Non ho mai chiesto gli eurobond. Cioè, in linea di massima e generale non mi son mai dispiaciuti, ma non chiedo tanto.
Nemmeno mi iscrivo tra le fila di quegli illusi che vogliono una lingua comune, inglese/francese/tedesco che sia: lasciamo perdere.
Il famigerato “terzo pilastro dell’Unione Europea”, il GAI, quello della cooperazione in materia di giustizia e tutela penale, non ci provo nemmeno. È una chimera, un miraggio sahariano, un’utopia che Thomas Moore era una Giovane Marmotta, in confronto.
Anche il secondo, di pilastro, è piuttosto scricchiolante: le Politiche Estere e di Sicurezza Comune esistono e non esistono, qualcuno aveva parlato addirittura di un esercito comune – poi lo avevano preso, gli avevano messo una camicia di forza e lo avevano alloggiato assieme ad altri due matti, uno che credeva di essere Napoleone e un altro, più grave, convinto di sapere come risolvere il problema dell’evasione fiscale italiana.
Mi accontento di una cosa banale, nel mio euforico europeismo.
LE PRESE.
Non la burocrazia, non la polizia, non il cibo. Nemmeno il sistema elettorale, nemmeno mille altre cose più difficili.
Le prese.
Abbiamo fatto una moneta unica, ce l’han rovesciata addosso senza troppi perché; giriamo come trottole da un confine all’altro senza che nessuno batta ciglio – svizzeri a parte, ma prima o poi li si invade e il problema è risolto. Ma non siamo capaci ad uniformare le spine elettriche.
Evito una dotta dissertazione sulle prese di corrente: Wikipedia la sapete leggere anche voi.
Mi limito a dire che sarebbe il caso di sceglierne una, una a caso, e dire: da gennaio, tutti montano questa presa qui, punto. Perché? Perché non ha senso muovere capitali, merci e persone, fare viaggi estenuanti, arrivare in albergo e… “Cazzo! L’adattatore!”.
La casistica, nella mia personale esperienza, si riduce a pochi esempi: non mi son fermato abbastanza a lungo in Svezia e Danimarca da dover caricare il cellulare. Mi ha incuriosito, invece, la totale mancanza della cultura della messa a terra negli spagnoli: verrà la morte ed avrà i tuoi occhi, ma soprattutto il tuo amperaggio.
I cari cugini francesi coi loro impianti elettrici offrono un motivo in più per amarli: la loro presa, nome in codice “Tipo E”, è una delle più malefiche esistenti al mondo, con uno spuntone a vanificare qualunque tentativo di violenza.
Le prese svizzere (che sono svizzere, ma non solo loro: qualcuno ha avuto talvolta la bella idea di esportarle nel resto del Continente) fanno le difficili: anche qui, il buco per la messa a terra è una questione di cortesia; in compenso, quando c’è è storto, nel senso che non è sull’asse degli altri due, i quali a loro volta oppongono una qual certa resistenza.
Nulla, comunque, che un buon calcione non riesca a rimediare.
– “Mi scusi, cos’è stato quel rumore sordo, ieri sera, proveniente dalla parete di fondo della sua camera?”
– “Un topo, sicuramente”.
Fondamentale mantenere la faccia impassibile.
Alle tedesche siamo abituati. Cioè, siamo abituati per il tostapane, per l’aspirapolvere. Meno per il caricacellulare, che in Germania assume dimensioni mastodontiche ma tant’è, Berlino val bene una presa.
Atene di meno: la loro è una tedesca che non è una tedesca (niente battute), gli elettricisti la chiamano “Tipo D”, cui si aggiunge la “Tipo E”, con cui di solito si fa amicizia in Francia.
Ma i peggiori di tutti sono gli inglesi, con quelle tre odiose lineette di rame: si staccano a ogni sternuto, traballano, fanno scintille. Ma con loro è una battaglia persa.
Prima di iniziare qualunque discussione con un britannico, ricordatevi sempre il titolo sul giornale: “C’è nebbia sulla Manica: il Continente è isolato”.
Umberto Mangiardi
@UMangiardi