Ancora una volta, la tredicesima; ancora lui, Phil Hellmuth. La sua fame di vittorie è una belva feroce “che dopo il pasto ha più fame che pria“, per dirla col poeta.
L’umano, troppo umano si fa mostro, e si erge trionfante ancora una volta su un’arena insanguinata di chips, che copiose sanguinano dai suoi avversari.
Monumentale a dire poco, “the Poker Brat” conquista il Main Event delle WSOP-Europe, l’edizione europea delle World Series of Poker, che si giocano a Cannes tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre (mentre l’edizione americana, che dura più di un mese, si gioca a giugno a Las Vegas).
A questo punto, se ci sono ancora suoi detrattori residui, è un ottimo momento perché facciano voto di silenzio duraturo: le scuse sono finite.
Phil Hellmuth vince braccialetti ormai da quattro decadi, ha dimostrato di essere forte tanto nell’Hold’Em quanto nelle altre varianti di poker sportivo, ed è titolare di tutti i maggiori record nell’ambito del circuito WSOP (l’unico che frequenta con assiduità, la sua partecipazione ad altri circuiti come il World Poker Tour è decisamente più saltuaria). Vogliamo ricordarne alcuni:
- Maggior numero di vittorie-braccialetti: 13 (secondi classificati: Doyle Brunson e Jackie Chan, con 10 a testa).
- Maggior numero di Tavoli Finali: 49
- Maggior numero di piazzamenti a premio: 95
Basterebbero queste tre cifre a definirlo: è andato a premio più di chiunque altro; più di metà delle volte in cui è andato a premio, ha raggiunto il tavolo finale; più di un quarto delle volte in cui si è seduto ad un tavolo finale (generalmente composto da nove giocatori), è arrivato primo.
Phil Hellmuth inoltre, con questo risultato diventa l’unico giocatore ad aver vinto sia il Main Event europeo che quello americano (che vinse nel 1989), e risulta come terzo nella “All Time Money List” – la classifica dei guadagni dei giocatori di poker di tutti i tempi.
Quest’anno il palcoscenico è suo, e non importa se Phil Ivey è tornato ai tavoli, e ha infilato la bellezza di cinque tavoli finali in due settimane, non importa se Antonio Esfandiari ha vinto il “Big One“, torneo di beneficenza da un milione di dollari di iscrizione, piazzandosi in cima alla classifica di quelli che hanno vinto più soldi. Non importa se la vittoria di Greg Merson del Main Event americano impedirà a Phil Hellmuth di prendersi anche il premio di “Player of the Year”: la storia dell’anno è il suo doppio trionfo.
Cosa è successo in questi anni a “The Poker Brat” per provocare questo exploit? Beh, diverse cose.
Innanzitutto, è successo che quello che era il suo sponsor, il Casino-Online “UltimateBet” ha chiuso i battenti in quanto implicato in uno scandalo finanziario, con tanto di accuse ai manager per truffa. Phil Hellmuth avrebbe potuto trovarsi un altro sponsor, ma ha preferito essere manager di sé stesso. Questo da un lato ha comportato per lui il non avere più l’iscrizione ai tornei pagata dallo sponsor, e quindi il dover auto-sostenersi a livello di bankroll (capitale investito nel gioco), e dall’altro il non dover più partecipare per contratto a show televisivi o a eventi dove doveva recitare la parte dell’iracondo spocchioso.
E poi è successo che dal 2007 al 2010 Phil Hellmuth ha passato quattro anni di vacche magre a livello di successi sportivi, e i suoi detrattori soffiavano nei mantici della maldicenza voci che il suo orgoglio cocciuto non poteva ignorare: “Phil Hellmuth vinceva i tornei quando partecipavano 100 persone, ora che ci sono tutti i ragazzi giovani non è più in grado di tenere il passo“, “Phil Hellmuth è forte solo nell’Hold’Em, in tutte le altre varianti qualunque professionista lo distrugge“, “Phil Hellmuth è forte contro i giocatori medio-scarsi, quando si trova di fronte giocatori cazzuti come quelli che gli mettono contro negli show televisivi, lo umiliano“. E via dicendo… poteva l’ego ipertrofico di Phil accettare questi giudizi? Impossibile!
