Quattro ecosistemi devastati dall’uomo

E l’acqua si riempie di schiuma, il cielo di fumi
la chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi
uccelli che volano a stento, malati di morte
il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porte.
E un’isola intera ha trovato nel mare una tomba
il falso progresso ha voluto provare una bomba
poi pioggia che toglie la sete alla terra che è viva
e invece ne porta la morte perché radioattiva.

Pierangelo Bertoli, Eppure Soffia, 1977

Ci sono ecosistemi che l’uomo ha distrutto, proprio come narra la canzone di Pierangelo Bertoli, un riassunto di quanto peggio siamo riusciti a fare alla Natura in questi ultimi anni. Ci sono luoghi della Terra che sono il simbolo di fino a dove l’uomo, con la sua cieca forza distruttrice, possa spingersi e che porteranno per molti anni la cicatrice di quello che abbiamo fatto a loro.

Mururoa

Se esistesse un simbolo dell’idiozia umana, ebbene questo sarebbe sicuramente Mururoa. Questo piccolo atollo sperduto nella Polinesia era uno straordinario paradiso naturale, uno di quegli atolli immortalati nelle tele di Paul Gauguin. Questa isoletta francese ha visto detonare 181 bombe atomiche, 41 delle quali fatte esplodere in atmosfera. Le particelle radioattive rilasciate dalle bombe hanno contaminato per sempre questo angolo di mondo – e non solo: le radiazioni di alcuni di questi test, trasportate dal vento, arrivarono fino in Perù e in Nuova Zelanda.

Mururoa

Parte dell’atollo non è accessibile e continua ad essere presidiato da navi militari francesi; foto da satellite mostrano parti dell’atollo, un tempo rigogliose di vegetazione, ridotte ad aree  desertiche. Gli esperimenti sotterranei hanno invece devastato la barriera corallina dell’atollo, privandola così di un patrimonio unico.

Il lago di Aral

Aral_Sea_1989-2008

Una foto a volte è più efficace di mille parole. Queste due immagini sono state scattate dai satelliti, la prima nel 1989 e la seconda nel 2008. L’immagine racconta la storia di un disastro ambientale senza precedenti: la distruzione di un lago.

Distruzione che inizia ben prima del 1989, come si può apprezzare in questo trittico, che mostrano come il lago sia cambiato dal 1977 (prima foto) al 1998 (seconda foto) ai giorni nostri (2010).

aral

Come è stato possibile un disastro di tali proporzioni? Com’è possibile che un lago, che un tempo era il primo lago asiatico, ampio oltre 68.000 km2, sia scomparso? Negli anni ’60 l’Aral aveva una straordinaria biodiversità, tanto da essere chiamata “l’Amazzonia dell’Asia” per la varietà di flora e fauna o anche “Mare di Aral”, per la sua estensione: oltre che essere il primo lago asiatico era il terzo lago per estensione al mondo (senza contare il Mar Caspio).

Dagli anni ’50-’60 l’Unione Sovietica si ostinò a coltivare riso, meloni, cereali e cotone in mezzo al deserto. Cominciò in questo modo una titanica opera di canalizzazione delle acque dei due fiumi che alimentavano (e alimentano tuttora) le sue acque: l’Amu Darya e il Syr Darya. Il lago di Aral si trova in una regione arida ed è soggetto a fortissima evaporazione: togliere acqua al lago ha creato uno sbilancio catastrofico, e ha fatto sì che il lago fosse destinato a morte certa.

Capolavoro nel capolavoro, il fatto che i canali non fossero perfettamente impermeabilizzati fece sì che gran parte dell’acqua che veniva tolta dal lago evaporasse durante il tragitto. Questo portò alla costruzione di altri canali per la richiesta sempre maggiore di acqua. Nel 1987 il lago si spezzò in due: a nord il Piccolo Aral, a sud il Grande Aral.

Il fatto di essere un lago salato peggiorò le cose per gli animali che vivevano al suo interno: il suo progressivo prosciugamento, causato dall’evaporazione, ha fatto sì che la salinità crescesse a dismisura. L’intensivo uso di pesticidi che veniva fatto nei campi circostanti avvelenò il lago definitivamente: dagli anni ’80 fu vietata la pesca nel lago, divenuto troppo inquinato. Con la dissoluzione dell’URSS e con il conseguente caos causato dalla suddivisione in repubbliche e dai problemi economici e sociali, il lago venne lasciato al suo destino.

