Percorsi biografico-musicali: Q come… Quebegue

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Ebbene no, la mia Q non sono i Queen. Non me ne voglia la compianta band di Mercury & soci che, come potrà risultare ovvio a quanti mi hanno letto, mi appassiona e mi emoziona in ogni singolo pezzo. Però no, nel mio percorso non sono loro la mia scelta. Dileggiatemi, lapidatemi, sfiduciatemi, fate quello che vi pare.
Ma se avrete la pazienza di seguire ancora una volta il vostro pazzo timoniere, vi porterò a scoprire una realtà senza dubbio meno nota che mi ha però dato tanto.
Dobbiamo ancora una volta fare marcia indietro: dagli States torniamo in Italia. Di nuovo nella mia Firenze, stavolta notturna e universitaria. D’altronde in un percorso biografico e musicale pensavate che la mia città non potesse, di quando in quando, tornare a essere lo sfondo prediletto della narrazione?

Q come… QUEBEGUE

Vi consiglio: Quebegue, Quebegue
Tracklist: Uomo che Piange / Donna che Ride / Mentre Corro Vs Il Mare / Una Settimana con Veronica / Persona Qualunque / Favola / Vino Divino / Eraiva (feat. Martinicca Boison) / La Distanza Del Volo / Libertà di Scelta
Etichetta: Autoprodotto
Anno: 2012

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Nella mia breve esperienza, il periodo universitario è venuto a coincidere con una serie di piccoli e grandi cambiamenti. Ovviamente c’entra anche la musica, ma non solo.
Entrare all’Università di Firenze – che pure non ha l’austerità e il blasone della Bocconi, della Normale, della Alma Mater Studiorum, etc. – fu come tuffarsi nell’oceano dopo aver nuotato per tutta la vita in una bacinella d’acqua. Con tutte le mie ingenuità e tutte le mie incapacità, con una manciata di anni in più rispetto alla mia classe d’iscrizione (eh già, percorso liceale travagliato, ma è un’altra storia), con la voglia di dare tutto il meglio e se possibile anche di più, la mia apertura mentale iniziò solo allora ad ampliarsi veramente.

Senza affermare ulteriori ovvietà, vi porto direttamente al cuore della vicenda: sono in odor di laurea magistrale, ho perso alcuni mesi dietro ad alcuni esami extra-curriculari, molte delle mie amicizie della prima ora hanno già terminato il percorso o hanno mollato.
In sintesi, tra 2011 e 2012 passo forse uno degli inverni più solitari e tristi di sempre immerso nello studio: ma con l’anno nuovo cambia tutto.
Sarà una semplice amicizia, nata tra i banchi della sala lettura del dipartimento di storia, a imprimere un mutamento al mio quotidiano, un’amicizia con i soliti noti solo di vista che, a un tratto, si rivelano l’incontro che ti mancava.
E così, sullo scorcio di Palazzo Fenzi, ecco le prime giornate di studio intirizzito con Guido, Iacopo, José e vari altri ragazzi che alternatamene si presentano.

Un’intesa particolare nasce con Giordano, un ragazzo che si vede magari meno in questa nuova compagnia, ma che ha il potere di stabilire con chiunque l’atmosfera giusta per la chiacchiera e la discussione.
Tante cose ci uniscono e ci accomunano ma inevitabilmente, quando emerge che anche lui suona, tutto il resto finisce quasi sullo sfondo. Mi parla del suo gruppo, tali Quebegue, come di una creatura strana, difficili da inquadrare come genere, e l’interesse che viene stuzzicato in me dalle sue parole è assai vivace. 

Nel 2012 si stavano per l’appunto ultimando i lavori per la registrazione del primo album omonimo dei Quebegue che fu presentato – se la memoria mi aiuta – verso marzo/aprile al Ginger Zone di Scandicci.
Fu lì che tutta la nostra comitiva, battezzata “gli ubrianisti” durante una serata particolarmente sobria, si riunì per ascoltare Giordi suonare in anteprima i brani del disco.
Immancabile l’acquisto del disco stesso e l’inizio di un processo che ci avrebbe portati, a partire dalla primavera e dall’estate di quell’anno, a essere spesso e volentieri ai concerti dei Quebegue.

Come dicevo, per il mio amico Giordano è sempre stato difficile cercare di inquadrare il genere che suonava col suo gruppo. Dopo aver ascoltato il disco capii perché. Il primo disco dei Quebegue [1] è un prodotto semplice e accessibile, eppure con la sua complessità.
Al primo impatto si presenta come una semplice proposta di rock italiano cantautoriale, ma dietro a questa superficie c’è di più. Pur nell’essenzialità della formula, potremo ritrovare impressioni folk, romanze, melodie orecchiabili dal sapore pop e strizzate d’occhio a dinamiche swingate.
Elementi che compaiono però per cenni, quasi nascosti e ben amalgamati nella sostanza di base di cui si diceva prima.

In altre parole non stiamo parlando di un disco banale, ma di qualcosa che sa avvolgere e raccontare, grazie anche alle capacità di composizione dei testi del cantante e chitarrista Marco Fontana. Storie che suonano sincere e vissute, anche quando abbandonano il realismo per giocare col fantastico e col surreale.
Tanto amore, come logico aspettarsi. Ma è un amore complesso, difficile, travagliato, spesso non corrisposto, fatto di addii, abbandoni, ritorni e – soprattutto – ricordi malinconici. Non manca, quale necessario corollario, qualche ammicco sessuale. Appare sovente del vino a sottolineare l’estro e la vivacità dei nostri.
Le immagini, che spesso offrono lo sfondo su cui si muovono i personaggi e avvengono le azioni, sono evocative quanto semplici.