E quindi, Phil Hellmuth ha fatto semplicemente quello che ogni campione deve fare per vincere: ha messo da parte la spocchia, e si è rimesso sotto, ha ricominciato ad allenarsi, giocando varianti diverse dall’Hold’Em per arrivare a giocarle perfettamente tutte. Ha ricominciato a studiare i profili di gioco dei suoi avversari, ha ritrovato il suo stile di gioco “tight-aggressive”, decidendo che lo stile “loose” dei giovani che vengono dal mondo del poker online, semplicemente non faceva per lui. E i risultati si sono visti: tre secondi posti nel 2011, tutti ottenuti in varianti diverse dall’Hold’Em, uno addirittura nel torneo “8-Game”, dove vengono giocate otto diverse varietà di poker in contemporanea (ogni sette mani si cambia variante). Ma se l’immagine di giocatore vincente ne usciva riabilitata, l’ego e l’orgoglio ne uscivano ancora più affamati, e così all’inizio delle WSOP 2012, Phil Hellmuth era una bestia affamata di Chips. Poco importa che i suoi amici tentassero di moderare le sue aspettative, ricordandogli che una volta, quando i tornei erano da 300 persone, si poteva pensare di vincerne più di uno in un anno, ma al giorno d’oggi, che i partecipanti sono migliaia, pensare di mantenere lo stesso score è utopistico: la risposta del campione era sempre la stessa. “Se l’anno scorso sono arrivato tre volte secondo, vuol dire che posso anche arrivare tre volte primo“.
E siamo ad oggi. Primo è arrivato, due volte. Una in una variante diversa dall’Hold’Em; l’altra in uno dei tornei considerati con il più alto livello di giocatori al mondo (il Main Event europeo, diversamente da quello americano, che richiama moltissimi appassionati, è un torneo al quale prendono parte pochi amatori e moltissimi professionisti). A detta di tutti – compresi molti detrattori – il suo livello di gioco attuale è qualcosa di stupefacente, e i risultati confermano. Il suo livello di spocchia invece? Beh, è un po’ sceso… al tavolo è più concentrato e lucido, meno soggetto a “tilt” che lo possono indurre in errore. Ha anche ammesso di aver esagerato un po’ il suo personaggio negli anni passati, e di essersi concentrato troppo sulle sue vittorie passate e troppo poco su quelle future.
Insomma, “the Poker Brat” è tornato a fare il bravo bambino? Beh, non esageriamo. I fan delle smargiassate di Phil, non rimangono a mani vuote.
Phil Hellmuth è arrivato al tavolo finale del Main Event WSOP-Europe da Chip Leader, e ha dominato il tavolo. In particolare dopo l’uscita di un altro super-campione come Joseph Cheong al quarto posto, i due giocatori rimasti (pur bravi), non hanno letteralmente mai toccato palla. Quando finalmente è rimasto di fronte ad un solo avversario, Phil Hellmuth partiva con un vantaggio di chips di 3 a 1 (9 milioni contro 3 milioni e spicci). Certo, il livello dei bui era ancora basso, la partita sarebbe potuta essere ancora aperta… ma la differenza di esperienza, abilità, e voglia di vincere non erano nemmeno confrontabili. Durante la mano finale, l’avversario Sergiej Baranov chiama il buio, Phil Hellmuth rilancia e Baranov manda i resti.
Phil Hellmuth annuncia il “call” istantaneamente, e aggiunge: “la vincerò qui“. Lettura perfetta: non appena girano le carte, Baranov vede il suo A-4 dominati da un A-10 di Phil. Le carte comuni non riservano ribaltamenti, e Phil festeggia il tredicesimo oro. Vale la pena ricordare questa frase dell’intervista successiva: “Ho giocato il miglior torneo della mia vita. In tutto il torneo sono stato All-In rischiando l’eliminazione, una sola volta, durante il primo giorno. E il mio avversario aveva un out“.
