Una preside ci spiega la riforma della scuola

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Giovedì 9 giugno la Camera ha approvato la riforma della scuola. Fino a poco tempo fa, non sapevo gran che sulla riforma se non che Renzi l’ha chiamata “La Buona Scuola” e che ha fatto arrabbiare molti docenti.
Parlando da ex-studente che in passato ha fatto arrabbiare molti docenti, sento di avere qualcosa in comune con questo disegno di legge; ho quindi deciso di andarmi a documentare e cercare di formarmi un’opinione precisa sull’argomento. 
L’opportunità migliore per ottenere informazioni dettagliate ed ascoltare un punto di vista “tecnico” sulla riforma mi è capitata sotto forma di una lunga chiacchierata con la dirigente scolastica di un importante liceo della provincia di Torino.
Nell’intervistarla, sono riuscito ad avere le idee estremamente più chiare sulla materia e anche a tentare di comprendere le ragioni della forte resistenza che la Riforma sta incontrando da parte dei docenti e dei rappresentanti sindacali. E, occasionalmente, da parte di gente che sventola buffi cartelli nella Camera dei Deputati. 

IN COSA SI CONCENTRA LA RIFORMA? QUALI ASPETTI PRENDE MAGGIORMENTE IN CONSIDERAZIONE?
Sono stati accentuati aspetti più sul lato organizzativo che su quello dei contenuti e dei percorsi di istruzione e formazione.
In particolare, la riforma affronta questioni come le modalità di reclutamento degli insegnanti, il ruolo dei dirigenti scolastici, il cambio del sistema di premialità degli insegnanti e del sistema di valutazione dei docenti. 
Quest’ultimo punto è al centro della recente opposizione che la riforma sta incontrando, ed è stato molto evidenziato. Non si è quasi parlato di altri aspetti, che invece potrebbero essere una risorsa per le scuole. 

UN PRO?
Il disegno di legge, se tutto va bene, potrebbe dare alle scuole circa 8-10% di insegnanti in più rispetto a quelli che attualmente sono stabilizzati per tre anni.
Con questi numeri, le scuole potrebbero sostituire gli assenti, migliorare il curricolo, avviare laboratori contro la dispersione, fare percorsi per una o due lingue in più, aprire la scuola nel pomeriggio e in generale impostare progetti. Questa è indubbiamente una forza. 
Altro aspetto interessante: dentro il disegno di legge è previsto che ogni insegnante possa avere 500 euro l’anno stanziati per percorsi di formazione o acquisto di materiale. Non è tanto, ma è qualcosa. 

UN CONTRO?
Le assunzioni: potevano essere fatte meglio. Lasceranno fuori gente molto preparata: le assunzioni sono rivolte a persone che sono collocate in una certa fascia, ovvero le graduatorie dei precari storici.
Lasceranno fuori insegnanti che sono stati ben preparati nelle SIS e nei corsi di specializzazione universitari, ma che non potranno essere assunti adesso e dovranno fare un concorso.
Si va così a stabilizzare un numero di precari storici, che magari negli ultimi anni non hanno nemmeno insegnato.
È un limite, ma risente anche della sentenza della Corte Europea: queste persone hanno comunque il diritto di essere assunte. 

LE QUESTIONI PIU’ DIBATTUTE SONO DUE: INIZIAMO DAL RECLUTAMENTO.
Il reclutamento cambierà regime dal 2016/17: da quel momento saranno introdotti albi territoriali a cui le scuole potranno accedere sulla base del loro progetto formativo e curricolo.
Dovranno essere pubblicati sul sito della scuola i criteri e le esigenze del reclutamento: a quel punto gli insegnanti potranno presentare la propria candidatura e i dirigenti dovranno motivare la scelta di uno piuttosto che di un altro. 
L’impostazione di questo modello “aziendale” è il problema: il preside guadagna più discrezionalità, e questo non è piaciuto.
Ma va sottolineata una cosa: nell’operazione di selezione i criteri e il bando di reclutamento vanno resi pubblici prima della raccolta di domande di assunzione; inoltre, il ddl prevede che il preside debba essere affiancato da una commissione, un gruppo nominato all’interno della scuola destinato a controllare il percorso di reclutamento.
Così è, ad esempio, anche nel Regno Unito: selezione per curricolo, colloquio di fronte a una commissione. 
La cosa, però, non piace ai sindacati e ai docenti: sul reclutamento c’è sempre stata una contrattazione a livello nazionale e territoriale, per cui si stabilivano quote di assunzioni e mobilità. Questo disegno di legge va a normare ambiti che erano oggetto di contrattazione, sottrae spazi di negoziazione a rappresentanti sindacali e lavoratori.
Questo spiega in parte le resistenze e gli scioperi, dovuti a questo punto e alla questione della premialità.

