Come tutti – spero – saprete, la scorsa domenica si sono tenute le elezioni in Germania e il risultato è stata una netta vittoria del partito Cristiano Democratico (Cdu) e, soprattutto, della sua leader (e Cancelliera uscente) Angela Merkel.
Da sola la CDU – alleata con la CSU, il partito cristiano sociale che si presenta solo in Baviera – ha preso lo stesso numero di voti di tutti i suoi oppositori messi insieme, ‘fagocitando’ anche il Partito Liberale – escluso dal Parlamento tedesco per la prima volta dal dopoguerra.
Ancora non si sa cosa deciderà di fare la Merkel: potrebbe andare al Governo supportata da un revival della Grande Coalizione con la SPD otto anni dopo; oppure potrebbe scegliere una inedita piccola coalizione nero-verde con i Grüner, il partito dei Verdi.
Costoro sono in una situazione singolare: pur avendo ottenuto un risultato insoddisfacente (tutti i vertici del partito ambientalista sono stati costretti alle dimissioni), hanno un numero di seggi sufficiente da garantire alla Merkel i voti necessari ad ottenere la fiducia.
Una cosa però è certa: i grandi sconfitti di questa tornata elettorale sono stati i socialdemocratici. La SPD, guidata da Peer Steinbrück (nella foto in basso), si è fermata a quasi venti punti percentuali dalla CDU, una sconfitta inequivocabile ed ammessa in diretta televisiva dallo stesso leader appena quarantadue minuti (!) dopo le elezioni.
La sconfitta cocente di uno dei più grandi e antichi partiti socialisti dell’occidente non può non essere un campanello d’allarme per la sinistra europea, soprattutto perché a ben vedere c’è un file rouge (ironia della onomastica) che lega la sconfitta della SPD e la non vittoria del PD (simili sono anche le ragioni della caduta verticale del consenso di Hollande in Francia, ma inserendo la variabile francese il discorso si farebbe lungo e complicato).
Apparentemente le condizioni di partenza sono totalmente diverse:
- In Germania l’economia è in ottima salute con una disoccupazione ai minimi storici; alla SPD si opponeva una leader al massimo della sua autorevolezza interna e internazionale; il partito di sinistra – la SPD appunto – è antico e solido (addirittura ottocentesco), a differenza del quasi neonato PD.
- In Italia l’economia era ed è ristagnante con la disoccupazione a livelli drammatici; la destra apparentemente è allo sfascio (costretta a sottoscrivere la grande coalizione con il PD nonostante la maggioranza in Senato) e Berlusconi messo all’angolo dalle sue medesime responsabilità, politiche e non.
Situazioni imparagonabili, a una prima occhiata; o forse no. Era febbraio, ed il PD (in particolare, Pierluigi Bersani) rispondeva timidamente agli attacchi, a volte pesantissimi, di Mario Monti rispetto alle ricette economiche necessarie ad uscire dalla crisi. “La sinistra è inadeguata ad affrontare la crisi” era un refrain gettonatissimo, cui il Partito Democratico rispondeva bofonchiando risposte confuse.
Questa mollezza non era solo dovuta ad un errore di prospettiva – commesso un po’ da tutti – nel credere in un buon risultato elettorale di Monti.
In realtà il problema era (ed è) molto più profondo: la sinistra non aveva (e non ha) elaborato un progetto alternativo all’austerità per uscire dalla crisi finanziaria in cui si è infilata l’Europa.
Nel microcosmo italiano, il risultato elettorale di febbraio fu un giudizio, quasi un referendum, sull’operato del Governo Monti. Non a caso, gli italiani al Governo Monti si sono sostanzialmente ribellati, affossando il Senatore a vita e trascinando nel baratro assieme a lui chi non solo lo aveva sostenuto fino all’ultimo, ma addirittura si proponeva di allestire “Un Governo Monti più qualcosa” (così Pierluigi Bersani al TG1 in campagna elettorale).
Un qualcosa del genere è avvenuto anche nella terra di Goethe. Andando a leggere chi di Germania se ne intende, scopriamo che la SPD non aveva un programma elettorale poi così differente da quello di Frau Merkel.
Il motivo era semplice: da una parte i cittadini hanno apprezzato le manovre economiche della CDU e la fermezza della Merkel in campo europeo; dall’altra la sinistra tedesca non è stata in grado di proporre ricette alternative – né tantomeno una visione europea diversa.
La SPD, scegliendo come candidato un ex ministro del primo governo Merkel, ha compiuto un errore simile a quello di Bersani: ha proposto la sua versione di “Un Governo Merkel più qualcosa”, sortendo lo stesso identico successo nostrano.
Le elezioni tedesche sono il punto di non ritorno per la sinistra europea: essa deve avere il coraggio di uscire dalla subalternità culturale in cui si è cacciata negli anni ’90 ed avere il coraggio di proporre una visione ed un progetto politico diversi per la società Europea, soprattutto in termini di gestione economico-finanziariazia.
Fino a quando continuerà voler propinare ai suoi elettori “il rigore più qualche cosa” è destinata a non scaldare il cuore dei cittadini né a riempire le urne.
Domenico Cerabona
@DomeCerabona