L’epilogo tragico della Nadaleide: perché e percome di un campione sul viale del tramonto

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Nell’ATP 500 di Pechino, uno spagnolo è stato di nuovo piallato da un serbo. Ed è solo l’ultimo atto della Nadaleide, spirale tragico-sportivo-esistenziale in cui si è ficcato il più brillante talento tennistico iberico di sempre.
La sconfitta contro Fognini al terzo turno dello U.S. Open 2015 ha in effetti segnato un momento storico nella storia del tennis: per la prima volta dal 2005 Rafael Nadal avrebbe concluso la stagione senza alcun titolo Major.
Se da mesi vi state arrovellando alla ricerca di una spiegazione sul come sia possibile che Nadal, noto altresì per essere un vero e proprio cannibale del tennis moderno, sia incappato in una stagione fallimentare, siete nel posto giusto.

La questione è effettivamente interessante.  Seppur in tanti ne avessero annunciato, vaticinato e prefigurato il crepuscolo, a nessuno era venuto in mente di dipingere un anno così. Perché le nostre congetture devono partire da un dato di fatto: la crisi di Nadal è giunta in una maniera che quasi nessuno poteva prevedere.
Anche se. La convinzione di chi scrive è che ciò che ha reso Nadal Nadal – uno dei più grandi tennisti dell’era moderna, 14 volte campione slam e detentore di una serie infinita di record –, lo stia anche, lentamente distruggendo.
La proverbiale solidità fisica, tecnica e mentale che lo accompagna da un decennio nel tour e che rappresenta il suo manifesto sportivo gli si sta letteralmente ritorcendo contro.
La mia intenzione è di presentare le ragioni su cui solidamente poggia la crisi del nostro, presentando una overview della carriera che analizzi non tanto le statistiche commerciali – quelle relative alle vittorie e ai trofei sollevati – quanto quei dati e quegli aspetti del gioco di Nadal che, pur trattandosi di uno dei protagonisti del tennis degli anni Duemila, rimangono nel sottobosco del datoperscontato e dell’inesatto.

QUANDO RAFAEL NADAL PARERE È DIVENTATO RAFA NADAL
Nonostante i commentatori si siano sempre soffermati sullo stress atletico a cui Nadal sottopone il proprio corpo, il maiorchino è interprete di una delle parabole sportive più longeve della storia del tennis.
Se già nel 2004 (a 17 anni) vince il primo torneo da pro (Sopot, torneo su terra rossa appartenente all’allora categoria degli Atp International Series), nel 2005 muove i primi passi verso la leggenda imponendosi, in serie, al Masters di Montecarlo e di Roma. Da testa di serie numero 4 del tabellone e alla prima partecipazione, Nadal vince il Roland Garros a 18 anni e 2 giorni, avendo sconfitto il dominatore del circuito, Federer, in semifinale.
Il trionfo parigino non deve ingannare: Nadal non è ancora un giocatore per tutte le stagioni. Nonostante ciò, nel luglio 2005 raggiunge la seconda posizione mondiale che occuperà per ben 160 settimane consecutive.

2006-2008: NADAL SI APPRESTA A DIVENTARE UN GIOCATORE TOTALE
Gli anni successivi proiettano, a suon di record, Nadal nella storia del tennis.
Lo Slam rosso – i Masters in preparazione al Roland Garros e il torneo parigino – diventa roba sua, stroncando per ben due volte le ambizioni da grande Slam di Federer (2006-2007).
Nadal rivela fin da subito una capacità di adattamento a condizioni e superfici di gioco diverse dal mattone tritato che – facile dirlo ora – non ha eguali.
Per due anni consecutivi raggiunge la finale a Wimbledon, anche se è Federer a imporsi in 4 (2006) e 5 set (2007).
In più, incomincia a mietere i primi successi anche sul cemento.

