Senso Comune: “Tenetevi questa sinistra da ruffiani, noi pensiamo al popolo” – Intervista a Samuele Mazzolini

Nessuna prospettiva: la crisi ha posto questa lapide sui popoli dell’Occidente, con una particolare attenzione a quel Sud Europa vincolato dalle politiche di austerità e soffocato da un pessimismo diffuso. A una crisi esistenziale generazionale è conseguita, del resto naturalmente, una crisi della passione politica: è parso dunque strano sentir nascere un movimento di giovani “populisti di sinistra”, con 13.000 follower su Facebook e – soprattutto – in via di organizzazione su scala nazionale.
A tirarne le fila – non lo si legga in senso di “burattinaio”: si offenderebbe, a ragione – c’è Samuele Mazzolini, classe ’84, un vago accento triveneto per affrontare il suo ruolo di ricercatore in Teoria politica alla University of Essex (Inghilterra). Ha fondato poco più di un anno fa un movimento di opinione – o associazione, o think tank – con intenzioni piuttosto bellicose: si chiama Senso Comune, Mazzolini ne è il presidente, sono dei radicali sostenuti da una preparazione culturale semplicemente mostruosa (durante l’intervista mi cita con tranquillità Habermas, Bobbio, Fraser e compagnia bella) e con un sacco di critiche da rivolgere all’attuale equilibrio (soprattutto economico) del mondo.
Insomma, gente con cui è interessante fare due chiacchiere.

Samuele, quando vedo un movimento di trentenni, di sinistra, penso: “questi non sono riusciti a emergere nei loro partiti e allora se ne fanno uno da soli”. Quanto c’è di vero in questa presunzione?

Non moltissimo: la storia politica di molti di noi è frutto di ragionamenti prima individuali e poi di gruppo, e davvero in pochi provengono da partiti classici da cui si sono svincolati: io stesso, che  a 17 anni bazzicavo in qualche gruppo giovanile, me ne sono poi tenuto lontano.
Ora, dopo 15 anni fuori dall’Italia, non vedo alcuna corrispondenza tra le proposte politiche italiane e il mio pensiero: c’è una incapacità direi fondamentale dei nostri partiti attuali nell’analizzare la realtà. Non è una questione di abilità retorica, di parlantina sciolta, ma di comprensione delle dinamiche, di proposta programmatica, di soluzioni effettive, di visioni nuove e trasversali. E poi, per ritagliarsi un posto al sole serve arruffianarsi il D’Alema di turno: abilità che non penso di avere.

La presunzione, in effetti, era al quadrato: ho detto subito che eravate “di sinistra”. Come vi collocate, nello schematismo classico della politica?

Biograficamente, veniamo da sinistra, vero. E non ce ne vergogniamo. Ma Senso Comune fatica ad abbracciare la dicotomia destra/sinistra. Piuttosto, cerca di superarla.
Ho sentito spesso parlare di un “bisogno intrinseco” di sinistra nei vari Paesi. Mi sembra una sciocchezza, una consegna politica totalmente suicida: alla gente del 2017 non interessano più né i simboli né tantomeno le liturgie. Simboli e liturgie della sinistra totalmente screditate presso l’elettorato: a difenderle, dal basso, resta qualche genuino pasdaran. La gente comune ormai ha smesso di credere nell’aura mistica della sinistra, e ha visto ideali molto vecchi traditi in toto o sbandierati per coprire rendite di posizione. Parlare alla gente di “destra e sinistra” rischia di essere controproducente, soprattutto presso la gente comune: noi preferiamo affrontarla da un’altra angolatura, parlare di altri ordini di grandezza, perfino costruire nuovi miti politici. La dicotomia non è più destra-sinistra, e neppure conservatori-progressisti: è oligarchia-popolo, élite-gente comune. Questa, e non le altre, descrive il reale.

Galeotto fu il sito Internet…: “Non siamo un partito e non aspiriamo a diventarlo”.

“Non siamo un partito né aspiriamo a diventarlo”, così c’è scritto sul sito di Senso Comune: una scelta o una dichiarazione di impotenza?