Dal 2003 il Kazakhstan ha cercato di salvare il salvabile: ha bonificato l’area e ha edificato una diga in modo da portare acqua al Piccolo Aral, separandolo fisicamente da quello che una volta era chiamato Grande Aral. L’intervento, per quanto tardivo, ha dato i suoi frutti: dal 2003 al 2008 la superficie del Piccolo Aral è passata da 2.550 km2 a 3.300 km2, invertendo così il trend. Inoltre le acque sono tornate potabili ed è ripresa la pesca tramite ripopolazione della fauna.

Per il Grande Aral, invece, non c’è più niente da fare: assisteremo al suo lento e graduale declino nel corso degli anni fino alla sua scomparsa.

Il Mar Morto

Il Mar Morto potrebbe fare tra qualche anno la stessa fine dell’Aral. Il Mar Morto è un lago salato, che si trova sotto il livello del mare tra Israele e Giordania. È separato in due bacini, a nord quello più grande, con elevata profondità, a sud il secondo, la cui profondità non supera i due metri e che è quasi del tutto scomparso.

Un turista galleggia sulle acque del Mar Morto: la sua densità è elevatissima e permette di galleggiare senza sforzo alcuno. Un turista galleggia sulle acque del Mar Morto: la sua densità è elevatissima e permette di galleggiare senza sforzo alcuno.

Per la sua particolare posizione – è il più basso della superficie terrestre –  l’evaporazione è maggiore rispetto ad ogni altra parte del mondo. Anche nel Mar Morto sono iniziati negli anni ’60 i lavori di canalizzazione delle acque del Giordano che ne hanno ridotto l’apporto di acqua.

Inoltre le industrie sulle sue sponde usano l’acqua per estrarre carbonato di potassio. Si calcola che il livello del Mar Morto sia sceso di 27 metri negli ultimi 50 anni. Attualmente è in studio un canale per portare acqua dal Mar Rosso al Mar Morto per salvarlo da morte certa. Il problema è che l’acqua del Mar Morto è più salata di quella del Mar Rosso (in profondità il Mar Morto ha una salinità otto volte maggiore a quella di qualunque oceano) e quindi non si sa quale potrebbe essere la reazione chimica dovuta allo sversamento di acqua meno salata nel Mar Morto.

Foresta amazzonica

La Foresta Amazzonica era (ed è ancora) uno tra i paradisi del nostro pianeta, nella quale erano (e sono ancora) presenti migliaia di specie animali e vegetali, la maggior parte ancora ignota. La Foresta Amazzonica si estende per 6.5 milioni di chilometri quadrati e occupa il 5% della superficie terrestre. Ma la deforestazione selvaggia sta distruggendo la foresta in maniera indiscriminata: ettari ed ettari di foresta vengono tagliati per il legno e per far spazio a nuove coltivazioni, in un Brasile in pieno boom economico.

Si calcola che dall’inizio della deforestazione la superficie della Foresta sia diminuita di 1/5: dal 2000 al 2007 si calcola che la foresta perda 19.000 km2 ogni anno, un’area grande quanto il Veneto.

Amazon_rainforest

Come se non bastasse il Rio delle Amazzoni, il fiume che scorre in mezzo alla foresta, è fortemente inquinato. Negli ultimi 10 anni nel fiume sono state scaricate centinaia di tonnellate di mercurio, che stanno distruggendo la fauna e la flora del fiume. Stesso destino subiscono i suoi affluenti: il Rio Tapajos in 10 anni è stato inquinato con 800 tonnellate di mercurio.

Responsabili di ciò sono i cercatori d’oro, ma anche le industrie presenti lungo i fiumi, che scaricano i loro liquami direttamente nel Rio delle Amazzoni, condannandolo ad essere una tomba a cielo aperto e aumentando a dismisura l’incidenza di tumori tra le popolazioni indigene che vivono a contatto con il corso d’acqua.

Alessandro Sabatino

@twitTagli

Post Correlati