeman: ma la passione di Zeman è razionale, quella di Franz smodata.
Il sorriso di Zeman è malinconico, sornione, polemico, amaro; in nessun caso un sorriso fine a se stesso. È un sorriso calpestato, e perciò letterario.
È uno sbalzo che, anche se soffuso, fa rumore. E come conseguenza ha il silenzio del contesto.