Ti rispondo molto onestamente: statutariamente, non siamo un partito; ma mi ero perfino dimenticato di quell’affermazione così perentoria sul nostro sito. In verità, stiamo cambiando idea, anche se non c’è nulla di certo. Al nostro interno ci sono entusiasmo, orgoglio, grande elaborazione di pensiero politico: con queste premesse, il salto elettorale può avere un senso, e soprattutto un seguito. Ma è complicato, difficile: il nostro ragionamento può avere incidenza politica reale, ma saremmo in grado di sostenerlo? È un dibattito in onda, e io per primo non so come si chiuderà.

Populismo di sinistra, mi è stato detto: voi siete populisti, e allora ti chiedo chi è il “popolo”. Quand’è che uno smette di essere “popolo” per diventare élite?

Le risposte sono due, una teorica e una empirica. Quella empirica è più semplice: il popolo è fatto dalla maggioranza invisibile, per citare il mio amico Emanuele Ferragina [professore di Politiche sociali a Sciences-Po, classe ’83, NdR].
Senso Comune si rivolge ai settori vulnerabili della popolazione: precari, NEET, pensionati poveri, disoccupati, migranti. Non solo i migranti dei barconi, ma gli stessi migranti italiani: quella marea di giovani senza futuro in Italia, che si sono riversati massiciamente all’estero, specie a Londra, dove non ne ho mai visti tanti come in questo frangente storico.
Pensionati a parte, tra questi settori, la condizione peggiore la vivono i giovani della “classe disagiata” di cui parla Raffaele Alberto Ventura, seppur per invitarli a rassegnarsi, invece che a prendere coscienza del raggiro colossale di cui sono stati vittime. I giovani sono i grandi assenti della campagna elettorale attuale: non li trovi nelle liste, non li trovi nei programmi.

“La classe disagiata c’è: ma non deve rassegnarsi, deve lottare!

Ma del popolo fanno parte tutti quelli che vivono qualsiasi forma di disagio, non per forza economico: chi viene avvelenato da una fabbrica o vive di fronte a una discarica, la donna non rispettata, la persona non tutelata dalla struttura pubblica (sanitaria, assistenziale, sociale). È popolo chi si accorge della deriva europea condotta dalla Germania, chi si preoccupa della sorte della collettività.
Può essere popolo anche un piccolo imprenditore o un colletto bianco, se si preoccupa della ricaduta della realtà sulle grandi masse.
Da un punto di vista teorico però, il popolo non è un dato di fatto, non è un insieme di sfruttati per cui basta nominarli e hai “il popolo”. Il popolo è frutto di un’articolazione politica, della capacità di sintetizzare settori che viaggiano su binari ideologici e antropologici diversi. Quindi io ti ho elencato una serie di domande sociali concrete, ma la possibilità di metterli insieme è una variabile politica, l’analisi sociologica è solo ausiliaria in questo caso.
La sfida sta proprio qui.

Samuele Mazzolini durante un intervento.

Il vostro scopo è solo economico o ci sono anche altri ambiti di riflessione che vi ponete?

Senso Comune è figlio di una riflessione politica a tutto tondo, e non siamo preoccupati solo dall’economia e dalla redistribuzione: il discorso economico è susseguente, e non precedente a un discorso politico.
Le chiavi di interpretazione economica, anzi, sono il perfetto matrimonio per una filosofia politica: in particolare, la nostra filosofia politica prende atto dell’involuzione della democrazia per come l’abbiamo conosciuta finora e per una parallela, e incidente, deriva oligarchica.

Economicamente, qual è il primo punto da mettere a segno, nella vostra visione?

Per iniziare, il pareggio di bilancio è la più grossa camicia di forza imposta dall’Unione Europea negli ultimi anni. Una cosa contro natura, pessima, tremenda. È a causa del vincolo di bilancio se una certa parte di Europa ha smesso di investire, ed è colpa della mancanza di investimenti se oggi il popolo, soprattutto noi giovani, non ha occupazione e una stabilità esistenziale per organizzare la propria vita.
In questo senso, il punto economico-politico centrale è il lavoro: tanto in termini di assenza di lavoro, quanto di qualità del lavoro, e qui naturalmente sto parlando del precariato.
Ci hai chiamati radicali, ma noi di Senso Comune chiediamo prima di tutto occupazione e stabilità economica, in funzione di una organizzazione esistenziale. Invece oggi i giovani vedono scapparsi la vita davanti, senza certezze e progetti di futuro.

