Sembra quasi che parte del cinema di Frank Darabont (Il miglio verde e Le ali della Libertà,) nasconda la voglia di auto-limitarsi dentro confini segnati da spazi centripeti. Abbiamo, cioè, l’impressione di condividere con gli attori protagonisti uno spazio autoreferenziale, uno spazio che cerca di esaurirsi e di completarsi, in tutta la sua totalità, proprio là sulla scena.
Le “gattabuie” costruite in maniera quasi maniacale da Darabont sembrano spazi edificati quasi esclusivamente per contenere sguardo e corpi; imponenti costruzioni tutte sbarre e cemento, ostruiscono l’occhio della cine-camera precludendo ai prigionieri del cinema di questo autore, anche solo la possibilità di contemplare il proprio habitat “innaturale” da una prospettiva rovesciata di 180 gradi.
Eppure, queste prigioni cinematografiche sono fatte per essere oltrepassate. E non ci riferiamo solo al superamento tutto fisico racchiuso nell’atto della fuga, operata peraltro con successo da alcuni eccellenti reclusi del suo cinema (Tim Robbins), quanto alla inevitabile certezza di essere oltrepassate, almeno “concettualmente”, dallo sguardo di attori e spettatori.
Una certezza che si lega alla natura stessa del mezzo cinematografico: una natura centrifuga. Lo schermo, come osservava giustamente Bazin, è un cache, un mascherino che serve a nascondere almeno quanto a mostrare e, il gioco della “scrittura”, è una partita ininterrotta tra il visibile e l’immaginario, fra un vedere ed un desiderio di vedere.
Addirittura per Vernet la rappresentazione allude irrimediabilmente all’irrappresentabile: le immagini che percepiamo non sono altro che affascinanti “figure dell’assenza”. Perciò, il visibile – la cella, il prigioniero – è tutto strutturato in funzione dell’invisibile: i movimenti, gli sguardi dei personaggi e le linee di fuga della scenografia rimandano, alludono inevitabilmente a ciò che sta fuori campo.
Ecco perché, caro Darabont, costruire fortezze, circondarle di filo spinato, imbottirle di poliziotti con occhiali a specchio e mitra spianati, non servirà proprio a niente; la fuga è tuttà lì, già immortalata nello sguardo dei galeotti.
Mimmo Carretta
@twitTagli