
Chi crede che il mondo occidentale proseguirà la propria espansione, culturale ed economica, per i prossimi decenni, sarà costretto a riconsiderare i suoi calcoli. A molti è sfuggita una manovra imponente da parte della Cina, che riguarda il predominio e la gestione delle cosiddette “terre rare”.
Di che si tratta? Sono 17 elementi chimici, ciascuno col suo posticino nella tavola periodica degli elementi che tutti abbiamo visto e adoperato almeno alle superiori. La loro caratteristica è di essere estremamente rari, difficili da estrarre, presenti in quantità modeste in mezzo a giacimenti di minerali più comuni. Sono quelle cerchiate di rosso nell’immagine qui sotto.
Servono da materia prima per il mondo tecnologico, così come lo concepiamo oggi e soprattutto per come evolverà domani: vengono adoperati per costruire superconduttori, magneti industriali, batterie elettriche a lunga durata, laser, fibre ottiche, generatori di microonde, strumenti per la saldatura industriale. Molti di queste invenzioni sono alla base dello sviluppo mondiale degli ultimi 20 anni.
Chi gestisce le terre rare gestisce la tecnologia: chi gestisce la tecnologia, gestisce l’economia. Dopo il 1985, è la Cina la maggior estrattrice di terre rare al mondo: il 95% del materiale messo sul mercato proviene da riserve orientali. Il restante 5% è di provenienza nordamericana, con piccole percentuali lasciate a giacimenti di Brasile ed India.
Negli ultimi anni alcune rilevazioni geologiche hanno rinvenuto possibili giacimenti di terre rare nel cuore dell’Africa subsahariana: la Cina è stata la prima a mettere le mani su questo tesoro, per il valore intrinseco della risorsa e per consolidare la posizione del proprio monopolio.
L’unica potenza capace di contrastare questa politica aggressiva ed espansiva da parte della Repubblica Popolare Cinese sarebbero gli Stati Uniti d’America. Ci hanno provato, ché a nessuno piace vedersi sfuggire le risorse per perpetrare la propria egemonia sul pianeta. Ma non ci sono riusciti, perché i cinesi hanno utilizzato contro lo Zio Sam l’arma preferita dagli stessi yankee: lo stritolamento economico.
Magnati, banche e lo stesso governo cinese hanno lanciato una massiccia – e concordata – offensiva al debito pubblico americano: hanno comperato camionate di titoli di Stato Usa, costruendosi a suon di renminbi un kalashnikov puntato alla tempia di Washington. Se Washington sgarra, Pechino preme il grilletto.
La dimostrazione di questo assetto è stata la controversa gestione dell’affaire Nord Corea: le dichiarazioni sballate del dittatorino Kim Jong Un in tempi più favorevoli avrebbero provocato una reazione molto dura da parte degli americani (embarghi, rappresaglie, sostegno dei sommovimenti interni: chi più ne ha più ne metta); invece l’amministrazione Obama è stata relativamente mansueta, quasi minimizzante: questo perché la Cina ha preteso un predominio politico sui suoi vicini di casa (“Sono nella nostra zona di influenza, è una grana che ci risolviamo noi“).
La situazione attuale è la seguente: la Cina estrae terre rare in quantità abnorme, e le utilizza tanto per sé quanto per l’esportazione; ne determina i prezzi, ne cura le oscillazioni valutarie, ne stabilisce i flussi commerciali; si è inoltre accaparrata una grande quantità di risorse esterne al proprio territorio nazionale, colonizzando economicamente l’Africa – svenduta dai satrapi corrotti che la governano.
Gli Stati Uniti hanno una produzione di terre rare bassa, ma sufficiente per il fabbisogno interno: comprano da potenze in via di sviluppo (l’India e il Brasile) orbitanti attorno all’egemonia occidentale le concessioni minerarie per lo sfruttamento dei pochi giacimenti, oppure stringono accordi commerciali di esclusiva; contemporaneamente, sono alla disperata ricerca di nuovi giacimenti non ancora acquistati dai cinesi.
L’Europa, da tutto questo, è tagliata fuori: il Vecchio Continente – nella più consolidata tradizione del “dividi et impera” – è troppo impegnato in questioni di campanilismo nazionale.
Il sogno degli “Stati Uniti d’Europa”, unica via per assumere peso determinante negli equilibri globali, è ancora lontano.
Umberto Mangiardi
@UMangiardi