Criticate aspramente l’Unione Europea: perché?

Nutro una consistente avversione e antipatia verso questo tipo di Unione Europea: la critico e ne sottolineo le assurdità. Tuttavia, sono anche consapevole del contesto in cui mi muovo e come Senso Comune cerchiamo di ragionare e pensare in termini di centralità politica: l’Italia non sarà la Spagna – dove l’antieuropeismo non esiste – ma non è nemmeno a livelli britannici. Il popolo non risponderebbe mai “Exit” di fronte a un ipotetico voto.
Le politiche centralistiche ed elitarie di Bruxelles sono però maltollerate, giustamente!

Samuele Mazzolini discute con Paolo Gerbaudo e Thomas Fazi di Senso Comune
Samuele Mazzolini discute con Paolo Gerbaudo e Thomas Fazi di Senso Comune

Soluzione?

Solo i fondamentalisti attempati ragionano in termini di abbattimento: non mi vedrai girare con eskimo, basco del Che e i cartelli con la scritta “Revolución”. Parlare di abbattimento è ridicolo, ma in tutta onestà lo è anche parlare di riforme: l’UE non è riformabile perché l’hanno costruita scientificamente così. La riformabilità del sistema-Unione è limitata dalla legge, le pratiche di snellimento sono lentissime, pachidermiche, soggette all’accordo tutti gli stati membri: semplicemente impossibile.
Tu pensi sia stata una svista? No, lo volevano così: un carrozzone inattaccabile sul piano burocratico per consentire ai gruppi di potere di accordarsi molto al di sopra dei processi democratici.
A me sembra molto più produttivo pensare in termini di rotture parziali. Il nostro compito è problematizzare le sue politiche più assurde, dimostrare il loro impatto negativo, prospettare la possibilità di disobbedire ai dictat più nefasti in quanto lesivi degli interessi del paese e dei suoi segmenti più vulnerabili, come ha fatto Jean-Luc Mélenchon alle ultime presidenziali francesi: dire chiaramente che l’UE è una forma di cooperazione delle élite, senza nessun riflusso di popolo.
Anzi, a discapito del popolo: il demos infatti è rimasto nazionale, a prescindere dagli sforzi ciclopici – spesso originati dai gruppi progressisti, il che è quasi buffo – di creare una cultura europea, compreso quest’ultimo tentativo di Varoufakis, Diem25, che è una sorta di contenitore radical-chic di figurine delle star della sinistra mondiale, buona per i fighetti che han fatto l’Erasmus e a cui piace riunirsi in bei teatri nei centri delle capitali europee.
Da anni tentano di proporci il modello culturale di un modello culturale cosmopolita in salsa europea, ma i popoli sono ancora fortemente nazionali, e la crisi lo ha dimostrato.
Di fatto, il locus della democrazia rimane, con mille imperfezioni, lo Stato-nazione: ogni tentativo di allontanarci da quel locus va di pari passo con l’adozione di processi anti-democratici e l’ingenerazione di dinamiche lobbystiche, oligarchiche.

“I territori amministrati dalle élite sono una forma di colonialismo a casa nostra!

Insomma, nel 2100 tutti chiusi nei propri confini!

Non so cosa faremo nel 2030, figurati se mi butto su previsioni con la gittata di un secolo! Ma se la risposta è questa Unione Europea, allora la domanda è sbagliata.
Questo vuol dire che non possano esserci dei processi di collaborazione europea, di intendimento, di fratellanza tra i popoli, di organizzazione reciproca di fronte alle sfide globali? Ci possono e ci devono essere. Ma su basi politiche totalmente diverse.
Quindi non si tratta di tornare allo stato-nazionale nel senso retrivo del termine, si tratta di favorire un vero internazionalismo che parta dall’unità di misura in cui la politica ha un senso per le grandi maggioranze, e di opporci a un cosmopolismo di maniera che fa figo, ma che in realtà spoliticizza le masse e rende le nostre società dei semplici territori da amministrare dall’alto, in perfetto stile coloniale.

La prima assemblea nazionale di Senso Comune, movimento populista, si intitola con una citazione dantesca.

