Questa è una recensione de Gli Ultimi Jedi per chi, a differenza dei Sith, non vive di assoluti.
Chi vive Guerre Stellari in termini assoluti è Umberto, direttore di Tagli Magazine e noto maestro Sith torinese, famoso per emettere fulmini dalle mani quando non trova parcheggio in Vanchiglia – quartiere di movida a basso costo.
A lui Gli Ultimi Jedi non è piaciuto, in modo categorico. E, a leggere la sua recensione, non gli era piaciuto troppo nemmeno Il risveglio della Forza, anche se prima di vederlo era talmente in hype da partecipare a una maratona.
A me è piaciuto, in modo relativo; e se c’è un insegnamento costruttivo da trarre dall’ottavo capitolo della Saga, è il valore della moderazione e l’importanza delle zone grigie che galleggiano tra il bene e il male.
Gli Ultimi Jedi abita in una zona grigia a metà strada tra bello e brutto, ma è la cosa più lontana da “mediocre” che abbia visto al cinema da anni a questa parte. È in tutto e per tutto un film memorabile, l’interpretazione personale di un autore alla mitologia eterna e quasi sacra rappresentata dall’universo di Star Wars. E questo lo considero un dono e un pregio piuttosto importante, in un’epoca di omologazione cinematografica sfrenata, dove ogni prodotto che contiene al suo interno il marchio “Disney” finisce bene o male con il dovere rispondere sempre agli stessi parametri.
Allo stesso tempo, Gli Ultimi Jedi è un film imperfetto e sbilanciato a livello di storia. Ha più di una forzatura nel tentativo costante di inserire momenti comici anche quando non sarebbe necessario, e l’approfondimento di qualche personaggio viene sacrificato senza farsi troppi problemi.

Gli Ultimi Jedi comincia praticamente dove finisce il capitolo precedente: Rey ha trovato Luke Skywalker, Finn è in una specie di “coma spaziale”, Poe Dameron fa battute sferzanti a bordo di un X-Wing e Kylo Ren ha il broncio più di me quando devo fare shopping natalizio.
Dai primi minuti del film è chiaro che l’entusiasmo e l’attenzione del regista sono sbilanciati sul “triangolo umano” composto dalla relazione tra Rey, Luke e Kylo Ren.
Il resto della truppa entra di diritto nella categoria “personaggi secondari”, e questo comporta il sacrificio, in termini narrativi, di personaggi appena introdotti al pubblico come quello interpretato da John Boyega, che invece aveva rubato la scena ne Il Risveglio della Forza.
Ci sono due dati oggettivi da sottolineare parlando del cast de Gli Ultimi Jedi. La prima è che si tratta della miglior interpretazione in un film di Mark Hamill: al suo Luke anziano sono riservati alcuni fra i migliori momenti del film, e il veterano della Saga racconta il suo storico personaggio con intensità emotiva e con il giusto calore da distinguerlo dai suoi “maestri spirituali” Obi-Wan e Yoda. Luke è un Jedi in pensione disilluso e scettico, più fragile che eroico e costantemente a freno per la paura di scivolare nella tentazione del lato oscuro.
Sempre a proposito del cast, è praticamente impossibile non legare la presenza di Leia alla scomparsa della sua interprete, Carrie Fisher, poco dopo la fine delle riprese del film.
È lecito odiare Gli Ultimi Jedi; è lecito trovare insopportabile ogni minuto del film, e non sarò io a difenderlo dai suoi evidenti problemi.
Ma è impossibile non ammirare l’opera di Rian Johnson come un autentico e commovente addio a un’icona come Carrie Fisher, la cui presenza e futura assenza è gestita con dolcezza e delicatezza.
Si potrebbe quasi affermare che Gli Ultimi Jedi è il film dell’intera Saga che concede più spazio e dignità al personaggio della principessa Organa/Amidala/Skywalker (mai capito quale dovrebbe essere il suo cognome): è una leadership silenziosa e autoritaria, il contraltare perfetto alla cattiveria “fumettosa” del Primo Ordine.
Daisy Ridley e Adam Driver sono gli altri due interpreti a cui il film permette di sviluppare in misura adeguata un percorso, soffermandosi sulla relazione tra i due personaggi e arrivando a situazioni e dinamiche niente affatto banali o addirittura inaspettate.
Lo spettatore vive con il germe del dubbio che Rey possa davvero “cedere” e passare al Lato Oscuro, tanto quanto assiste ad un Kylo in eterno conflitto con il suo irrisolto “lato luminoso”.
Il pregio più grande del film è farci capire che in fondo luce e tenebra si sovrappongono, e la classica divisione tra buoni e cattivi dovrebbe essere un elemento superato nel fantasy contemporaneo.
