David Icke, storia di un ciarlatano divenuto guru

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In genere, quando si parla di teorie del complotto, si riesce a fatica a trattenere il riso. Prendiamo un celebre complottista contemporaneo, probabilmente il più letto al mondo: David Icke.

Un giorno, era il 1991, l’allora apprezzato giornalista sportivo della BBC si presenta nella trasmissione televisiva di Terry Wogan abbigliato con una bizzarra e squallida foggia turchese, annunciando agli spettatori di essere il figlio di Dio e predicendo immani catastrofi naturali. Il pubblico in studio, passato il primo momento di attonito sconcerto, scoppia a ridere e lo ridicolizza in diretta nazionale.

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Icke, che suo malgrado è ormai lo zimbello della Gran Bretagna, abbandona il Paese non prima di aver accusato i media di averlo voluto screditare. Va in Sudafrica e negli Stati Uniti, dove comincia a delineare spaventosi complotti millenari, orditi da una fratellanza segreta che perpetua il proprio potere attraverso una diretta discendenza di sangue. Ma questa non è nemmeno la parte più divertente. Infatti, questi infallibili e misteriosi cospiratori non sarebbero altro che dei rettiliani, o, meglio, degli ibridi alieni, capaci di mutare forma e celarsi dietro le sembianze degli uomini e delle donne più potenti della storia (i re sumeri, i faraoni, George Washington, la Regina Madre britannica, Bill e Hillary Clinton, e poi nell’elenco figurerebbe anche l’attore e cantante Kris Kristofferson, ma non indaghiamone le ragioni). Insomma, in molti cominciano a pensare che Icke abbia perso qualche rotella, e la cosa non ci sorprende.

La sua storia potrebbe terminare qui, invece assume una piega diversa. Icke non predica inascoltato. Sempre più persone partecipano alle sue conferenze, comprano i suoi libri, visitano il suo sito internet. Le sue teorie, in principio ispirate alla cultura New Age, si mescolano con un complottismo esoterico, quello delle società segrete, che da anni imperversa nella sottocultura paranoica americana. Alcuni osservatori fanno notare con preoccupazione che, quando Icke parla di rettiliani, sembra in realtà far riferimento agli ebrei e che fra i suoi seguaci si annovera un numero crescente di gruppi razzisti e neonazisti. Icke respinge ogni accusa di antisemitismo, ma il dubbio rimane.

Nel 2006 Wogan lo reinvita in televisione. Icke è un uomo totalmente diverso. Dopo anni di discorsi tenuti in pubblico, ha acquisito sicurezza ed eloquenza. Non indossa più capi stravaganti, né tanto meno farnetica di terremoti o di presenze invisibili che comunicano con lui. Dopo qualche minuto di intervista accade l’impensabile. Wogan, già in precedenza colto alla sprovvista da Icke, sbotta alle mirabolanti narrazioni del suo ospite esclamando: «L’America è un paese libero!».

Con posa e intonazione di voce da oratore consumato, Icke si fa beffe dell’ingenuità di Wogan, trascinando dalla sua parte gli spettatori dello show. A distanza di quindici anni, così, i ruoli si invertono: ora è Wogan a fare una figura barbina, mentre Icke può gustarsi la sua personale vendetta. Ecco le due interviste di Icke da Wogan a confronto.

Il risvolto più interessante dell’ascesa di David Icke – ed è soprattutto una spia di una più generale tendenza del complottismo a normalizzarsi, ovvero a trasformarsi da fenomeno di una nicchia estremista e paranoica a ideologia di massa – è dunque la credibilità guadagnata fra il pubblico, in particolare in rete. Provate a visitare il frequentatissimo sito di Icke: non troverete quasi traccia di cronache dell’orrore sui rettiliani, ma vedrete invece denunce di insabbiamenti governativi, di intrighi bancari o di bugie dei media. Insomma, Icke adesso appare in tutto e per tutto come un paladino della controinformazione, e tale lo reputano milioni (e ribadisco, milioni) di persone. Sono tutti diventati pazzi? Forse ci consolerebbe pensarlo, tuttavia sbaglieremmo.

Vorrei porre sotto la lente di ingrandimento un aspetto della faccenda. Quando fu costretto a lasciare l’Inghilterra, Icke si recò negli Stati Uniti. Non è un caso. Infatti è da lì che parte l’ondata complottista che sta ormai lambendo, a causa di Internet, anche le coste dell’Europa e dell’Italia.

David Icke fansL’America ha un’antica e assai radicata tradizione di teorie della cospirazione. Scorrendone la storia, si rimane basiti di fronte alla quantità di teorie del complotto partorite non solo da menti paranoiche o allucinate, come si potrebbe facilmente immaginare, ma anche, e soprattutto, da personalità di spicco della politica e della società.

  • Thomas Jefferson che denuncia Alexander Hamilton al presidente Washington accusandolo di tramare con gli inglesi per la restaurazione della monarchia;
  • Samuel Morse, l’inventore del telegrafo, che pubblica un libro in cui punta il dito contro una cospirazione papista e degli Asburgo per abbattere le libertà americane.
  • Henry Ford che divulga i Protocolli dei Savi di Sion, scorgendo i tentacoli di un complotto ebraico in ogni settore della vita statunitense, persino nel campionato di baseball.
  • Il senatore repubblicano Joseph McCarthy che scatena una caccia alla streghe per sconfiggere quella che lui chiama «una cospirazione su una scala così immensa da rendere insignificante ogni impresa simile tentata in precedenza nella storia dell’uomo».
  • In tempi più vicini a noi, il milionario Donald Trump che pretende che il presidente Obama esibisca il proprio certificato di nascita, così da provare di essere nato negli USA e di non aver usurpato la carica più alta del paese.

E poi aggiungiamoci tutte quelle teorie agitate da ricercatori dilettanti, predicatori religiosi, sedicenti gole profonde, leader di movimenti razzisti, conduttori di talk-show radiofonici, che mettono in guardia l’America dalle cospirazioni monetarie della Federal Reserve, dalle trame degli Illuminati, dal complotto elitista del Nuovo Ordine Mondiale, o da un’imminente apocalisse in cui i bianchi dovranno combattere contro gli eserciti multiculturali dell’Anticristo.

Gli americani, quindi, vanno matti per questo genere di cose (Hollywood lo sa bene), sebbene gli anticorpi democratici di Washington abbiano finora arginato il virus complottista. Ma in Italia? Siamo culturalmente preparati a questo genere di santoni? Finiremo anche noi per chiederci, come facevano Mulder e Scully in X-Files, se la “verità è là fuori”? Forse la questione non è “se”, ma “quando”. Ieri Icke ci faceva sorridere con i suoi lucertoloni alieni. Un domani neanche tanto lontano, però, potremmo essere costretti a prenderlo sul serio.

Jacopo Di Miceli

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