Se volessimo fare i colti snob, potremmo definire questo avvicinamento alla “battaglia” congressuale del PD come una drôle de guerre. Come successe nei mesi prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, infatti, tutti sanno che un putiferio sta per scoppiare, ma nessuno si espone del tutto in maniera univoca.
Emblema di questa “stranezza” è il sindaco di Firenze. Il buon Matteo pare riconosciuto da quasi tutti come futuro leader del centro-sinistra, persino da chi fino a poco tempo fa ne diceva peste e corna. Eppure Renzi si muove in maniera scomposta, non ha ancora deciso cosa vuole fare da grande e a giorni alterni fa dichiarazioni che sembrano studiate apposta per far arrabbiare i propri compagni di partito.
Perché il giovane fiorentino ha un atteggiamento così apparentemente incomprensibile?
Renzi, a mio parere, ha il terrore di finire come Veltroni. L’ex sindaco di Roma, già segretario dei DS, fu infatti chiamato a gran voce da tutti – anche e soprattutto dai suoi avversari storici, per divenire il leader del neonato Partito Democratico (si dimise anzitempo persino dalla carica di Sindaco di Roma), salvo poi essere fucilato subito dopo le elezioni del 2008 nonostante un discreto risultato elettorale.
Ecco, Renzi ha paura di fare la stessa fine: chiamato a guidare il PD in un momento in cui non è affatto certa una vittoria, teme di essere poi bruciato in maniera analoga a quella del “povero” Walter. Veltroni però aveva quasi sessant’anni all’epoca, poteva permettersi un passo falso, non aveva molto da perdere, mentre Matteo se adesso sbaglia la mossa si ritrova “disoccupato” (difficile infatti poter decidere di guidare il PD senza rinunciare alla carica di Sindaco di Firenze) e con alle spalle due sconfitte nazionali prima dei quarant’anni.
A questo si devono i traccheggiamenti, le indecisioni, le proteste sul sesso degli angeli: Renzi non ci vede ancora chiaro su quali saranno davvero le forze in campo nel congresso ma soprattutto, nel medio periodo, quando e come si tornerà al voto.
Non si può inoltre dimenticare che in questo momento il PD esprime il Capo del Governo, un “giovane” che proviene sostanzialmente dalla stessa tradizione popolare di Renzi, Enrico Letta: un nome che, soprattutto se il Governo dovesse mettere a segno qualche buon colpo, non può essere non considerato come un possibile futuro leader del centrosinistra, e questo Matteo lo sa bene.
Molti altri nel PD, a partire da Bersani e i suoi fedelissimi, sanno che ci sono ancora troppe variabili per poter definire una strategia precisa, pertanto vivono tutti o quasi di tattica (la cosa peggiore che si possa fare in politica).
Per quanto durerà ancora questa drôle de guerre non è dato saperlo. Nel mio piccolo – da iscritto del PD – spero che non duri abbastanza da rendere grottesco (e dunque inutile) quello che invece dovrebbe essere un proficuo confronto congressuale sui “temi di fondo”, temi che ha brillantemente esposto di recente Massimo D’Alema: che non riguardano certo l’ombelico del PD.