COME NADAL È DIVENTATO RAFAEL NADAL
Considerazione introduttiva per chi è arrivato fin qui: Nadal è unanimemente considerato il miglior giocatore della storia su terra battuta.
Come quasi tutti i giocatori da rosso, Nadal non dispone di un servizio molto potente. La sua battuta è letteralmente un colpo di inizio gioco, nel senso che se ne serve per mettere la palla in campo e iniziare lo scambio.
Le velocità, tuttavia, sono più che discrete, e raggiungono facilmente i 200-210 km/h. Non è comunque la forza bruta il suo segreto, ma l’angolazione.
Servendo da sinistra, Nadal è solito attaccare sul lato sinistro dei propri avversari (e quindi quasi sempre sul rovescio) con uno slice dalla linea molto arcuata che costringe chi riceve, nel migliore dei casi, ad allungarsi profondamente sul lato sinistro per rimettere la palla in campo, spesso con esiti sconfortanti perché lo sbilanciamento impedisce di centrare il campo (cliccate qui, se volete un esempio).

Nadal segue il servizio a rete solo se costretto, e spesso il colpo successivo avviene in 2-3 metri dietro la linea di fondocampo. Lo slice esegue alla perfezione il proprio compito se consente a Nadal di aprirsi il campo per il secondo colpo, che in molti casi può essere già definitivo.
Da terraiolo, Nadal traccia il solco tra sé e i propri avversari all’interno dello scambio. Pur non essendo al livello dei migliori (Wawrinka e  Djokovic su tutti) sul lato del rovescio (bimane), Nadal è in grado di reggere scambi prolungati a ritmi sostenuti disponendo anche di un buon rovescio in back.
La capacità di generare vincenti non gli manca, soprattutto con il passante (lungolinea e incrociati), anche se nelle sue versioni migliori (Us Open 2010) è in grado di bucare l’avversario senza che questi scenda a rete.

Ma è con l’altro fondamentale a rimbalzo, il dritto, che Nadal si è guadagnato un posto nella leggenda del nostro sport. Il suo dritto mancino, arrotato ed estremamente potente, veste perfettamente il suo modo di concepire il tennis.
Se Nadal si è imposto come uno dei più grandi contro-attaccanti del circuito maschile e della storia lo deve primariamente a questo colpo.
La miglior qualità di un contro-attaccante è quella di saper trasformare, ribaltare, grazie a capacità di corsa veloce e resistente e al talento balistico, situazioni di gioco difensive in offensive con una percentuale di errore estremamente bassa.
Agassi è stato uno dei più grandi contro attaccanti della storia, così come lo erano i grandi terraioli degli anni Novanta. Come l’americano, Nadal non ha soltanto interpretato uno stile di gioco se vogliamo conservativo, ma ha avuto la forza di reinventare questo percorso tennistico in maniera del tutto anticonvenzionale.

Ci torna molto utile un’espressione coniata dal compianto giornalista Roberto Lombardi per descrivere ciò che rende straordinario il tennista Nadal: la chela mancina.
Come tutti quelli che almeno una volta sono stati su un campo da tennis sanno, giocare contro un mancino costituisce, al netto del valore dell’avversario, una difficoltà ulteriore perché costringe a ribaltare tutti gli schemi di gioco. È una questione tattica e di abitudine: basti ricordare che i mancini sono abituati a sfidare i destri, i destri no.
Ma il mancinismo da solo non è sufficiente a spiegare le ragioni di un successo così precoce e duraturo. La chela mancina si avvale del trucco: l’impugnatura della racchetta.
Nadal utilizza sul lato del diritto la presa tipica dei giocatore da terra battuta: una Western con la quale, lungi dal ricercare il vincente a ogni colpo, imposta gli scambi scegliendo traiettorie sicure – che passano alte sopra alla rete – e molto effettate, cioè cariche di top spin.

È stato calcolato (qui il link alla statistica) che un dritto di Nadal viaggia abitualmente sulle 3000 r.p.m (rotazioni per minuto)abitualmente significa: durante uno scambio –, per raggiungere le 5000 r.p.m. in condizioni particolarmente favorevoli, cioè quando Nadal decide di lasciare fermo il proprio avversario e generare il vincente.
Avvalersi del top spin su un campo da tennis è vantaggioso da tre punti di vista:
a) pur imprimendo una traiettoria arcuata, si riesce a forzare la discesa della palla nei pressi della riga di fondo campo avversaria, rendendo disagevole, per chi deve rispondere, la ricerca della palla in preparazione al colpo successivo;
b) rispetto a un dritto piatto – che vola radente sulla rete – la traiettoria in top spin percorre uno spazio maggiore. Cronometro alla mano e mettendo a paragone il dritto di Nadal con quello di Sampras (Il Dritto Piatto degli anni Novanta), i due impiegano lo stesso tempo a raggiungere il punto d’impatto nel campo opposto. A parità di tempo, a uno spazio maggiore corrisponde una velocità maggiore, il che significa che il dritto di Nadal, in media, corre di più di quello piatto di Sampras. È inevitabile perciò che la maggior velocità contribuisca alla difficile gestione della pallina da parte dell’avversario di turno;  
c) il top spin estremizza il rimbalzo facendo esplodere verso l’alto la palla al momento del contatto con il terreno – come se scavalcasse un invisibile muro d’aria e si aggrappasse, al momento del contatto con la racchetta, al piatto corde avversario.