Sembrate affetti da localismo: solo l’Unione Europea rappresenta le élite? Non avete allargato lo spettro?

Non ci siamo svegliati un mattino scegliendo un nemico a caso: Senso Comune cerca di ragionare e pensare in termini di centralità politica. Cos’è centrale nel dibattito di oggi? Chi influisce di più? Chi comanda davvero? La risposta è: l’Unione Europea. E dunque l’UE diventa il centro del nostro ragionamento.
Vuoi altri due nomi? La Banca Mondiale e soprattutto il Fondo Monetario Internazionale svolgono un ruolo nefasto. Ma sulla nostra quotidianità incide di più l’Unione Europea. Se io parlo con un NEET, lui avverte di più la mancanza di investimenti in Italia causata dai vincoli di bilancio rispetto ai rating snocciolati dalla Banca Mondiale.
Il principio generale del nostro approccio alle organizzazioni sovranazionali è: liberare la geopolitica dalle ossessioni e dagli interessi delle nazioni egemoni. Stati Uniti su larga scala, Germania nel contesto europeo.

Il tenore di vita occidentale acquisito sembra irrinunciabile; e si regge tuttavia sul dominio del Primo Mondo sul Secondo e sul Terzo: come se ne esce? Bisogna convincere tutto l’occidente a vivere con meno? O secondo voi le risorse possono aumentare per soddisfare le esigenze massime di tutti?

Al nostro tenore di vita ci abbiamo già rinunciato, coi tagli al welfare degli ultimi 30 anni, come dice un moderato come Piketty. Ma guardiamo i numeri: le capacità produttive attuali eccedono i nostri bisogni, ma la ricchezza è canalizzata verso pochi, ricchissimi player. Al mondo contemporaneo manca la redistribuzione di proprietà e reddito. Ce n’è per sfamare tutti, per consentire agi a tutto il mondo, ma ridistribuire la ricchezza non conviene a chi la detiene.
Certo, questo non vale dal punto di vista energetico: qui serve un cambio di modello di sviluppo.

Tra i vostri nove promotori figura una sola donna: ha un significato questa proporzione? Si può ragionare su questo dato? Questa domanda secondo è stupida?

Non è una domanda stupida: la scarsa partecipazione femminile è un dilemma su cui ci siamo confrontati e soprattutto di cui ci siamo chiesti il perché.
Temo che Senso Comune subisca le condizioni sociali esistenti, in cui molte poche donne si affacciano alla politica: stiamo cercando di capire come fare a coinvolgerle di più, a quali domande sociali rispondere, a come creare un ambiente politico confortevole per la loro espressione.

Uno dei temi-principe della politica di sinistra degli ultimi anni sono stati i diritti civili: penso che concordiamo su un punto, ossia che non devono essere l’unico orizzonte per la sinistra. Voi li date per scontati, li mettete  al pari di quelli economici oppure li mettete in secondo piano, primum vivere deinde philosophari?

I diritti civili sono stati la foglia di fico attraverso cui la sinistra ha cercato di giustificare la sua esistenza negli ultimi 20 anni, in cui non è riuscita a proporre un’analisi e una soluzione alla perdita di prospettiva delle masse. Cerchiamo di essere pragmatici: la crisi e la lotta per le esigenze sociali hanno portato ad identificare le questioni di genere e le questioni umanitarie come specchietto per le allodole. Qualcuno, come Nancy Fraser, dice addirittura che il femminismo è stato cooptato dal capitalismo.
Le battaglie civili restano fondamentali, ma attualmente sono mal recepite per colpa della crisi: sembrano un velo di buonismo che copre e getta indietro nell’agenda le questioni avvertite come prioritarie. L’odio per il “Boldrinismo” nasce proprio da qui. Per questo, secondo noi di Senso Comune, il discorso socio-economico è centrale. I diritti civili vanno di pari passo coi diritti sociali se e solo se questi ultimi sono l’ariete di sfondamento.
In una frase, vanno di pari passo come importanza, ma non come priorità d’agenda: la stabilità economica-esistenziale è la prima, fondamentale rivendicazione.

“I diritti civili sono stati la foglia di fico attraverso cui la sinistra ha cercato di giustificare la sua esistenza negli ultimi 20 anni

Finché siamo sulle persone: chi comanda al vostro interno? Con che meriti? Chi sono i vostri “cavalli di razza” del think-tank?

