Niente ruota, siamo sabaudi

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Torino come Londra, Siviglia, Vienna, o Belfast? Torino prima città in Italia (si, ancora una volta per non smentirsi mai)?
Forse no.

 

L’ipotesi di una ruota panoramica calata nel cuore del Valentino ha risvegliato nei torinesi gli agenti patogeni della sindrome Nimby (Not in my backyard).

 

Le tesi contrarie sono più o meno le stesse che accompagnano solitamente questi progetti. La sostenibilità ambientale, la viabilità che tenderebbe verso il caos, la regressione del parco ad un immenso luna park e l’immancabile quanto abusato refrain dello spreco di pecunia pubblica, tanto di moda in tempi di vacche magre.

 

 

Almeno su quest’ultimo punto ci sentiamo di rassicurare quanti non avessero ancora capito che la ruota verrà, o meglio verrebbe finanziata da una cordata di imprenditori. Nemmeno un centesimo uscirebbe dalle casse dell’erario cittadino.
Capitolo ambiente, viabilità, parcheggi, caos e via discorrendo. Ragioni validissime, per carità, che denotano però un certo qual provincialismo che Torino, nonostante Olimpiadi e recente ribalta internazionale non sembra essersi mai del tutto scrollata di dosso.

 

 

Non è possibile che in questa città, liberatasi del cliché di grigio ed inospitale agglomerato industriale, ad ogni accenno di progresso o novità ci sia subito un comitato, un gruppo di cittadini, una masnada di sedicenti paladini dell’ambiente e della sostenibilità pronta ad immolarsi per impedire la costruzione di un grattacielo, di un complesso residenziale, di un viadotto o la pedonalizzazione di una via o di una piazza.

 

Se all’alba del 1863 si fosse svegliato un comitato di cittadini ante litteram ipoteticamente denominato “No Mole” oggi non potremmo baloccarci con il nostro simbolo.
E infatti il buon Antonelli che stupido non era, di fronte alla titubanza dei notabili dell’epoca, guardò tutti e disse “O la faccio così o arrivederci”.

 

 

Tornando però alla ruota. Le accuse più vibranti non potevano che arrivare dagli ambientalisti che lamentano l’usura, addirittura “intensissima” del parco.
Già, peccato non aver sfoderato tanta solerzia e tanto tempismo quando nel Valentino è stato steso l’asfalto e disegnate le strisce blu. Unico caso di parco al mondo con le automobili all’interno.

 

E gli ambientalisti hanno anche dei suggerimenti sul sito ideale in cui collocare l’odiata ruota. Alla Pellerina o alla Continassa con una splendida vista sul nuovo stadio della Juventus, sui casermoni delle Vallette o sui resti della Thyssenkrupp e sulla tangenziale.
Un panorama che qualsiasi turista sogna di ammirare venendo a Torino.

 

 

Un’attrazione come la ruota panoramica richiamerebbe turisti, creerebbe un indotto positivo in una zona pressoché priva di negozi e tutto questo – giova ripeterlo – a costo zero per la città e quindi per le tasche di Pantalone.
Oltre ad offrire, particolare non certo secondario, una vista a 360° su collina e centro città.

 

I tempi in cui “Mamma Fiat” provvedeva quasi da sola al fabbisogno di questa città sono finiti, appartengono al passato.
Turismo, arte, terziario e la tanto vituperata movida potrebbero essere le carte da giocarsi in un futuro nemmeno troppo lontano tenendo conto del fatto che Torino è e resterà méta di un turismo di nicchia, elitario e sofisticato che ne fa un unicum ma che la colloca al tempo stesso e per forza di cose dietro alle città d’arte.
Di qui un’esigenza di non scadere mai nel banale, di reinventarsi continuamente, di stupire.

 

 

Perché quindi rinunciare ad un’attrazione che confermerebbe la nostra secolare tendenza al primato? Cui prodest cotanto ostracismo?
A Torino e alla sua rinnovata vocazione no di certo.
Gioverebbe invece riflettere sul fatto che l’innata refrattarietà al cambiamento più volte dimostrata da questa città e dai suoi abitanti ci ha privati di tanti altri primati e motivi di orgoglio, ci ha costretti ad attendere per decenni una metropolitana ed un passante ferroviario, determinando una rincorsa tardiva ad altre città.

 

 

 

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