Quest’ultimo punto è oltremodo fondamentale. Il rimbalzo esasperato obbliga l’avversario a colpire all’altezza delle spalle (e non del bacino). E visto che eseguire un colpo all’altezza delle spalle è molto più difficile per questioni biomeccaniche rispetto a un qualsiasi colpo portato all’altezza delle anche, ciò determina un grande vantaggio all’interno di ogni singolo scambio.
La presa Western e la meccanica del dritto di Nadal hanno evidentemente dei costi di realizzazione: il nove volte campione di Parigi, per esempio, è costretto ad arretrare la propria posizione in campo per aspettare la palla, lasciarle lo spazio di compiere la sua parabola dopo il rimbalzo e scendere verso il basso.
Siamo all’essenza del gioco dello spagnolo. Per imprimere la maggior quantità di top spin possibile è essenziale che il punto d’impatto tra il piatto corde e la pallina avvenga molto in basso. Nadal colpisce di diritto spazzolando verticalmente la sfera, accelerando dal basso verso l’alto e da sinistra verso destra, concludendo il movimento dell’arto sopra la sua testa per poi ridiscendere verso sinistra in preparazione per il colpo successivo. (Se volete vedere un dritto di Nadal in slow-motion, cliccate qui.)

La versatilità di cui dispone con il dritto gli permette di coprire tutte le traiettorie possibili: dal colpo incrociato al lungolinea, dallo strettino al colpo profondo a tagliare gambe e fiato all’avversario. In questo segue pedissequamente il manuale del perfetto contro-attaccante.
Quando Nadal è nella sua versione migliore, non importa quanto distante dal campo e dalla rete si posizioni: si ha come la sensazione che sia una questione di tempo, quasi che Nadal debba calibrare esattamente la propria posizione per poter incominciare martellare l’avversario con le proprie prodezze balistiche.
Le sfide con Federer hanno conosciuto la loro soluzione nella capacità di Nadal di resistere nei momenti difficili di un match – quelli dove lo svizzero gli nascondeva la palla – per poi emergere alla distanza.
Sono stati il suo dritto e la sua abilità di colpitore che lo hanno posto tra i dominatori del tennis degli ultimi dieci anni.

Se il dritto è il termometro del suo stato di forma, è difficile valutare gli altri colpi separandoli gli uni dagli altri perché la dimensione fisico-atletica nel gioco di Nadal è preponderante. Quando i commentatori tecnici sottolineano l’estrema fisicità del gioco di Nadal non sbagliano.
Per dieci anni, ancorato a fondo campo (e oltre), mulinando braccia e gambe, Nadal ha dominato gli avversari che spesso, a livello di fluidità e naturalezza dei colpi, gli erano superiori.
Il punto è che per dieci anni, dal punto di vista fisico, nessuno gli è stato pari.
Non Federer, che pur essendo un talento purissimo, ha sofferto fin dagli inizi della loro rivalità le sue qualità da fondocampista; non Djokovic, l’Uomo Di Questi Anni Dieci, che pur essendo dotato di elasticità e doti atletiche fuori dal comune, non può essere paragonato a Nadal per forza fisica e intensità di gioco.