Sovvertire le aspettative e rovesciare dinamiche classiche o prevedibili è una costante del cinema di Rian Johnson, un autore che da sempre scrive con un registro profondamente “meta-testuale”, pensando di fare un commento sul genere più di quanto abbracci il genere stesso. Se vi andate a rivedere “Brick”, vi rendete velocemente conto che non è un film noir; è un film sul noir.
Allo stesso modo, Gli Ultimi Jedi è più un film su Guerre Stellari di quanto sia Guerre Stellari. E questo potrebbe fare arrabbiare un sacco di gente, ma almeno non si risolve nella scimmiottatura stantia come potrebbe essere in mano a un punto di vista meno originale.
Basta pensare che in questo film, in barba alle battute sulla galassia con il tasso di popolazione femminile più basso mai registrato (nella vecchia trilogia Leia era praticamente l’unica donna), aleggia un femminismo strisciante ma assolutamente delizioso per come rovescia dinamiche di divisione dei ruoli che sembravano andare in una direzione molto scontata. Al personaggio di Laura Dern è affidato uno dei momenti più alti dei quasi 50 anni di questa epopea, ed è significativo che il “manifesto” di questa denuncia non siano i cattivoni di turno, ma un personaggio eroico e adorato dai fan.

C’è un sacco di roba non tipicamente “Starwarsiana” nell’ultimo Star Wars: ad esempio, era dai tempi di Han e Leia che non si avvertiva una specie di “tensione sessuale” tra due personaggi che proprio non sarebbero fatti per stare insieme, e non venitemi a parlare di Anakin e Padme.
Era dai tempi delle prime lezioni di Yoda nel sistema Degobah che non era offerto un’approfondimento spirituale attorno all’idea della Forza e del suo essere alla portata di tutti, non limitata a una cerchia di sacerdoti illuminati.
Il fatto che Gli Ultimi Jedi sia un film più personale e meno “canonico” di quanto sarebbe lecito aspettarsi genera i momenti più alti del film, ma anche quelli meno convincenti. Come ho già scritto, le scelte di gestione del cast corale sono quantomeno discutibili e c’è una sottotrama in particolare che non va assolutamente da nessuna parte, e la sensazione è che si tratti di un superfluo allungamento del brodo per dare ad alcuni personaggi qualcosa da fare. A parziale difesa di questa sottotrama, i suoi protagonisti incarnano ancora una volta lo spirito “progressista” di questa nuova saga, e rinnovano il messaggio che i veri eredi del marchio Star Wars non saranno per forza solo uomini bianchi come Hux e Kylo Ren, ma anche gente di etnie e generi diversi.
Un altro problema che è impossibile omettere riguarda la struttura della storia de Gli Ultimi Jedi e il suo, in definitiva, non essere una storia: la trama principale dovrebbe ruotare attorno al lento inseguimento della flotta del Primo Ordine ai danni delle forze della Resistenza, ma l’attenzione è clamorosamente spostata sulla vicenda di Rey.
Mi sono già lamentato delle forzature comiche all’interno di momenti in cui non se ne sente la necessità. Questa è una tendenza che riguarda i prodotti del marchio Disney in generale, e la recente gigantesca acquisizione di Fox non potrà che estendere un processo di assimilazione violenta in corso da almeno 10 anni.
Il futuro del cinema americano sarà sempre più sotto la bandiera della Disney, e la speranza è che nei prossimi anni si arrivi a una superiore diversificazione di toni e stili.
È particolarmente triste che Gli Ultimi Jedi abbia finito con il ricordarmi un film Marvel, perché a me i film Marvel piacciono pure, ma già ne escono 3 all’anno.
Non abbiamo bisogno che tutte le proprietà intellettuali diventino la stessa cosa, perché questo diminuisce il nostro spirito critico e ci costringe a “mangiare solo fast-food”, che ogni tanto va bene ma alla lunga può fare del male.
Ci avviciniamo a un futuro composto da un nuovo Guerre Stellari ogni anno, e mi rendo conto che questo dovrebbe suscitare reazioni violente in un senso o nell’altro: gioia scomposta, odio, stanchezza e affaticamento.
Chi scrive è convinto che esista un pericolo nell’essere esposti a “troppo Star Wars”, anche se da bambino non avrei mai immaginato di pensarlo.
Per me da bambino non esisteva qualcosa di simile al “troppo Star Wars”, perché era come dire “troppe vittorie del Toro” o “troppi cloni di Scarlett Johansson”.
Con questa prospettiva, mi rendo conto che una recensione “tiepida” possa apparire più deludente di una recensione calda o fredda.
Dal mio punto di vista, Gli Ultimi Jedi è il film perfetto per mettere in funzione i propri motori della moderazione, apprezzare in buona fede i momenti molto belli (che ci sono, eccome) e criticare con coscienza i momenti molto brutti (che, ahimè, ci sono pure quelli).
Per un film il cui cuore pulsante racconta di bilanciare l’equilibrio tra luce ed ombra, mi sembra un punto d’arrivo appropriato.
Davide Mela
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