È quasi disarmante il modo in cui i Quebegue sanno gestire tutto questo: per l’appunto con semplicità, ma senza cadere nel banale e nello scontato. Così il singolo di lancio, Una Settimana con Veronica, è un simpatico siparietto sulle vicende quotidiane che ciascuno di noi potrebbe – in un modo o nell’altro – riconoscere nella sua stessa vita sentimentale. Programmi, appuntamenti, idee, imprevisti e piccole grandi incomprensioni.
Il tutto è ricamato in un pezzo easy listening, dall’appeal radiofonico e con tanto di ritornello che si imprime immediatamente nella testa.

Le atmosfere fiabesche di Favola, dove realtà e immaginazione trovano un delicato compromesso, ci proiettano in un modo forse non così inusuale di ricordare qualche amore passato che lascia il suo sapore e il suo ricordo indelebile, magari con qualche traccia di amarezza.
Lo scanzonato duetto iniziale del disco, Uomo che Piange e Donna che Ride, è un tentativo di raccontare due parti, due versioni, due generi così diversi eppure così magneticamente portati a cercarsi. Da una parte la volubilità quasi innocente di chi fa soffrire il povero protagonista, dall’altra l’inettitudine quasi appassionata di chi conosce questo gioco ma non può fare a meno di giocare.

Due episodiche toccate sullo swing in Vino Divino e Mentre Corro Vs Il Mare, la prima dal chiaro andamento ebbro e oscillante, la seconda più dolce-amara nel suo raccontare l’annegarsi del protagonista in un paesaggio quasi ameno.
Commovente e romantica invece La Distanza Del Volo, col suo struggente violino e la sua storia di distanze non colmate, di passi falsi e di scuse impressionate in un atmosfera autunnale che vira verso l’inverno.

Infine la felicissima collaborazione coi Martinicca Boison nella composizione, arrangiamento ed esecuzione di Eraiva – storia di una separazione che avviene durante un’alba invernale, e dunque brillante, ma senza calore. Non a caso Iva è descritta proprio come il sonno, quel tepore che arriva con tanta difficoltà e che con altrettanta difficoltà si riesce a far passare.

Per tornare da dove eravamo partiti, non vi sarà difficile capire perché i Quebegue sono così importanti nel mio breve “romanzo di formazione musicale”. Chi mi ha letto fin qui sa quanto le mie preferenze musicali si rivolgano, di norma, a ben altri lidi. Il periodo universitario mi ha visto crescere anche in questo, nel mio aprirmi quasi a 360 gradi sulle infinite sfaccettature che la musica offre.
Difficilmente qualche anno prima avrei considerato un gruppo come i Quebegue degno di attenzione.

E quante cose mi sarei perso. Le nostre serate da ubrianisti, troppo ebbri per essere dei dotti accademici ma troppo colti (massì!) per essere dei semplici ubriaconi. I nostri caffè “letterari” fuori da San Gallo tra storia, donne, filosofia, prospettive, musica e sociologia. I cenini da Guido nel suo appartamento a Scandicci, i kg di spaghetti a mezzanotte e fischia.

Le sere di primavera e d’estate in giro per la nostra Firenze ad affogare, per una notte (o anche più di una notte, secondo come girava), angosce e incertezze sugli esami, sulla tesi, sul futuro e sull’avvenire in un po’ di vino economico, nelle birrette al minimarket pakistano e nei cocktail condivisi per risparmiare.
Col cielo stellato sopra di noi che – lungi dall’essere la volta racchiudente la legge morale dentro di noi – era solo il limite da rompere in quelle sere.
Per sentirsi un po’ più liberi, un po’ più sicuri, un po’ più vivi. Salvo poi tornare alle beghe di sempre.

Eravamo solo noi e le nostre beghe, e che beghe. Quebegue. La loro musica, per un breve ma intenso periodo, [2] è stata la nostra cornice, il nostro sottofondo; le loro canzoni sono state un po’ le nostre storie, i nostri piccoli drammi sentimentali, le nostre evasioni. 
Eravamo noi, gli ubrianisti.
Solo noi e quelle notti che non volevamo far finire mai, per essere ancora un po’ immaturi in un mondo che ci chiamava ad assumere il nostro posto (che alcuni di noi, detto per inciso, ancora oggi cercano di capire quale sia). 

Eravamo solo noi. E i Quebegue che, una sera sì e l’altra pure, andavamo a cercare perché ci raccontassero, con semplicità e un’immediatezza un po’ etilica, ancora di noi. Nel disco dei Quebegue che acquistai quella sera a Scandicci la prima volta che li vidi suonare, c’è una dedica «con affetto storico» del mio amico Giordano. 
Ed è con quello stesso affetto storico che io ricordo questo gruppo nella mia breve esperienza di vita e musica.

doc. NEMO
@twitTagli


[1] Un paio di credits, perché è giusto premiare il lavoro che sta dietro a un disco rimasto relegato alla nicchia della scena emergente. Quebegue è interamente autoprodotto con la collaborazione di Daniele Bao ed è distribuito dalla Audioglobe; lo trovate tutt’ora nella pagina SoundCloud della stessa Audioglobe. Le registrazioni si sono svolte in diverse sedi (in casa, presso gli El-SoP Recording e i Riccioland Studio), mentre il mastering è stato curato da Tommaso Bianchi presso il White Sound Mastering Studio.

[2] I Quebegue si sono sciolti nell’ottobre 2013. Forse nel loro momento di maggiore slancio e con tutta una serie di pezzi nuovi che ho avuto modo di sentire dal vivo e nelle prime versioni registrate come sample di prova. Ancora una volta, che beghe!

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