
La sveglia di Parigi ha suonato così:
- Macron: 24%
- Le Pen: 21,3%
- Fillon: 20%
- Mélenchon: 19,6%
- Hamon: 6,4%
WHO’S WHO
Prima di dare qualche spunto di commento, crediamo sia importante dare due o tre coordinate sui nomi in questione – giusto per capire di che cosa si parla.
– MACRON: La Repubblica lo definisce “di centro”, Wikipedia “neo-socialista”. In sostanza, è uno dei tanti nipotini di Tony Blair che cerca di propugnare la famosa “Terza via”, unione di un liberalismo più accentuato in economia unito a una tutela vaga dei diritti sociali (come Renzi). A differenza di Renzi, non ha espugnato il partito di provenienza: era a fianco di Hollande, l’ha mollato nel 2014 e ha impiegato due anni e mezzo a rifarsi una verginità.
Il suo non è un partito ma è un movimento: “En Marche”, brand copiato bellamente da Renzi nel suo nuovo progetto “In cammino”. “En Marche” è nato come una start-up, con sondaggi di opinione, profilazione degli elettori, operazioni di marketing e raccolta di dati tramite algoritmi. Ha un programma vago, liberale, liberista, europeista. Nella vita ha fatto il banchiere ad altissimo livello, ed è giustamente considerato espressione dell’ “Establishment tecnocratico-finanziario”. Insomma, la parte dell’Unione Europea che non ci piace granché.
È proprio questa la principale differenziazione tra Macron e Matteo Renzi: vero, entrambi mettono al centro il tema europeo, ma con l’Europa che ha in mente Macron (non a livello di ideali, ma di rapporti di forza tra Stati e realpolitik) l’Italia perderà ulteriormente rilievo. Macron vuole rinsaldare l’asse franco-tedesco, Renzi propone un’Europa dal volto più umano. Insomma, Renzi e Macron hanno due storie e due percorsi diversi: il fatto che siano giovani e carismatici non è sufficiente ad accomunarli.
– LE PEN: Marine è la politica francese più nota in Italia e probabilmente in Europa. È molto scafata, astuta e intelligente nel temperare la sua proposta politica molto dura con toni (quasi) accettabili in un discorso pubblico. Figlia di Jean Marie (già candidato Presidente nel 2002, poi silurato da una corsa al voto pro-Chirac di tutti gli appartenenti all’arco costituzionale), è la leader del Front National, partito di estrema destra.
Tutte le parole-chiave della destra dura del Terzo Millennio sono le sue: meno stranieri, più sicurezza, neonazionalismo, isolazionismo francese, no Europa e soprattutto no Euro. Salvini prende esempio da lei su molte cose, con molta meno incisività.
– FILLON: Candidato per la Destra Repubblicana, (il partito che prende ispirazione da De Gaulle e che è stato il partito di Chirac), ha vinto le primarie quasi a sorpresa. Ha fatto breccia nelle aree rurali e conservatrici, con un programma di stampo popolare (tipo il programma della CDU della Merkel; o quello che dovrebbe avere Forza Italia se fosse un partito serio), ma è stato devastato da scandali famigliari in cui è emerso di grossi pagamenti con fondi pubblici a vantaggio di membri della sua famiglia. Se a una debolezza endemica del candidato si somma la figuraccia da manolesta, si capisce il perché dell’insuccesso.
– MÉLENCHON: Mélenchon, anche lui ex socialista (e non comunista come dicono alcuni), ha creato un movimento nuovo costruito attorno alle sue doti di oratore carismatico e radicale, “la Francia ribelle”. Rispetto all’estrema sinistra che siamo abituati a conoscere in Italia, ha posizioni protezioniste, anti-Ue e anti-euro, ma – a differenza di Le Pen – il suo sogno non è distruggere l’Europa, ma rifondarla su presupposti di solidarietà reciproca. Da Macron lo distanzia un ampio programma di riforme sociali. Ha cannibalizzato il Partito Socialista guadagnando soprattutto il favore dei giovani di sinistra, pescando ad esempio nelle mobilitazioni delle nuit debut (le proteste degli studenti contro Hollande dell’anno scorso). In fondo, in pochi credevano in un suo secondo posto; ma il suo 20% è un risultato storico comunque.