L’APICE DELLA CARRIERA: IL BIENNIO 2008-2009 E LE STAGIONI 2010 e 2013
Probabilmente, il miglior Nadal lo si è ammirato a cavallo tra le primavere del 2008 e del 2009.
A giugno umilia Federer nella finale del Roland Garros (6-3 6-1 6-0) in un’ora e quarantotto minuti. Una partita da 46 vincenti e 7 errori nella quale Federer fa soltanto 5 punti su 24 con la seconda di servizio. È una prestazione mostruosa.
A luglio si laurea, primo spagnolo dal 1966, campione di Wimbledon al termine di una delle partite più belle della storia. Ad agosto mette al collo la medaglia d’oro olimpica e scalza Federer dal trono della classifica Atp dopo 237 settimane di dominio – se state facendo il conto, sì: sono 4 anni e mezzo.
A New York arriva per la prima volta in semifinale, dove viene eliminato dalla new entry dell’élite del tennis, lo scozzese Murray.

Per chi scrive, è la finale di Melbourne 2009 il vero capolavoro della saga Fedal.
Federer, tirato nuovamente a lucido dopo un’annata difficile, demolisce chiunque gli si pari davanti fino alla finale.
Un Nadal fisicamente debordante lo raggiunge al termine di una semifinale epica in cui sconfigge uno splendido Verdasco in 5 set dopo 5 ore e 14 minuti.
Nonostante Nadal sia il numero uno del ranking, è Federer il grande favorito. Non ha mai perso una finale su cemento e Nadal, alla sua prima finale Major sul duro, non è certamente uno specialista.

Federer furoreggia con il dritto e infilza a più riprese lo spagnolo anche con il rovescio, il colpo che spesso contro Nadal lo tradisce – per le questioni legate all’altezza del rimbalzo di cui sopra. Nadal non è immune al talento federeriano e lo subisce per lunghi tratti.
Ma resiste.
È alle corde, ma non cessa di recuperare, di correre e recuperare, di correre, recuperare e passare l’avversario ogni qual volta questi abbia la malsana idea di raccogliere il punto a rete, o di sfidarlo sul suo dritto.
Federer scaglia 71 vincenti, compresi 11 ace, ma non basta – e se volete farvi un’idea del perché, cliccate qui. Federer serve da destra una prima sostanziosa esterna e poi, con una serie di colpi violenti e precisi, costringe Nadal al tergicristallo da una parte all’altra parte del campo.
Lo svizzero gioca 4 dritti consecutivi – uno più spettacolare dell’altro – e non c’è nessuno sulla Terra in grado di costringerlo a tale sforzo se non Nadal.
A un certo punto dello scambio, Nadal estrae uno dei suoi marchi di fabbrica, un recupero lungolinea di dritto profondissimo al quale Federer risponde con un colpo che nel tennis non esiste.
Una specie di chop spalle a rete che si trasforma in una rasoiata sulla diagonale che dalla sua destra muove verso sinistra.
Nadal vi arriva, gioca un rovescio in corsa sui piedi di Federer che, con nonchalanche, spara una bordata di rovescio in controbalzo stile Matrix.
Nadal, che un secondo prima si trovava nel rettangolo destro, corre verso il centro del campo e oppone un dritto debole e scentrato a metà campo.
Federer si avventa e sbam! – sembra pronto a chiudere lo scambio a proprio favore con lo sventaglio di dritto.

Brutal Tennis.

Nadal, con le ultime forze rimaste, si sposta verso sinistra e si allunga: la racchetta impatta la pallina e la scaraventa sul lungolinea opposto a quello in cui si trova Federer, che può solo guardare.

Questo punto, oltre a essere uno dei più belli della storia del tennis, dimostra una delle qualità più importanti di Nadal, di quel Nadal: la capacità di portare la partita sul suo terreno preferito anche contro chi, per puro talento, gli sarebbe stato superiore.
Avrebbe potuto perdere il punto quasi a ogni singolo colpo dello svizzero.
L’ha spuntata dall’alto di una strapotenza fisica che non aveva eguali.

