Europee: Sinistra in crisi di identità, Destra chiamata al cambio di passo

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Il risultato europeo della consultazione di ieri consegna un’Europa in crisi (anche) di identità. In Italia saremo offuscati dal clamoroso risultato del Partito Democratico, e dunque le valutazioni continentali (quelle che importano veramente) verranno effettuate, forse, solo tra qualche tempo.

Il crollo verticale del PSE nelle rappresentanze nazionali viene attenuato dal sorprendente risultato italiano, che incide sulla somma delle varie risultanze locali ammorbidendo il delta: passa infatti da 196 europarlamentari a 186, ed il gruppo riequilibra il suo peso in favore della compagine italiana – in forza dei tanti eletti del PD.
Ma questo è un palliativo, ed è il caso che la sinistra continentale se ne renda conto in fretta.
Essa vive, amplificato, lo psicodramma che quest’area in Italia conosce bene. Frammentazione, poca chiarezza nelle proprie priorità, confusione sul suo modo di intendersi e di proporre una visione della realtà.

A Strasburgo queste varie anime non si sommeranno: ma è interessante vedere la potenza del pensiero progressista-socialista che si autodistrugge per l’impossibilità di mediare al suo interno. C’è l’anima ecologista e (concedeteci l’iperbole) pauperista dei Verdi, che ottengono 55 deputati; c’è l’anima oltranzista e radicale incarnata da Tsipras che ottiene 44 seggi.
Sono tanti, 99 deputati su 751, ed è giusto che queste istanze abbiano una loro autonoma rappresentanza. Il fallimento del PSE sta nel mancato contenimento di queste tensioni: non riuscire a far convergere l’elettorato borderline su di sé è una dichiarazione di inadeguatezza emessa dai cittadini.
Dunque il PSE non sfonda nei moderati (che si rifugiano nei conservatori) e non sfonda nei radicali, i cui partiti di riferimento crescono a livelli impressionanti: la Linke tedesca tiene, ad Est sono tornati i partiti comunisti e in Spagna, fra gli indignati di Podemos e Sinistra Unita, si è toccato il 18%.
Il PSE si mantiene in questa area di sereno buonsenso senza assumersi la responsabilità di una programmazione politica equa: si limita a proporre ideali e dichiarazioni di principio, la cui concretezza sfugge e perciò non affascina.

Il PSE gioca di rimessa, accusa ma non scioglie i nodi: perciò non convince e dunque viene sbaragliato in Paesi come la Francia (che al netto di Sartre e del 1789 dovremmo iniziare a considerare intimamente conservatrice), la Spagna e la martoriata Grecia.
Lasciando perdere la Gran Bretagna, che vive di dinamiche sue meritevoli di un approfondimento a parte, perfino il socialismo più maturo, spendibile e signorile (quello tedesco) patisce l’egemonia interna ed estera della Merkel: del resto, una volta che i tedeschi hanno trovato un ruolo di strapotenza a scapito dei vicini di casa, è una pretesa ingenua chiedere loro di autocastigarsi e rinunciarvi.
Presuppone una maturità e una consapevolezza sopra la media; e del resto per convincerli servirebbero argomenti decisivi – che il PSE non ha (o se li ha, non ha la decisione per consolidarli).

L’altro versante dell’elettorato europeo è una destra che desidera cambiare passo, ma non sa come. Se la sconfitta del PSE è una sconfitta (e lo è: -10 eurodeputati), quella del PPE è una debacle: da 288 a 212, cioè 76 deputati in meno. Perché? E dove sono finiti?

Sul perché, la risposta è semplice: il popolarismo si fonda sulla medio-piccola borghesia, che è stata erosa. Al di là della Germania, dove è logico, consequenziale e necessario che la CDU della Merkel la faccia da padrone, sorprende la reazione spagnola (nel senso di “reazionari”) ed inquieta non poco l’Est (ci arriviamo).
L’Europa ha bocciato senza appello il rigore nei conti popolare, figlio ideologico della cultura cristiana di cui il PPE è esponente; invece, quelli che questo rigore se lo sono potuti economicamente permettere sono rimasti in pochi. Dunque, ecco spiegato il tracollo.

Ma dicevamo che l’elettorato di destra vuole cambiare passo: come? C’è una risposta matura ed una risposta isterica: l’ALDE – i liberali dell’impronunciabile Verhofstadt – perde il 30% dei suoi deputati (passa da 100 a 70: una legnata senza discussioni) ma guadagna un Paese, l’Olanda (ok, anche la Repubblica Ceca e l’Estonia: ma gli orange sono membri fondatori, e questo politicamente ha un peso).
Non un granché, si dirà: ma perdere potere in Parlamento per acquistarne nel Consiglio (in virtù di una riequilibratura delle dinamiche politiche interne olandesi) non è poi così una tragedia, stanti le prerogative che i Trattati conferiscono al Parlamento.
All’ALDE è mancato il Sud Europa, e se si va a vedere da chi è stato rappresentato ad esempio in Italia il tutto apparirà francamente ovvio: l’ALDE doveva scommettere sull’ectoplasma-Monti (Senatore, che fine ha fatto? Tutto bene? È costipato?), su FARE per fermare il declino (che dopo la vicenda-lauree del fondatore e leader carismatico è esploso in un fragore di risate e sberleffi) e su Brunone Tabacci, che ai più è noto per una pagina Facebook dissacrante che non è manco stata una sua idea.
Insomma, l’ALDE dovrebbe chiedere loro i danni.

La risposta isterica, e qui torniamo seri, è inquietante: la Francia si consegna alla Le Pen (che troppo frettolosamente bolliamo come fascista: non brilla per simpatia, ma non rientra nella definizione che la Storia ci ha consegnato); l’Ungheria vede lo Jobbik (neonazisti senza mezze misure: xenofobi, antisemiti e paramilitari) affermarsi come seconda forza dietro un primo partito formalmente popolare e sostanzialmente estremo; la Lega Nord tiene alla grande (Salvini è dissonante, ma è un politico col senso del gol); Danimarca, Belgio e Polonia si consegnano agli euroscettici.
Queste tendenze dovranno essere gestite con maestria (e francamente, sul talento di Junker a riguardo nutriamo i più seri dubbi) perché sono centrifughe, e l’Europa può permettersi tutto (la crisi, l’implosione dei debiti pubblici nazionali, i reazionari e chi più ne ha più ne metta) ma non il proprio smembramento, sia esso politico (attraverso il gruppo europeo dell’EFD) o sia esso traumatico (sì, lo Jobbik fa davvero paura).

Se dunque il PSE pare aver smarrito la ricetta per la prosperità, il PPE pare non conoscere più quella della pace. È una responsabilità più grave, più grande, più avvolgente.
Crescono “gli opposti estremismi” come reazione alla crisi, mentre i pachidermici partiti maggioritari arrancano. Molti in Europa a questo punto prospettano una Grande Coalizione, e la cosa potrebbe essere l’Uovo di Colombo oppure il più tragico degli errori.
Tutto si giocherà su come questo “Compromesso Storico 2.0” verrà accordato: se si tratterà del cerchiobottismo più democristiano della Storia, in qualche modo l’Europa ne verrà fuori; ma se il PSE si presterà per interessi nazionali imperscrutabili al facile dominio del PPE, verrà di fatto fagocitato per i prossimi 5 anni.
A quel punto la catastrofe sarebbe dietro l’angolo.

Umberto Mangiardi 
@UMangiardi

Foto di copertina: Repubblica.it

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