
Non è sempre necessaria una tragedia immane come quella di Lampedusa (ottobre 2013) per riflette sull’argomento-immigrazione.
Circa i fenomeni migratori, spesso ci si pronuncia basandosi su luoghi comuni e pregiudizi: questo lo fanno sia coloro che si schierano a favore sia i contrari; oppure si assolutizzano le esperienze personali, nonostante esse siano estremamente limitate e non indicative della realtà nel suo complesso.
Amalgamiamo il tutto ed ecco nascere I Luoghi Comuni. Analizziamone alcuni.
1) DOBBIAMO ACCOGLIERE GLI IMMIGRATI PERCHÉ NOI ITALIANI SIAMO STATI UN POPOLO DI MIGRANTI.
Con frasi simili spesso si cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica, specialmente la parte più ostile ai nuovi arrivi: questo genere di approccio è decisamente fallace.
Sta forse a significare che i popoli che hanno migrato poco o nulla sono autorizzati a chiudere a chiave le proprie frontiere, indipendentemente dalle proprie capacità – e necessità – di accoglienza?
Stupirebbe a questo punto notare come l’Europa Settentrionale sia così brava ad attuare l’integrazione degli stranieri nella propria società.
Senza bisogno di andare lontano, guardo a me stesso: non ho mai cambiato città, posso risalire a sei generazioni di albero genealogico senza allontanarmi più di 80 chilometri da dove vivo e lo spostamento più impressionante che i miei avi hanno fatto è stato dalla campagna alla zona urbanizzata.
Perché allora dovrei sentirmi obbligato ad accogliere qualcuno per il fatto che qualche milione di connazionali con cui non ho nulla a che spartire si è trasferito oltreoceano o anche solo oltralpe?
La ragione allora è altrove: l’accoglienza è fratellanza, umanità, la manifestazione di quello che i religiosi chiamano spirito cristiano, i laici umanesimo, e in alcune zone dell’Africa ubuntu (che è una filosofia, prima di essere un sistema operativo).
E cioè accorgerci che siamo umani non in rapporto a noi stessi, ma condividendo questo status con gli altri umani.
Ciò non si manifesta aiutando chi arriva con elemosine e regali, ma molto più semplicemente dando loro delle opportunità, che nei loro Paesi d’origine sono inaccessibili.
2) CI RUBANO IL LAVORO!
L’opportunità di mantenersi in modo decoroso con un lavoro adeguato alle proprie capacità non è scontata, ma è il modo principale in cui si può far sentire uno straniero (e anche un italiano!) partecipe della società in cui vive.
Spesso si sente affermare che la necessità porta gli immigrati a fare lavori umili che “gli italiani non vogliono fare più”. Non è del tutto vero: talvolta la verità è che gli stranieri accettano di fare quei lavori per paghe ben più basse di quanto sarebbe opportuno o addirittura lecito, a vantaggio di chi (italiani e non) riesce in tal modo a fare più profitto.
A ciò si aggiunge l’incremento degli italiani laureati: a fronte di un’economia nazionale che punta in gran parte a settori poco innovativi, il numero percentuale di laureati cresce.
Di conseguenza, si genera l’odierno flusso di emigranti italiani, più che mai composto da personale altamente qualificato.
3) RIMANDIAMOLI A CASA LORO!
Facile e comodo: risolve il problema, almeno nell’immediato. Abbiamo liberato il nostro giardino dalla “spazzatura” buttandola oltre la staccionata: qualcuno se ne occuperà.
Ma guardiamo un poco più in là. Facciamo finta che nessuno esca dai Paesi poveri.
Si tratta normalmente di Stati a notevole crescita demografica, capaci di raddoppiare la popolazione anche in soli 30 anni e le cui risorse disponibili per sopravvivere quasi mai riescono a crescere di pari passo.
Significa che abbiamo soltanto posticipato il problema: li abbiamo rimandati a casa, tra qualche anno il loro Paese potrebbe “scoppiare” con una guerra civile, una dittatura feroce, una carestia, una pulizia etnica o chissà cos’altro, e l’ondata migratoria sarà allora potente e inarrestabile.
Non è veggenza: è capitato e sta capitando tuttora, il che fa ben presupporre che potrebbe capitare ancora. Ne discende che dobbiamo fare qualcosa a livello internazionale. Qualcuno ci è già arrivato.
“Ma io li aiuto attivamente: ho una bambina adottata a distanza e regolarmente mando soldi a tre Onlus”. Lodevole. Non penso che un individuo di ceto medio possa fare di più, ma purtroppo non basta: non basterebbe nemmeno se lo facessero tutti.
Bisogna iniziare a pretendere che il programma politico della propria classe dirigente parli anche del Terzo Mondo.
Gli aiuti umanitari infatti tamponano le situazioni di emergenza ma non creano le basi per la (ri)partenza: incoraggiano anzi lo sviluppo di una cultura assistenzialista.
Si devono creare le basi per un’economia di tipo moderno, magari approfittando dell’occasione di partire dal foglio bianco (o quasi): progettare da zero un’economia capace di adattarsi alle più moderne conoscenze e sostenibile dal punto di vista umano e ambientale.
L’Unione Europea potrebbe fare molto in questo senso: ad esempio potrebbe adottare i Paesi in maggiore difficoltà, tirandone su uno alla volta, con investimenti pianificati sul lungo periodo.
Ammettiamolo: all’inizio saranno spese senza un immediato ritorno, ma quando si fanno manovre strutturali è inevitabile. Così si creerebbe la base del futuro, anche del nostro e dei nostri discendenti.
5) MA L’UNIONE EUROPEA HA GIÀ LE SUE GATTE DA PELARE, CHE QUEGLI SFATICATI SI TIRINO SU LE MANICHE!
Vi ricorda niente il Piano Marshall per ricostruire l’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale? Ecco, una roba del genere. Gli Americani hanno speso apparentemente a fondo perduto.
Invece si è trattato di un investimento: dalla ricrescita dell’Europa gli Stati Uniti hanno guadagnato con gli interessi, e stanno ancora guadagnando oggi.
L’Europa in crescita ha fatto ricca l’America. E se provassimo a far ricca l’Europa coltivando la crescita dell’Africa?
Certo, stando dietro al patto di stabilità è ben difficile avere soldi disponibili per investire, sempre che il patto di stabilità sia veramente utile al popolo: anche questo ci ricorda che tutto è collegato – le varie parti del mondo apparentemente distanti, così come i vari aspetti della società.
Lavoro, benessere, istruzione, emancipazione delle categorie discriminate, calo della natalità, fine della sovrappopolazione: è una catena virtuosa che però da sola fatica a partire.
Essendo così difficile aiutare gli altri senza nulla in cambio, possiamo essere egoisti: pensiamo che in futuro, forse, dopotutto, staremo meglio tutti quanti.
A quel punto nessuno dovrà più preoccuparsi degli immigrati, perché si migrerà per scelta e non per disperazione.
Lorenzo Pace
@twitTagli