Siamo in una fase in cui fortunatamente non si riesce ancora a parlare di “comando”: i dibattiti attuali sono molto accesi, con discorsi stimolanti e aperti. Io stesso, quando iniziamo a confrontarci, non so quale posizione finirà per prevalere. E questo, credimi, è perfino divertente.
Io sono uno degli ideatori di Senso Comune, e sono orgoglioso di questo muoverci da “intellettuale collettivo”, in cui tanti cervelli portano il loro entusiasmo e la loro capacità di analisi. Ma su chi sono i migliori, i capofila, i cavalli di razza, non rispondo: siete voi giornalisti i più bravi a capire chi tira le file di ipotetiche correnti, non vorrei mai togliervi questo piacere.

Questo è un dribbling, Samuele, ma lo rispetto. Allora non parliamo della cabina di regia: concentriamoci sui destinatari. Siete certi di riuscire a farvi capire dal popolo?

È sicuramente una sfida: giungere dal mondo accademico, come avviene per molti di noi, rischia di produrre dibattiti astratti e autoreferenziali, un parlarsi addosso per dirsi quanto siamo bravi e smaliziati.
Dobbiamo semplificare ragionamenti molto complessi, e utilizzare diversi canali per rendere le nostre proposte politiche graffianti e sexy. Facebook, articoli divulgativi, interviste come questa: c’è una importantissima esigenza di fluidificare il nostro pensiero.
La capacità di semplificare è un valore, in politica: absit iniuria verbis, in questo Salvini è un maestro.

Il popolo è il destinatario di una comunicazione mediatica, politica, esistenziale di basso livello. Di solito la giustificazione data da giornalisti, autori TV, politici, showman è: “Dobbiamo inseguire i desideri del popolo”. Voi, di questo popolo, vi fidate? Credete in esso?

Con Senso Comune non intendiamo riproporre una fotografia del popolo italiano del 2018 e dirgli “andate bene così, siete il modello vincente”: sarebbe falso, consolatorio e improduttivo.
Nel senso comune ci sono anche xenofobia, misoginia, prevaricazione: non ci appartengono, come è ovvio, e vogliamo lavorare sul corpo sociale per risolvere le cause di queste risultanze. Noi vogliamo parlare al popolo per guidarlo in un percorso, questo è il nostro scopo: ascoltare i desideri, le fantasie, le privazioni del popolo, e studiare come dare soluzioni. È questa l’operazione politica per eccellenza. Lavorare sul senso comune non vuol dire calare dall’alto una nuova mentalità, ma capire le istanze dell’umore popolare e proporre vie d’uscita.

“Vogliamo parlare al popolo per guidarlo in un percorso.

Tentando di essere pratici: vi proponete di dirigerlo con i metodi di una organizzazione di massa o siete sedotti dall’autoregolazione che sembrava essere alla base del Movimento 5 Stelle delle origini?

Non utilizzeremo la struttura classica del partito di massa: le riunioni del mercoledì sera nella sede di quartiere del partito sono un reperto archeologico fuori dal tempo e senza senso in un contesto moderno – frenetico, frettoloso, annoiato; anche superficiale, se vogliamo. E generano cortocircuiti in cui si crea da subito una disparità tra i vari pubblici: per esempio, i circoli di Podemos non sono assolutamente rappresentativi della base a cui il movimento si rivolge. E un movimento a due velocità ha un problema.
Io credo in una comunicazione fresca e fluida, come ho detto, e credo anche nel concetto di leadership. Una leadership definita può indebolire il movimento nei suoi livelli intermedi, è vero, ma ha il pregio di risvegliare passioni politiche ormai da troppo tempo sopite e di togliere poteri a quello strato di mezzo composto da un’aristocrazia militante e iper-presenzialista, le cui dinamiche competitive e parolaie sono spesso percepite come opache e inutili dall’opinione pubblica. Oltretutto, non vedo questa leadership necessariamente uni personale. Ma deve esserci una guida programmatica molto ben identificabile in Senso Comune: solo così abbiamo una possibilità di passare dall’elaborazione teorica all’applicazione pratica sulle masse.

Umberto Mangiardi

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