Forse no.
Capitolo ambiente, viabilità, parcheggi, caos e via discorrendo. Ragioni validissime, per carità, che denotano però un certo qual provincialismo che Torino, nonostante Olimpiadi e recente ribalta internazionale non sembra essersi mai del tutto scrollata di dosso.
E infatti il buon Antonelli che stupido non era, di fronte alla titubanza dei notabili dell’epoca, guardò tutti e disse “O la faccio così o arrivederci”.
Già, peccato non aver sfoderato tanta solerzia e tanto tempismo quando nel Valentino è stato steso l’asfalto e disegnate le strisce blu. Unico caso di parco al mondo con le automobili all’interno.
Un panorama che qualsiasi turista sogna di ammirare venendo a Torino.
Oltre ad offrire, particolare non certo secondario, una vista a 360° su collina e centro città.
Turismo, arte, terziario e la tanto vituperata movida potrebbero essere le carte da giocarsi in un futuro nemmeno troppo lontano tenendo conto del fatto che Torino è e resterà méta di un turismo di nicchia, elitario e sofisticato che ne fa un unicum ma che la colloca al tempo stesso e per forza di cose dietro alle città d’arte.
Di qui un’esigenza di non scadere mai nel banale, di reinventarsi continuamente, di stupire.
A Torino e alla sua rinnovata vocazione no di certo.
Gioverebbe invece riflettere sul fatto che l’innata refrattarietà al cambiamento più volte dimostrata da questa città e dai suoi abitanti ci ha privati di tanti altri primati e motivi di orgoglio, ci ha costretti ad attendere per decenni una metropolitana ed un passante ferroviario, determinando una rincorsa tardiva ad altre città.