
Londra. Solo il suono di questo nome aveva toccato corde primordiali nel mio profondo. Appena scendi all’aeroporto lo senti. Un po’ in sordina magari, ma c’è: il ritmo.
Lo puoi già percepire se presti orecchio. Nel mentre le tinte grigie del cielo fanno posto a un sole che sconvolge, che non ti aspetti. Ma il vento, quando decide di soffiare, ti penetra le ossa. Dunque all’erta: il tempo è pazzo, ogni possibile variazione climatica può verificarsi in un breve arco temporale.
E dopo un po’ arrivi in città. Nel cuore della città. E lì lo senti, per davvero. Il ritmo. Talmente forte che respiri a tempo. Dunque spera di non percepire un tempo dispari sincopato con tanto di pause, altrimenti è la fine. Io sono fortunato: mi piacciono le cose semplici e dirette.
Mentre cerco di abituare il fisico a questo ritmo quotidiano, facciamo la prima discesa nel magnifico universo sotterraneo della Underground. MIND THE GAP. Mi raccomando. Non avessi a ricordarlo, ogni un per due te lo ripetono: «Please, mind the gap between the train and the platform». L’avviso conosce tonalità e accenti diversi, ma nessuno batte il basso-baritono di Victoria Station: quello sì che è farsi sentire!
Per le strade invece c’è un silenzio irreale. Incredibile come una città così affollata riesca a fare così poco rumore.
La curiosità mi porta a guardare in strada. Osservo bene: taxi neri e bus rossi sfrecciano in senso di marcia opposto. Poi mi rendo conto che è semplicemente tutto al contrario in Inghilterra, hanno la guida a destra. In una strada a doppio senso quindi dovrai guardare prima a destra e poi a sinistra: conviene passare sulle strisce, i londinesi non si fanno troppi problemi a metterti sotto.
E per le strade quelle cabine telefoniche e quelle cassette della posta d’altri tempi a ogni angolo. C’è una strana follia creativa nell’aria, puoi percepirlo. D’altra parte che razza strana di folli sono gli inglesi? Hanno un modo tutto loro di guardare al mondo, sono unici.
Pensa te, per fare un esempio, a Enrico VIII. Qual era il modo migliore per togliersi di mezzo quel rompi palle del papa? Inventarsi l’anglicanesimo. Semplice, no? Eppure prima di lui non c’ha pensato nessuno. Che razza di geniale follia politica.
E vogliamo parlare della rivoluzione? In Inghilterra lo sanno come si fa una rivoluzione, altroché. Parlano tutti della Francia quando parlano di rivoluzione. Sia pure, liberté, egalité, fraternité, Carta dei diritti dell’uomo e del cittadino, e via discorrendo. Ma parliamo anche di questi signori che un giorno, più di tre secoli prima dei francesi, hanno avuto la malsana idea di rovesciare un regno di antica tradizione per instaurare una repubblica. E pure loro, già che c’erano, hanno anche decapitato il re.
Che gente! Il vecchio Cromwell sapeva farsi rispettare, poco da dire. Il bello è che i repubblicani la rivoluzione l’hanno anche persa. Ma da allora ogni sovrano che è andato a posare le regali terga su quel trono ha sentito bruciare. C’è da crederci.
Tanto che ora, nonostante sulla carta l’Inghilterra risulti essere ancora una monarchia, la statua del rivoluzionario se ne sta lì tranquilla davanti al Parlamento. Per par condicio però ci hanno messo vicino quella di Riccardo Cuor di Leone.
Una strana corona, quella inglese. Prima della nascita della monarchia costituzionale e della democrazia rappresentativa, i lord sapevano già come mettere freno ai loro monarchi. La Magna Charta lo testimonia. Ma lo ribadisce anche il fatto che nessuno noti che nei “fronti democratici” della Prima e della Seconda Guerra Mondiale vi fosse inserito un paese che, agli atti ufficiali, era comunque una monarchia.
A proposito di follia creativa, ma chi si sarebbe mai andato a sognare di costruirsi un centro di potere così imponente se non gli inglesi? Non si può non portare rispetto a Westminster. Esci all’uscita giusta dalla Underground e finirai proprio in bocca al Big Ben.
Ce l’hai presente? Bene, ora pensalo più grande.
Ancora un po’ di più.
No, ancora più grande. Non ci siamo ancora, aumenta!
Inutile. Finché non lo vedi non lo capisci. Finché non gli senti rintoccare le ore non capisci.
Quel suono ti fa vibrare da quanto è familiare. Ma certo, pensandoci bene, non comincia proprio così uno dei pezzi rock più travolgenti che la storia abbia mai sentito? Hell’s Bells, AC/DC.
Lo senti il brivido che dal collo scende giù fin nel profondo?
Ebbene sì, il Big Ben può fartela legittimamente sentire grossa se sei inglese. Eppure, restando sulla falsariga della follia, c’è chi trova il coraggio di piazzarsi sul ponte, là davanti alla sede del governo, in abiti scozzesi: con tanto di cornamusa, a suonare musiche tradizionali scozzesi.
Ora, magari il figurante non sarà uno scozzese al 100%, ma per un momento, diamine!, desidero credere alle favole: ci devono volere gli attributi per mettersi a suonare Scotland The Brave davanti al parlamento inglese. O no?
doc. NEMO
@twitTagli