
Per la prima volta la tonnara preelettorale è molto più importante del giorno delle Politiche. Salvo il caso di una nuova legge sul voto creata per stravolgere gli equilibri e imporci un Monti-bis (una legge elettorale che doveva essere la priorità del governo tecnico, al pari dello spread, e che è stata colpevolmente messa in dimenticatoio), i giochi si fanno prima.
Non c’è in tutto l’arco parlamentare una forza alternativa al Partito Democratico, e lo hanno confermato le recenti elezioni siciliane: Sel sconfitta; grillini potenti sulla massa ma poco fiduciosi (loro stessi!) sul candidato leader, visti i numerosi voti disgiunti; Pdl massacrato; Idv in crisi nera; terzo polo smembrato, con Fli inconsistente e l’Udc a correre sotto le gonne dell’uomo forte di turno – a patto che questo non gli crei troppa pubblicità negativa.
Sul piano nazionale, basta solo introdurre la variabile Lega Nord (che verosimilmente prenderà una mazzata, orfana di Bossi e vittima della lotta di potere verticistica con annesso scandalo giudiziario) e si comprende come – salvo suicidi di massa – non c’è partita; al massimo, c’è un Partito, quello Democratico, e nulla più.
Ci siamo risolti il problema, quindi: sappiamo chi vince lo scudetto. Ma cosa resterebbe all’elettorato? Decidere chi gioca titolare, e non è poco.
Per questo, in una situazione in cui il Pd è l’unico partito credibile, siamo tutti chiamati alle primarie. E non importa che chiedano un obolo (ineccepibile) di due euro, né che si sia imbrigliati nella visione del comunista mangiabambini che francamente pare un tantino superata.
La critica principale a questo atteggiamento ecumenico è presto fatta: “Sono le nostre primarie, tutti gli altri si facciano i fatti loro”. A cui si aggiungono prima il “ma in America nessun Repubblicano va alle primarie dei Democratici” e l’ancora più ficcante “ma tu ti impegni moralmente a sostenere il PD alle politiche, una volta che hai partecipato alle primarie”.
Primo: il concetto, da più parti dichiarato, che sta alla base delle primarie è l’allargamento della base, che passa attraverso il coinvolgimento dei semplici simpatizzanti.
Mi pare strano, improvvisamente, guardare storto i delusi di Udc e Pdl che decidono di simpatizzare per il Pd; e inoltre mi dà fastidio che il mio voto sia stato richiesto a gran voce in tutte le precedenti tornate elettorali con la scusa “cacciamo il Tiranno brianzolo”, quando ora viene sostanzialmente schifato con la scusa del “sei troppo liberal”.
A questo punto tanto valeva limitare le primarie ai soli tesserati: una manovra perfettamente legittima, ma che avrebbe avuto un bassissimo valore di marketing (e le primarie sono una brillante operazione di marketing).
Secondo: in America c’è anche gente che spara nelle scuole, che si nutre di hamburger, che ascolta Britney Spears: non è che tutto quello che fanno i ‘mmerigani è giusto e va bene.
Al di là delle battute, non si può pretendere di importare assieme all’istituzione la cultura americana.
In Italia la cultura delle primarie non c’è, e non c’è nemmeno una cultura naturalmente bipolare: sono vent’anni che ci provano, e nonostante tutto non hanno cambiato le categorie di ragionamento del popolo. In Italia la stragrande maggioranza dell’elettorato non vive una identificazione viscerale con una parte politica, e vota per convenienza o per antipatia: se si vuole coinvolgere il popolo, si accetta questa realtà; se si vuole coinvolgere la parte militante, si torna al discorso di prima.
Terzo: io non mi impegno a un fico secco. Firmo, è vero, ma firmo una baggianata, dato che (art. 48 della Costituzione) il mio voto è libero.
Libero significa che, volendo, io posso votare nell’urna per il Collettivo Autonomo Vegetariano e poi silurarmi un hot dog; posso essere un ammiratore di Reagan e votare Pd.
La promessa è un vincolo morale, sicuramente non giuridico. E i vincoli morali si sostengono finché sono sostenibili.
Perciò non c’è nulla, nulla, nulla di scandaloso nella chiamata alle armi che Matteo Renzi ha rivolto all’elettorato laico. È anzi un segno di bravura la capacità di coinvolgere nuovi simpatizzanti, e solo una gerarchia ottusa come quella attuale del Pd sta riuscendo nell’impresa di delegittimare contemporaneamente il suo golden boy e se stessa.
La nomenklatura (la “k” è d’ordinanza) sta dando una pessima immagine di sé, tra la fifa blu di perdere e la impossibilità di giustificarsi, in caso di convergenze con Renzi, di fronte al suo elettorato più oltranzista e radicale.
Però questa parte del Pd non può pretendere di governare un Paese facendosi governare a sua volta dalla CGIL. Non può pretendere di governare dopo i disastri fatti nel ventennio berlusconiano, di cui è corresponsabile tra mancata legge sul conflitto di interessi e inciuci vari, dal “patto della crostata” in giù.
L’istanza di cambiamento che proviene dal basso può essere interpretata da Renzi, non a caso l’unico capace ad intercettare i voti dell’antipolitica.
Ed un successo elettorale (molti nel Pd ammettono a denti stretti che Renzi ha le potenzialità di prendere il 55-60% dei voti alle elezioni politiche) del genere permetterebbe di avere i numeri in parlamento per attuare i punti fondamentali del programma renziano: una trasparenza e semplificazione della nostra farraginosa Pubblica Amministrazione (volesse il cielo!), la riforma ichiniana del mercato del lavoro, una riorganizzazione del fisco per incentivare l’impresa privata, il tutto senza dimenticare i diritti civili, dallo ius soli alla civil partnership.
La situazione è paradossale: oggi come oggi, Renzi perderebbe le primarie. Ma nel Paese godrebbe di un consenso trasversale profondo, utile del resto in un momento di grave crisi istituzionale.
Per questo è necessaria una mobilitazione dei cittadini politicamente laici.
A sinistra non si sono accorti che con Renzi si vince a mani basse (o se ne sono accorti, ma contemporaneamente si sono accorti che non potrebbero fare solo tutto quello che vuole la parte più conservatrice della sinistra).
La speranza è che ci pensi la società civile a correre al di lei soccorso.
Umberto Mangiardi
@UMangiardi