– HAMON: Candidato per il Partito Socialista, in teoria doveva raccogliere l’eredità di Hollande. E in effetti l’ha fatto: uno dei peggiori presidenti francesi della storia recente gli ha consegnato un partito in pezzi e un’opinione pubblica disgustata. Hollande era stato salutato come “innovatore” perché aveva rinunciato alle auto blu; dopo 5 anni in cui ne sono successe di tutti i colori (scandali sessuali, tentennamenti in politica interna, un tot di attentati sul suolo francese, la pessima figura con i migranti respinti a Ventimiglia: queste solo le cose più grosse), i francesi non volevano più nemmeno vederlo dipinto.
Degno compare di Hollande è stato Valls, che ha passato gli ultimi tre anni a rincorrere l’agenda politica dettata dalla Le Pen in politica interna, e da Bruxelles sulla politica estera. Il Partito Socialista Francese è imploso in sede di primarie ed è arrivato alle elezioni nelle peggiori condizioni possibili. È il quarto partito di sinistra socialista a polverizzarsi in Europa, la cosiddetta Pasokizzazione: dopo il Pasok greco, il PSOE spagnolo e i socialisti olandesi, tocca alla Francia.
QUESTA LA SITUAZIONE, ORA IL COMMENTO PER PUNTI
1) Per la prima volta dal dopoguerra nessuno dei due grandi partiti (Repubblicani e Socialisti) va al ballottaggio. È un’altra conferma della enorme crisi in cui versa la dialettica politica occidentale per come la conosciamo da 60 anni a questa parte: vale in Francia, in Italia con il Movimento 5 Stelle, perfino negli Stati Uniti con la mina vagante Trump che ha fatto saltare il banco.
2) Per la seconda volta di fila il presidente francese uscente viene mandato a casa a calci nel sedere dopo il primo mandato. Certo, la situazione contemporanea è complessa; ma mandare avanti degli inetti come Hollande e Sarkozy non aiuta.
3) Le primarie, piaccia o non piaccia, sono uno strumento superato. O se non altro, noi europei continentali non le sappiamo usare: Fillon e Hamon le hanno vinte e sono finiti male.
4) La corsa alle Presidenziali pare segnata, perché verosimilmente i moderati (anche qui! Li hanno anche qui!) cercheranno di evitare una presidenza Le Pen. Ma a giugno si vota per il Parlamento, e difficilmente qualcuno avrà la maggioranza. Sarà davvero divertente.
5) Cinque candidati, quattro attorno al 20%: chiunque vincerà sarà rappresentante di una infima parte della società, e avrà un compito duro nel farsi accettare.
6) C’è talmente voglia di sinistra che un candidato improbabile come Mélenchon, senza manco un partito dietro, sfiora il colpaccio con una campagna quasi individuale.
Adesso il suo 20% fa gola a Macron, ma è difficile pensare che l’elettorato di Mélenchon sia disposto a votare uno che ha lavorato alla più importante acquisizione di Nestlè degli ultmi 20 anni. Dal canto suo, Mélenchon si guarda bene dal fare endorsement: punta alle legislative e non vuole sprecare capitale politico.
7) Macron, dando per scontato che vinca, non riuscirà/ non vorrà cambiare nulla, sia perché è l’espressione più pura dell’establishment sia perché dovrà coabitare in una grande coalizione.
Fra 5 anni, se anche la sua esperienza sarà fallita (ed è altamente probabile, viste le premesse), lo scontro sarà direttamente fra estrema destra ed estrema sinistra. Non è che puoi andare avanti all’infinito con il fronte repubblicano.
8) Macron rischia di diventare il modello per l’Europa continentale, le larghe intese stipulate già nelle urne. Con il ballottaggio può essere un risultato vincente per le presidenziali, ma a giugno vedremo come funziona su un’assemblea come appunto il Parlamento.
9) Vedremo se lo scontro “sovranisti contro europeisti” premierà i secondi. Tanto per cominciare è arrivato l’endorsement di Juncker e di tutte le tecnocrazie europee in favore di Macron: forse non il modo migliore di farsi amare dai ceti più bassi e in difficoltà della popolazione.
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