Quella destra liberale, mai nata e soffocata tra fascismo e clericalismo

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Unire la destra“, tesi del politologo Domenico Fisichella che sta alla base (almeno nel nostro microcosmo) dell’articolo di Alessandro Sabatino su una presunta comunanza di valori tra le diverse destre italiane, non ha senso. Ha molto valore, invece, la notazione secondo la quale una destra decente in questo Paese non sia sostanzialmente mai esistita.
Una destra europea e moderna, secondo Fisichella, sarebbe caratterizzata dall’unione (ma secondo me: dalla commistione) dei sentimenti missini, cattolici e liberali: un guazzabuglio, insomma, un paniere dove si cercano di mischiare pane, piombo e mattoni. Una destra fascista non è liberale né cattolica, una destra cattolica non è di sicuro liberale – e al netto dei concordati, neppure fascista; una destra liberale è scevra di autoritarismo e di clericalesimo. È assurdo credere che possano avere qualcosa da spartire.
Questa incompatibilità ha visto sempre sconfitto il sentimento liberale: di esempi fascisti (o postfascisti) ne abbiamo avuti; di cattolicesimo politico anche. Non sono andati bene.

storace-presidente1Anche depurando la destra sociale da tutte le derive violente del Ventennio e dei suoi nipotini, resta una scala di valori formale, poco calata nella società del dopoguerra. Quel determinato concetto di Patria è superato, e fa parte più dell’iconografia che del sentimento: un concetto che non tiene conto del popolo. La frase “Due inglesi fanno un popolo, ma 57 milioni di italiani no” non è di un intellettuale (se volete divertirvi, cercate l’autore) ma è molto veritiera. Non è una destra sociale quello di cui il Paese ha bisogno: negazionista nei confronti delle responsabilità fasciste (le leggi razziali, i confini degli oppositori, i delitti, i campi di concentramento, il divieto di esercitare i diritti associativi e politici); assistenzialista e non progressista; conservatrice sui diritti civili; militarista (senza però – così come nel parallelo Patria/popolo – essere capace di educare ad una visione nobile di forze dell’ordine e forze armate); vagamente isterica nel suo populismo; infine, troppo legata alla Dottrina Sociale della Chiesa.

Qui casca l’asino: la vicinanza al Vaticano. La destra italiana e il suo elettorato hanno sempre avuto bisogno di una sorta di legittimazione morale ecclesiastica. Che sia pavidità o semplice gusto per il nonsense non è dato sapere; più probabilmente, determinante fu la possibilità di canalizzare la moltitudine cattolica, spesso bigotta e ignorante (non necessariamente in quest’ordine), che votava quasi a comando. La presenza di un Centro molto forte – come era la Dc – ha confuso le idee a molti, che oggi metterebbero nello stesso schieramento il cattolicissimo De Gasperi e Cavour.

Proprio la fine dell’ingerenza ecclesiastica (cavallo di battaglia appunto della Destra Storica) è uno degli argomenti che manca da sempre alla destra postbellica; mancano inoltre dei progetti seri per discutere di politica industriale, di tutela del salario piuttosto che del posto di lavoro, di imprenditoria privata: di tutte quelle cose che vengono riassunte nell’ormai proverbiale “meno Stato, più mercato”. 
Il punto è che Cavour (così come tutta la Destra Storica italiana) era un anticlericale fatto e finito: lo erano i suoi predecessori (provate ancora oggi a dire a un prelato “Viva le leggi Siccardi“, e godetevi la reazione), lo sarebbero stati i suoi successori. Fu il fascismo, col concordato, a ristabilire la cordialità nei rapporti.

Ed anche la giustizia, valore fondante di tutte le destre europee, è un’ideale molto diverso dal giustizialismo vagamente forcaiolo di un Travaglio, che troppo spesso fa confusione tra chi è indagato, chi è rinviato a giudizio e chi condannato in via definitiva.
Di pari passo, la sicurezza – che si può ottenere “senza sfociare nel manganello”, per citare Montanelli – e soprattutto l’esercizio dei diritti civili, che un pensiero veramente liberale non ha difficoltà a riconoscere a qualunque categoria sensibile – proprio perché la libertà personale, intesa sia in senso economico che come modo di essere, è il cardine di questo sentire politico. Un sentire politico rigoroso, coerente e responsabilizzante: proprio per quest’ultimo punto, in questo Paese non ha avuto successo.

Umberto Mangiardi 
@UMangiardi

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