La stagione di Nadal prosegue tra un trionfo e l’altro fino al torneo di Madrid, dove subisce un’inaspettata sconfitta da Federer in finale. Poi, il 31 maggio 2009, lo svedese Soderling compie il sacrilegio: elimina Nadal al quarto turno del Roland Garros.
Nadal, che puntava al grande Slam, si ritrova fuori dal suo torneo preferito e infortunato.
Il ginocchio lo costringe a saltare Londra, mentre a New York saranno gli addominali a penalizzarlo nella semifinale contro l’argentino Del Potro (triplice 6-2 per il futuro campione).
Nel 2010, viene eliminato ai quarti dell’Open d’Australia e per la prima volta dal 2005 non è detentore di alcun titolo Slam. I detrattori raccontano di una crisi inevitabile, di un corpo che a 23 anni non offre più le prestazioni di una volta.
Per risposta, Nadal vince tre Slam consecutivi, si riprende la prima posizione mondiale e va in finale al Masters di Londra.
A livello statistico è certamente la stagione migliore, ma come livello di gioco il Nadal dell’anno precedente era forse ancora superiore.

Nel 2011 e nel 2012 Nadal ha un nuovo avversario: il serbo Djokovic.
La proprietà transitiva nel tennis non esiste: se il giocatore A batte B, ma perde con C, non significa che C batterà B.
Djokovic e Federer sono giocatori diversi e, senza volerli paragonare, è evidente che Nadal soffra più il serbo dello svizzero.
Djokovic (1987) diventa un serio candidato alla prima posizione mondiale nel 2008, quando vince gli Australian Open e il Masters di fine anno.
Nel 2011 si esibisce a un livello di gioco inaudito e perde una sola partita in 6 mesi, la semifinale del Roland Garros contro Federer. Nadal non vincerà neanche un match contro di lui in tutto l’anno.

A differenza di Federer, Djokovic sembra immune alle qualità dello spagnolo. Di fronte ai miracoli difensivi di Nadal, Djokovic non perde la pazienza né la lucidità ed è disposto ad aumentare ancora di più la pressione sul maiorchino.
In più, non soffre le traiettorie cariche sul lato del rovescio: a due mani il serbo sarebbe in grado di colpire una monetina a 23 metri di distanza, non importa a quale altezza debba impattare la pallina.
In sostanza, Djokovic riesce a essere aggressivo e a giocare in sicurezza.
In un certo senso, si comporta con lo spagnolo come questi fa con Federer.

Tutto vero; però, al Roland Garros 2012 i due si incontrano in finale ed è ancora lo spagnolo a trionfare. Poi, però, la sindrome di Hoffa – infiammazione di un tessuto nella zona anteriore del ginocchio – tiene fuori Nadal dal circuito da dopo Wimbledon fino a fine anno.
Rientra dall’infortunio nel febbraio 2013 e domina incredibilmente la stagione, mietendo successi tra la terra europea e il cemento americano: straordinario il suo successo a New York sullo specialista Djokovic.
Conclude la stagione, per la terza volta in carriera, da numero uno del ranking.
Nel 2014 rivince il Roland Garros per la nona volta (sempre contro Djokovic). La rivalità tra il serbo e lo spagnolo corre su binari diversi rispetto a quella con lo svizzero.

È interessante notare come, tra le stagioni 2012 e 2014, i match vinti da Nadal contro l’attuale leader del ranking corrispondano sempre a partite nelle quali Djokovic sembra smarrire tutte le qualità che lo avevano reso la criptonite dello spagnolo nel 2011.
Nella finale dei French Open 2012, Djokovic commette 53 errori non forzati in 4 set; Nadal soltanto 29.
Numeri pesanti, giustificabili se il serbo avesse totalizzato un numero di vincenti di molto superiore allo spagnolo: ma le statistiche indicano soltanto un lieve vantaggio (39 a 34) per il nativo di Belgrado.
Le 4 ore e 37 minuti della grandiosa semifinale del 2013 – che Djokovic perde 9-7 al quinto dopo esser stato sopra di un break nel quinto set – consegnano agli statistici 75 errori a 44 per il serbo, che fa segnare meno vincenti (54 a 61) e meno punti in generale (158 a 177). Nadal, tra le altre cose, segna il 60% di punti vinti sulla seconda; dato che, contro un giocatore dalla risposta assassina come Djokovic, è clamoroso.

