È di questi giorni la notizia dell’approvazione del Fiscal Cliff, il pacchetto di misure fiscali che garantiranno alle casse pubbliche USA altri due mesi di ossigeno e altro tempo per arginare il problema dell’enorme debito pubblico.
È stato scongiurato – dopo giorni di trattative tra Democratici e Repubblicani – l’aumento automatico dell’aliquota per la maggioranza dei contribuenti americani, previsto dalla legge per coprire i buchi delle finanze statali, in favore di un inasprimento della pressione fiscale sui soli redditi superiori ai 400.000 dollari annui. Sconfitta quindi l’opposizione dei Repubblicani e della destra ultra-liberista del Tea Party, che rischiava di compromettere l’accordo e di alzare le aliquote al 98% della popolazione, colpendo al cuore la classe media e i ceti più disagiati.
A livello economico, questo è il primo passo compiuto per non deprimere la domanda interna e per salvaguardare i servizi pubblici fortemente sostenuti da Obama (assistenza medica, sussidi alla disoccupazione, sussidi alle imprese che innovano), che verrà seguito a stretto giro da una discussione approfondita e potenzialmente radicale sui piani da attuare riguardo al debito pubblico. Ne consegue che a livello politico questo successo di Obama si configura come un’arma a doppio taglio: da un lato il presidente ha mantenuto una promessa elettorale, dall’altro questa è una mossa che espone il Paese agli errori di una politica decisa e (nel suo contesto) rivoluzionaria.
La “ricetta sociale” di assistenza e sostegno pubblico voluta dai Democratici, per quanto condivisibile a parole, riuscirà a risollevare il Paese della cultura e della morale liberista dal giogo della crisi finanziaria?
Intanto, anche in Italia si respira aria di distensione. Tradotto, significa che lo stesso Mario Monti ha allontanato dal proprio vocabolario i recenti fantasmi del disastro e del default. Proprio l’ex premier ha annunciato che “l’obiettivo è di ridurre di un punto e progressivamente la pressione fiscale, iniziando dalle aliquote più basse per dare respiro soprattutto alle fasce più deboli”. È questo il nuovo Monti politico (che strizza l’occhio a un futuro esecutivo insieme al Pd), oppure si può parlare di una nuova fiducia sulle possibilità del nostro Paese?
Molto dipenderà dalla politica congiunta sull’asse Roma-Bruxelles: taglio delle imposte al ceto medio e misure per la crescita, oppure una conferma estesa delle politiche di austerità varate negli ultimi mesi? La risposta non è semplice e gli attori sul palcoscenico sembrano divisi sulla direzione da intraprendere.
Ed è qui che Obama e la sua azione legislativa possono servire come modelli, se non di efficacia, almeno di tempestività e di convinzione. Quelle che non dovranno mancare nei prossimi messi all’UE e all’Italia per rilanciare la propria economia: che sia ora, sopratutto per la nostra sinistra, di prendere lezioni di politiche pubbliche a Washington?
Matteo Monaco