Per i profani: vuol dire che in tutte le situazioni di All-In aveva più chips dell’avversario, il che significa che anche se avesse perso la mano, non sarebbe uscito dal torneo. L’unica eccezione è stata appunto durante il primo giorno di torneo, e si trattava di una mano dove partiva talmente avvantaggiato come percentuali, che il suo avversario in tutto il mazzo aveva una sola carta per vincere. È sempre lui, il nostro Phil. Fortissimo, ma mai modesto, e in fondo, ci piace così.
Voglio lasciare ai lettori anche questo video, per quanto la risoluzione sia oscena, perché credo che ci siano un po’ tutto il personaggio e il campione, in questa mano delle WSOP di vari anni fa.
Il torneo è il Main Event americano, la disciplina è il ben noto Texas Hold’Em.
Phil Hellmuth apre A-K suited (dello stesso seme): una delle mani più forti che ci siano. Ovviamente, rilancia. Il giocatore due posti alla sua sinistra, apre invece A-A, ovvero la mano più forte che esista (ovviamente, parliamo di prima che scendano sul tavolo le carte comuni), e giustamente,effettua un contro-rilancio. Tutti gli altri giocatori passano, e la parola torna a Phil, che decide di chiamare. Scendono così le prime tre carte comuni: 4-4-A.
Ora, una piccola analisi da giocatore: Phil Hellmuth in questo momento ha doppia coppia (assi e 4) con un K come quinta carta. Si tratta di una delle mani più forti possibili: infatti, nessun giocatore professionista può avere in questo momento un tris di 4, perché qualunque giocatore (capace) con una mano contenente un 4 (compresa una coppia di 4 servita), avrebbe sicuramente passato dopo un rilancio e un contro-rilancio preflop (prima che vengano servite le carte comuni).
Quindi, dal momento che non sono possibili scale o colori, l’unica mano sensata che batterebbe quella di Phil, è un full di Assi e 4. Il problema è che il suo avversario ha proprio full di assi e 4.
In molti casi, questa è una mano già scritta, che si conclude con lo sfortunato detentore di A-K che perde una consistente porzione, se non tutto, il suo “stack” (ammontare di chips).
Phil decide di fare “check” o, come diremmo in italiano, “parola”. Il suo avversario decide di nascondere il suo punto mostruoso, e fa “check” a sua volta, simulando debolezza.
Scende così la quarta carta comune, una Q. Phil fa nuovamente “check”, e a questo punto il suo avversario effettua una puntata enorme. Una puntata enorme, normalmente, indica debolezza: punto tanto per spaventarti, perché non voglio che tu chiami. Se voglio essere chiamato perché sono sicuro della mia mano, punto una cifra non piccolissima, perché voglio ingolosirti, e non enorme, perché non voglio spaventarti.
Phil però legge giusto: la puntata enorme è il bluff di un bluff, e l’avversario è pieno come un cocomero. Chiede: “Hai fatto full di donne?”, e poi passa, mostrando però le sue carte. Il suo avversario, stupito, mostra a sua volta il suo full di assi, complimentandosi con Phil. A questo punto, in un misto di tenerezza e smargiassaggine, the Poker Brat si alza e urla alla moglie, seduta in prima fila tra il pubblico: “Tesoro, hai visto? Sarei dovuto andare rotto (perdere tutto) su questa mano. Eccetto per il fatto che si sono dimenticati una cosa: I can dodge bullets, baby!” (Io posso schivare anche i proiettili, piccola!). Gli ingredienti ci sono tutti: un campione che fa una giocata da campione, e un ragazzino che urla quanto è forte ai suoi cari, con una frase tamarra entrata da allora nella storia del poker.
Oggi Phil Hellmuth è un monumento del poker di 47 anni, ma dimostra ancora quella stessa gioia fanciullesca nell’abbracciare ogni vittoria, e nel dedicarsi al gioco che è la sua passione e la sua vita. Dopotutto, non si smette di giocare quando si diventa vecchi. Si diventa vecchi quando si smette di giocare. That’s poker, folks!
Luca Romano