SCENE TAGLIATE – Snowpiercer e quella parola che inizia con la C.

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L’altra sera mi annoiavo: non c’erano partite dei mondiali in tv, avevo finito le puntate di Game of Thrones e leggere un libro senza le figure mi pareva una prospettiva troppo ambiziosa. Certo, avrei potuto lavorare. Ma chi ha mai scritto un articolo a proposito di “quella sera in cui si è messo a lavorare”? 

Poi ho pensato che sul mio computer c’era Snowpiercer, Non l’avevo ancora visto, e un mio amico una volta mi aveva chiamato trafelato, urlando al miracolo e dicendo cose come “Il cinema è salvo! Futuro post-apocalittico! Un treno che fa il giro del mondo! Bong Joon-ho!

Attratto in particolare dalla simpatia istantanea verso una persona che di primo nome fa “Bong” (no, non è il mio amico, è il regista del film) mi misi a guardare Snowpiercer.

Poco convinto, in realtà: mi aspettavo un polpettone sci-fi didascalico e un po’ stupidotto, considerata anche la premessa cretina del film: in un mondo sprofondato in una nuova era glaciale, l’umanità sopravvive a bordo di un treno che si auto-mantiene e fa il giro del mondo in eterno. I vagoni del treno separano le varie classi sociali: i poveretti in fondo, i ricchi in cima. Non riesco a immaginare niente di più insensato.

 

La mia perplessità era ulteriormente motivata dal fatto che Snowpiercer aveva tutte le carte in regola per diventare un simpatico sbaglio: un cast che sembrava assemblato a caso, dove un paio di premi Oscar in cerca d’autore affiancavano Capitan America e Billy Eliott.
Nella parte del cattivo c’era Tilda Swinton, che per l’occasione aveva probabilmente rubato costumista e truccatore di Nicolas Cage. 

In poche parole, il primo impatto con Snowpiercer poneva solide basi per credere che potesse rivelarsi una… una di quelle parole che iniziano con la C. 

 

Tratto da un fumetto francese (i fumetti francesi sono il male supremo, è bene tenerlo presente), regista sudcoreano prestato a una produzione internazionale, cast holliwoodiano, premessa da fantascienza speculativa di serie B, intero film ambientato dentro un treno. 

Con queste nozioni ben salde in testa, cominciavo il viaggio dentro la mente creativa di Bong. 

“Bong!” Immaginate il suono di un gong. Il viaggio ha inizio. 

Ecco: come questa recensione, Snowpiercer è una parola che inizia con la C. Ma si tratta di due parole molto diverse. 

 

Il vagone dei poveri, in coda al treno, prepara la rivoluzione che permetterà loro di occupare la testa e cambiare l’ordine sociale del micro-mondo del treno

L’umanità rimasta in vita sul pianeta è ridotta esclusivamente agli abitanti di Snowpiercer: è un complesso variegato e multietnico dal quale spiccano Chris “Capitan America” Evans, leader dei rivoluzionari, John Hurt nella parte del “Vecchio Saggio”, Octavia Spencer in quella della “Mamma a cui hanno sottratto il bambino”. 

Durante i primi 10 minuti di film, comincio a pensare: “C., benvenuti nel regno del cliché da sci-fi americano medio. Arrivare alla fine di questo film saranno C. amari”. 

Certo, la scenografia è suggestiva e l’ambiente perfettamente tangibile. La costruzione del mondo è impeccabile e claustrofobica al punto giusto, i personaggi sono brutti, sporchi e strani.
Ma non è abbastanza: alcuni elementi sembrano presi di peso da un film di Terry Gilliam, al punto che il personaggio di John Hurt… si chiama “Gilliam”. 

C.

Andiamo avanti. 

 

Il film americano di stampo classico che stavo guardando si ferma all’improvviso quando sullo schermo appare Kang-ho Song, che magari non vi dice niente ma se lo guardate bene vi rendete conto che è l’attore di tutti i film coreani.
Al suo ingresso in scena, la tensione crescente e il senso di urgenza che il montaggio serrato standard di un film d’azione occidentale sono abituati a farci provare… scompaiono, in favore di una lunghissima sospensione dell’azione che fornisce al personaggio di Kang-ho Song tutto il tempo di cui ha bisogno per diventare una leggenda totale senza dire una parola. 

 

Il messaggio, ben poco velato e “meta” di cui Kang-ho Song si fa portatore è: “Noi coreani abbiamo preso il controllo di questo film americano. Aspettatevi il peggio”. 
Le scene seguenti di Snowpiercer annunciano l’avvicinarsi di un maledettissimo C. 

Come i rivoluzionari lungo i vagoni del treno, il film procede “a livelli”. Ogni vagone cambia ambientazione, colori, interpreti e persino genere: si passa dall’horror al film per bambini, da una battaglia al buio con le asce a un’inesorabile distruzione dell’immaginario dell’eroe positivo.
Capitan America fa cose bruttissime, l’action tradizionale degenera in un immaginario psichedelico di maestre d’asilo con il mitragliatore in mano, l’attore coreano si siede sornione e ammicca. 

 

Il film funziona a meraviglia nei momenti in cui sembra una danza leggiadra dentro uno spazio chiuso e confinato: le pareti del treno mutano di vagone in vagone, coerentemente rispetto allo spirito, la sensibilità e il tema di quel particolare momento. Quando invece cade di tono, Snowpiercer cade coraggiosamente: cercando di fare sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato, il gesto anticlimatico in luogo di quello solenne. 

E, mentre fuma l’ultima sigaretta della storia dell’umanità, Kang-ho Song ricorda il personaggio di Kurt Russel in un altro film che potrebbe cominciare con la C.: Fuga da Los Angeles di John Carpenter.
C’è la stessa poetica anarchica e satirica, lo stesso desiderio di fuggire da quello che il pubblico si aspetta che accada, lo stesso anti-eroe cinico e disinteressato al destino del mondo. 

 

Insomma, partono i titoli di coda. Penso “C.! Snowpiercer è un capolav… Cioè, volevo dire: un C.!“

Ma poi mi rendo conto che non è vero. Non è un C.! Non può esserlo. Non è un film d’autore con un profondo messaggio sociale, una tematica forte ben sviluppata e portata avanti, non smuove le coscienze e non educa le masse. 

D’altra parte, non è neanche una C.
Non è un kolossal dai maestosi effetti visivi, con un’azione travolgente, divertimento, gesta eroiche ed esplosioni. 

 

La cosa davvero interessante di Snowpiercer, è che non è entrambi e non cerca di esserli. È un’opera che si distingue, nel bene e nel male. Che osa fare cose strane e sbagliate e che dimostra più coraggio in un’inquadratura che decine di anni di cinema “d’autore”, e più senso dello spettacolo in un uomo che inciampa su un pesce che tutta la rassegna dei blockbuster americani di quest’anno. 

Snowpiercer sa che cosa vuole: non essere un C., e non essere una C.
Fa cinema di genere, anzi di più generi, messo al servizio di una storia da raccontare e di uno sconfinato talento visivo. Snowpiercer non è un C. di niente. Ed è imperdibile per questo motivo. 

 

Davide Mela

 

PS, nel caso vi abbia confuso le idee: il dilemma è tra “capolavoro” e “cazzata” (e suoi derivati). 

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