Converserà più di un’ora, Massimo D’Alema. Converserà, perché l’atmosfera è rilassata e lontana dalle stantie polemiche cui siamo abituati. La sala della Fondazione Amendola che ospita l’incontro è gremita, in occasione dell’apertura della festa Willi Brandt: a tenere la scena è l’ex Presidente del Copasir (ultima carica ufficiale ricoperta, almeno per quanto riguarda le istituzioni italiane).
Ma fortunatamente dal litigioso microcosmo tricolore ci si tiene ben lontani: fortunatamente, perché sfuggire al balletto di nomi, odi, inchieste, veleni (Berlusconi, Renzi, Bersani, inciuci, Grillo eccetera) imposta i contenuti su tutt’altro piano, e tutt’altro livello.
Ascoltare questa versione di Massimo D’Alema (distante dal guazzabuglio del Pd, dall’affaire Berlusconi, dalla consueta reductio ad inciucium) sorprende, e solleva, e immalinconisce: solleva, perché si può (si può!) ascoltare un politico che parla di politica, intesa come visione, come progettualità, come organizzazione pratica della vita; immalinconisce, perché noi italiani non siamo più abituati, e in genere capaci. Non siamo capaci perché inveleniti, perché ottusi, perché tutti parlano di politica e nessuno ascolta: perché il format del talk-show ha distrutto la dialettica; perché i social network sono diventati il Bar Sport elevato al cubo. Perché c’è sempre il nemico da odiare – ma ha iniziato prima lui. Fine dello sfogo.
Dicevamo: D’Alema parla di ciò che conosce meglio, per sua stessa ammissione e per via del suo ultimo incarico (è dirigente del PSE). L’Europa è al centro del dibattito, ancora una volta al di là del biascicato (e stupido, ammettiamolo) “Europa sì-Europa no”. Piuttosto, e questo è più interessante “Europa come”:
“Nel 2014 le elezioni europee sono un punto cruciale. Un punto cruciale per superare la diffidenza dei cittadini nei confronti dell’Unione Europea: non dobbiamo considerarle un referendum sul gradimento dell’Europa, anche perché l’esito sarebbe fallimentare. Dalle elezioni del 2014 dobbiamo trarre le indicazioni e le idee per un nuovo corso politico europeo“.
La crisi dell’Unione Europea è uno degli argomenti cui D’Alema dedica più attenzione:
“La percezione immediata della crisi attuale è quella di una crisi economica: ma è una percezione sbagliata. La crisi dell’Unione Europea è prima di tutto politica.
Non a caso la crisi ha origine negli Stati Uniti ma gli effetti più devastanti si sono avuti da noi. Ora, a livello mondiale, siamo l’area con il più basso tasso di crescita, a cui si unisce il più alto tasso di invecchiamento della popolazione. È ora che l’Europa si doti di un forte governo politico, per smettere di essere imprigionata dalle sue stesse regole.
L’Europa è diventata una tecnocrazia, una tecnocrazia che agisce senza l’arte della politica. L’Unione Europea si è messa nella condizione di non poter mai scegliere. Un esempio? Giappone e USA possono decidere di stampare moneta, quando necessario; la BCE invece no. Non sto dicendo che stampare moneta è la soluzione, non mi si fraintenda: si può valutare se la scelta sarebbe o meno efficace.
Ma quello che mi preme sottolineare è che all’UE manca proprio la possibilità di scegliere. Questa tecnocrazia soffocante ha generato, come sua antitetica conseguenza, una reazione: ecco spiegati allora i populismi e i nazionalismi che stanno riprendendo piede ovunque.
Senza dimenticare che l’Unione Europea a 15 era figlia di una cultura politica affine; oggi, con l’allargamento, si sono aggiunte differenze di tradizione, di concezione.Tutto questo rende l’Europa ingovernabile“.
Non usa mai la parola “oligarchia”, ma è quello il concetto cui D’Alema si riferisce: il Consiglio d’Europa che decide moltissimo a livello europeo e risponde pochissimo ai propri cittadini.
“Dobbiamo impegnarci per cambiare la politica e le politiche. Sia i singoli assetti, le singole impostazioni, sia il concetto generale di governo di questo continente. E lo dobbiamo fare per poter continuare a contare qualcosa a livello mondiale.
La situazione di oggi ha origini lontane, nel cuore degli anni ’90: da una parte la spinta del neoliberismo antipolitico; dall’altra la mancanza nel Trattato di Maastricht degli strumenti per configurare una politica economica.
Ripeto: abbiamo sottovalutato l’importanza di un governo, il cui compito principale è compensare gli squilibri. Ma questo governo manca, e l’Europa si è tramutata in una macchina che produce disuguaglianza“.
D’Alema infine si è soffermato sul suo impegno attuale: la dirigenza del PSE.
“È curioso: tutti mi chiedono opinioni sul Pd, ma fortunatamente mi occupo di altro. Ho la tessera, per carità, ma il mio lavoro è un altro. Ed è singolare che tra i soci del PSE, di cui sono dirigente, non compaia proprio il Partito Democratico. Sarebbe il caso che, tra un regolamento e l’altro, tra un candidato alla segreteria e l’altro, al Congresso di ottobre 2013 si cogliesse l’occasione per discutere di queste cosucce.
In ogni caso: il nostro obiettivo è creare una forza comune dei progressisti, unendo varie tradizioni politiche europee, dai socialisti fino a qualche liberale. Di recente sono stato a Sofia per una riunione del PSE, dove non siamo riusciti – ed è stata, per me, una grave mancanza – a sancire che nei nostri programmi l’Europa deve essere federale. Ma su altro siamo bene avviati: vogliamo istituire un sistema di solidarietà e garanzia per il debito dei singoli Stati, il Debt Redemption Found; vogliamo sviluppare una strategia di investimenti europei, dalle infrastrutture al commercio alla solidarietà sociale; vogliamo introdurre la Golden Rule, cioè la possibilità di non calcolare le spese di investimento nel computo totale della spesa pubblica. Sono cose importanti: ad esempio, la Golden Rule serve per evitare che, in tempi di crisi, la prima voce di spesa ad essere sacrificata siano appunto gli investimenti.
Abbiamo un progetto, che attueremo per le Europee del 2014, per legittimare nel rispetto dei trattati un maggiore peso politico della Commissione Europea: questa è la strada per dare un indirizzo politico a questo grande progetto. L’Unione Europea ha già conseguito l’obiettivo importantissimo della pacificazione del continente. Ora dobbiamo fare un salto di qualità, appunto a livello politico, per dare agli oltre 400 milioni di abitanti dell’Europa una chiave istituzionale per attuare la propria crescita, il proprio benessere e la propria rilevanza”.
Umberto Mangiardi
@UMangiardi