
Questa è una storia di letteratura, cronaca, giornalismo di inchiesta; questa è la storia di un libro; ma, come tutte le storie che si rispettino, è anche una storia di amore e morte.
Anne Erelle è una giornalista francese a cui piace indagare in prima persona, ed in questi anni ha avuto parecchio materiale di cui occuparsi: di solito racconta di jihad, integrazione, banlieu e reclutamento di foreign fighters.
Gran Bretagna, Germania, Belgio, Francia, Olanda e anche Italia: ecco da dove partono, ogni anno, molti ragazzi e soprattutto molte ragazze: abbandonano questo disorientato e inospitale occidente per finire tra le fila dell’Esercito del Califfo. Le donne, ovviamente, diventano le mogli dei soldati in armi.
Per indagare, la Erelle si costruisce una serie di identità fasulle sui social network, e getta un paio di esche invitanti. Una di queste si chiama Melodie.
Scorrendo le pagine di “Nella testa di una jihadista” (edizioni Tea-Tre60) si viene catapultati in un mondo molto meno rarefatto e distante di quanto ci costringiamo ad immaginare: la jihad non è distante, ed è facile essere reclutati.
L’alter-ego di Anne, questa Melodie, è un ragazza che vive nella periferia di una grande città. Nonostante la sua giovane età non ha avuto un’esistenza semplice: vive una condizione di abbandono e sperimenta difficoltà materiali e relazionali. Anne le costruisce un’anima travagliata, abituata a vagare senza meta in un quartiere complicato, immersa in quella cultura di strada in cui vige la legge del più forte, i più deboli sono disprezzati e picchiare duro è considerata un virtù. Annoiata, emarginata, senza punti di riferimento: una come Melodie ha bisogno di essere amata, di essere accettata, di trovare un amante ma anche una guida, un amico ma anche una figura paterna.
Melodie, e quindi Anne Erelle, trova qualcuno che fa al caso suo. Si chiama Abu Bilel, e scrive dalla Siria: qualcuno ha abboccato.
Questo Abu Bilel si presenta alla fantomatica Melodie dopo aver visto i numerosi ammiccamenti alla Guerra Santa presenti sul profilo della ragazza: sembra proprio una simpatizzante, questa francesina. Da lì iniziano a conversare sempre più di frequente, e non ci vuole molto ad Abu Bilel per svelare chi è e cosa fa.
Abu Bilel è un europeo, ma si è trasferito da tempo in Siria a fare il mujahiddin: è un pezzo grosso dell’ISIS, e passa le sue giornate a capire se e quanto la sua causa può essere sposata in occidente.
Vuole adepti, vuole compagni d’arme, vuole una donna.
Ai suoi occhi Melodie è quanto di più appetibile: spaesata, non integrata, rabbiosa, confusa (l’ha disegnata bene, Anne Erelle: proprio la preda perfetta).
Pian piano il guerrigliero inizia a plagiarla, o almeno così crede: in questo gioco di burattinai che diventano burattini Abu Bilel convince Melodie a sposare non solo la Guerra Santa, ma anche lui, carismatico e affascinante combattente con cui da qualche mese chiacchiera su Skype.
Anne Erelle si rende conto di quanto sia facile cadere nelle grinfie di questi personaggi: Abu Bilel è un tagliagole, ma è anche un galantuomo. Circonda Melodie di attenzioni che mai ella avrebbe ricevuto in Francia: la forza persuasiva di una situazione come la guerra civile in medioriente, paradossalmente, si dispiega con tutte le sue forze nei confronti di chi è additato, escluso, senza la minima prospettiva in occidente.
La divisione sociale delle nostre città è opprimente, e le varie Melodie di Utrecht, di Birmingham, di Milano, di Tolosa vedono la guerra e la barbarie dell’ISIS come occasione per liberarsi, per avere un futuro o anche solo un ruolo e un riscatto. Qualunque esso sia.
Una storia non solo francese, dunque, e che ripropone in una nuova chiave interrogativi che la società occidentale è chiamata a porsi. Come arginare il problema?
Abbiamo toccato con mano come una ragazza italiana possa improvvisamente convertirsi e diventare un soggetto lontano anni luce dalle conquiste della civiltà occidentale; per non parlare chi non può trovare queste basi di convivenza, accettazione del prossimo e socialità nei nuclei familiari di origine.
Esistono figure, come ad esempio gli operatori sociali impegnati nell’educativa di strada o nella mediazione culturale, che hanno il compito di intercettare queste sacche di disagio ed emarginazione ed intervenire prima dell’arrivo dei novelli “cattivi maestri”.
Le città europee sono piene di potenziali Melodie: nei parchi, nei campetti in cemento della prima cintura contorniati da case popolari si individuano facilmente questi piccoli greggi chiusi composti da sfaccendati e dimenticati.
Mentre i ragazzi di ceto più elevato possono anche solo pensare di inserirsi nel gruppo di teatro di quartiere, nella squadra di basket, nelle serate tra amici in centro, nella curva della squadra di calcio, a questi nuovi ultimi non è chiaro nemmeno da che parte iniziare.
Sono potenziali abbandonati sociali. Persone che semplicemente non sanno come entrare a far parte dei nostri passatempi più banali ed avere una loro identità: esclusi, isolati, abbandonati e senza alcun presupposto per crearsi una alternativa.
Ecco cos’è la tanto nebulosa “integrazione”: non solo “lasciar vivere”, “tollerare”, ma creare concrete alternative.
In altre parole, dare a questa gente un senso, dare loro un futuro e dare un senso al loro futuro.
Eleonora Ferraro
(ha collaborato Umberto Mangiardi)
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