La finale degli U.S. Open di quell’anno, l’ultimo slam fuori dalla terra rossa vinto da Nadal, prosegue sulla falsa riga di quanto evidenziatosi nei match precedenti: Nadal segna un +7 tra errori non forzati e vincenti (20 a 27), Djokovic un -7 (53 a 46).
Se c’è un motivo per cui Nadal è un grande di questo sport lo dobbiamo trovare qui: con mezzi tecnici inferiori è riuscito a dominare sia Federer che Djokovic – due tennisti diversi ma dal tennis complessivamente migliore.
È naturale che abbia pagato lo sforzo con una quantità di infortuni che i suoi rivali non sognano neanche nei peggiori incubi.
È il prezzo da pagare a un corpo a cui da anni richiede imprese che vanno al di là di ogni legittima richiesta e aspirazione.
Il 2015, come detto, è l’anno della crisi e il suo miglior risultato Slam sono i due quarti di finale in Australia e a Parigi. In tutto vince soltanto tre tornei, tutti minori.

LE RAGIONI DEL DECLINO: GLI INFORTUNI E UNA COERENZA TECNICA CHE NON PAGA
Che Nadal sia giunto alla seconda parte della carriera non ci sono dubbi.
A 29 anni, con 14 Slam vinti e 67 titoli in singolare, affermare che lo spagnolo abbia già ottenuto il meglio dalla sua storia sportiva non è un’eresia.
Di certo, però, un crollo repentino come quello di questo 2015 era difficile prevederlo. Ci si aspettava un calo legato agli infortuni, e invece il 2015 è, paradossalmente, un anno sano.

Salute o meno, i cambiamenti nel gioco di Nadal sono evidenti: improvvisamente i colpi si sono fatti più corti e meno potenti. Il lungolinea di dritto, da anni una sentenza nel circuito maschile, ora rimbalza troppo corto e lo espone ai cross di dritto degli avversari.  
Non che si sia messo a colpire male dritti e rovesci; è solo che al momento dell’impatto non è sempre in grado di generare la potenza e lo spin che la sua tecnica gli consentirebbe e che i suoi schemi esigono.
La sua capacità di trovare le linee in condizioni di tiro proibitive costringevano l’avversario a – come si dice in gergo – vincere il punto due, tre, quattro volte e, il più delle volte (pensate ai Federer-Nadal) a osare più del lecito.
Ora, in certi frangenti, Nadal sembra invece addirittura accusare la fatica.

Sconfiggere Nadal in un match al meglio dei cinque set era un’impresa di carattere fisico e psicologico: l’attitudine di Nadal alla vittoria è quella dei campionissimi – Merxx, Jordan, Ronaldo, Bryant: quella categoria di sportivi che prova un rifiuto fisico della sconfitta.
I dati della sconfitta agli US Open contro Fognini sono impietosi.
Fabio è un tennista brillante, un braccio meraviglioso ahimè non sempre accompagnato dalla psicologia del campione, necessaria per competere a questi livelli.
D’altro canto, Nadal non ha mai subito i cosiddetti shot makers, i tennisti che seppelliscono gli avversari con una gragnola di vincenti.
Contro di loro Nadal si è sempre comportato allo stesso modo: sornione, li portava pazientemente oltre il loro punto di rottura, la soglia oltre la quale la capacità di generare vincenti a tutto campo si tramutava nell’impossibilità di palleggiare senza colpire lungo o affossare palline in rete.
Era una questione mentale e fisica: Nadal era capace di non uscire mai dalla partita e di giocare tutti i punti, aspettando.
Poi, passava al contrattacco.

Con Fognini le cose si erano messe fin da subito nel migliore dei modi. Due set lottati e pochi punti a decidere la contesa. Ma siamo due set a zero Nadal, e un break sopra nel terzo.
Il vero Nadal chiuderebbe in tre set, al massimo in quattro, perdendo magari il terzo al tie-break e vincendo il quarto in carrozza.
E invece concede a Fabio l’opportunità di recuperare e di portare il match esattamente dove voleva l’italiano – in quel luogo ideale dove non si devono sudare tutti i punti e dove fa punteggio essere brillanti e spettacolari.
Nadal a questo punto impazzisce: perde il controllo della partita perché non sa più imporne le regole e il risultato è che Fognini, con 70 vincenti (a fronte di 2 soli ace), lo inchioda 6-4 al quinto.

