
Ci fu un tempo in cui si poteva essere argentini e diventare i più forti del mondo senza essere piccoli, senza essere mancini, senza essere cattivi o maledetti o rachitici. Si poteva essere i più grandi senza portare il numero dieci sulle spalle.
Prima di Sivori-Maradona-Messi, c’era Di Stefano.
Vita e miracoli calcistici si conoscono: figlio di immigrati ischitani, il pibe di Barracas incanta calcisticamente prima il River Plate, poi gli altri Millionarios – quelli di Bogotà, poi il Real Madrid. Avrebbe fatto lo stesso anche con Barcellona e Torino, se la corte dei blaugrana e, si dice, quella dei granata, fosse stata ricambiata.
Bello? No, Di Stefano non era bello. Puskas aveva più grazia di lui. Schiaffino più genio. Ma Di Stefano è stato, forse, più grande di entrambi. E i centoventicinquemila fazzoletti bianchi del Chamartin sventolavano per rendergli omaggio.
In bianco Di Stefano vince otto Ligas e cinque Coppe dei Campioni. E il Real Madrid degli anni ’50, il Real Madrid di Puskas, di Gento e di Kopa, resta quello di Di Stefano.
Andrea Donna
@AndreaDonna