Quel numero, settanta vincenti, farà sicuramente riflettere il clan Nadal. Fognini è un tiratore d’eccezione, ottimo sia sul lato destro che sul sinistro, anche se nel 2015, prima del match contro Nadal, aveva vinto soltanto due partite sul cemento.
Soltanto Federer ha messo a segno 70 vincenti in una partita contro lo spagnolo.
La realtà è una sola: se Nadal gioca il tennis degli altri, perde.

L’ESEMPIO DI ROGER E LE POSSIBILI SOLUZIONI ALLA CRISI
Nel mondo del tennis, quando un campionissimo incontra un periodo di appannamento c’è sempre qualche sapiente che prova a vendergli la soluzione. Un po’ come nel calcio.
Più di qualcuno – tra gli altri anche John McEnroe – ha invocato un cambio di coach. L’esempio di Federer, rinato dopo un 2013 da incubo grazie alla cura Edberg è davanti agli occhi e sulla bocca di tutti.
C’è solo un problema: Nadal non è Federer.

Senza scadere nella mitizzazione e nella divinizzazione, Federer dispone di una versatilità tecnica superiore a Nadal e c’è tutta la sua storia a dimostrarlo.
Lo svizzero, che nasce giocatore da serve&volley (se non lo sapevate, cliccate qui), ha dominato il circuito per anni sciorinando gli schemi di gioco del miglior fondocampista di talento (colpi in controbalzo, pochissime discese a rete), mentre solo in quest’ultima fase di carriera ha rispolverato il mantra del perfetto volleatore cui era uso in gioventù.

Nadal ha lo stesso gioco da quando ha vinto il primo titolo a Parigi. Ha aggiunto qualche dettaglio tecnico, ha migliorato il servizio, ha raffinato qualcosina qui e qualcos’altro lì, ma fondamentalmente è rimasto uguale a se stesso – e se mi sono spiegato anche solo vagamente bene poc’anzi avrete capito non solo che tutto ciò è stato redditizio, ma anche le ragioni di una simile coerenza tattica.
Fa un po’ sorridere chi misura i progressi dello stato di forma e del gioco di Nadal con l’aggressività da questi mostrata nei suoi colpi. L’aggressività, come scrivevamo in un pezzo di qualche mese fa sulla nuova risposta di Federer, non è tanto un concetto morale quanto un concetto spaziale, e corrisponde alla capacità di un giocatore di eseguire colpi d’attacco con l’intenzione di chiudere (perlomeno idealmente) lo spazio tra sé e la rete.

Nadal non potrà mai avere questo tipo di gioco, non perché non ne abbia le qualità – anzi, ha mostrato grande capacità di tocco e senso della posizione nel corso degli anni – ma perché non ha le basi necessarie per sviluppare la propensione verticale.
Può certamente essere aggressivo e non rimanere alla mercé delle strategie altrui sul campo di gioco, ma non lo vedremo mai accorciare gli scambi nel tentativo di prendere la rete con approcci o palle corte a ripetizione.
Non ha un servizio che gli garantisca di volleare con percentuali soddisfacenti.
I colpi di rimbalzo sono sì rapidi, ma l’impugnatura, la posizione dalla quale colpisce e il fatto che il corpo tenda naturalmente a slittare all’indietro una volta partito il colpo rendono improbabili le discese a rete.
Non è una questione (di mancanza di) tecnica. Semplicemente, Nadal non fa quelle cose lì su un campo da tennis, non ha gli schemi biomeccanici per far quelle cose lì: parlo di coordinazione, derive, approcci, singole contrazioni muscolari e relative conseguenze. E probabilmente non le farà mai.

E così un’altra via per lo spagnolo non sembra esistere. L’unico modo che ha per tornare ai vertici del tennis mondiale è ripercorre il sentiero che l’ha incoronato Re della terra rossa e uno dei migliori 5 giocatori dell’era Open.
Una specie di eterno ritorno, ma la strada, francamente, questa volta sembra più ripida.
Nadal, icona dello sport mondiale per forza mentale, voglia di vincere e abnegazione sportiva, dovrà scavare a fondo della propria coscienza per capire cosa vorrà davvero fare da grande.
Avrà la forza morale, nella stagione che lo porterà ai Trent’anni, di ribellarsi allo scorrere del tempo e di riprendersi ciò fino all’anno scorso era stato suo di diritto? Temo di no. 

Maurizio Riguzzi
@twitTagli 

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