COSA SI INTENDE CON “PREMIALITA’?
La riforma prevede che dirigente scolastico (affiancato dalla commissione) possa, in via discrezionale, scegliere fino a un massimo di 10 persone come suo staff (ovviamente motivando e su base curricolare). Quindi, il dirigente scolastico – assistito dal comitato di valutazione – stabilisce il riconoscimento del merito dei docenti.
Il grande cambiamento relativo a questo tema è lo spostamento di un ambito prima esclusivamente contrattuale ed oggi divenuto legislativo. 
In sostanza, cambia completamente il rapporto sia tra presidi e docenti, sia tra docenti stessi: stabilisce un meccanismo di premio del merito – che è fuori dalla contrattazione di Istituto. Eventuali tensioni, tuttavia, a mio giudizio possono tranquillamente essere aggirate se il dirigente ha il buon senso di condividere le tappe decisionali con il Collegio Docenti, che può (e dovrebbe) essere chiamato ad esprimersi in merito, e anche a condividere la scelta dello staff.
In questo modo si evitano le spaccature, ma non c’è nessun obbligo in tale direzione. E lo sappiamo: quando si lascia qualcosa al buon senso… 

PARLIAMO DEL POF. NO, NON È UN SUONO ONOMATOPEICO.
Il POF è il Piano dell’offerta formativa. Viene rivisto tutti gli anni e prevede che ci sia un progetto triennale, predisposto dal Collegio Docenti, sulla base di finalità previste dal dirigente scolastico.
Questo piano triennale dovrà anche essere accompagnato da una richiesta di risorse in termini di personale che vengono assegnate per tre anni. 
Questo è un grandissimo punto di forza: nella situazione attuale, le scuole non sanno mai a giugno chi ci sarà a settembre per quanto riguarda il personale precario.
Questa misura risolverebbe il problema di conoscere le proprie risorse future e potrebbe permettere alle scuole di “progettare a medio termine”. 

MA ALLORA DOV’È IL PROBLEMA?
L’opposizione denuncia il fatto che la legge assegna al dirigente il compito di stabilire qual è la missione dell’istituto: è il dirigente che detta le finalità, e da qui parte il discorso sul “Preside padrone” o “Super-preside” di cui si è tanto parlato. 
La riforma concederà anche più discrezionalità al dirigente scolastico, ma di fatto sta ad ogni preside interpretare il suo ruolo.
La resistenza a livello sindacale è perfettamente comprensibile; ciò non toglie che ci sia l’elemento apprezzabile del cercare di dare alla scuola più risorse. 

CI SONO ARGOMENTI DI CUI LA PROTESTA SI È DIMENTICATA?
Decisamente sì.
La riforma ha il pregio enorme di riportare al centro l’esigenza che alcune discipline sparite con la Gelmini debbano tornare nei curricoli: seconda lingua straniera, diritto ed economia, musica e storia dell’arte.
Un altro aspetto lodevole è l’inserimento e l’accento sui percorsi di alternanza scuola – lavoro. 

DA QUELLO CHE DICE, IL DISEGNO DI LEGGE HA PIU’ PREGI CHE DIFETTI. C’È QUALCOSA CHE BOCCIA SENZA APPELLO?
La discussione relativa alla riforma della scuola è iniziata a settembre, ma il disegno di legge è stato approvato ora, alla fine di giugno, con un voto di fiducia. 
Questo ha massacrato la fine dell’anno scolastico, creando tensioni e nervosismi: la procedura è stata giocata malissimo, tramutandola in un’operazione mediatica. E all’interno dell’operazione mediatica, hanno prevalso l’ideologia e la propaganda rispetto ad una volontà di informazione: ci sono state strumentalizzazioni da una parte e dall’altra. 
Si potrebbe paragonare la cosa al discorso “Si Tav – No Tav”. È diventata una scelta di fazione, non un’analisi nel merito. 
Poco si è parlato del merito, molto si è parlato del metodo. è sicuramente il metodo non è stato felice. 

MA QUINDI LA SUA È UNA CRITICA “POLITICA”, NON SUL PROVVEDIMENTO!
No, non solo. L’altro elemento negativo è l’atavica questione dei finanziamenti alle scuole private: la cosa grave è che ci sia uno sgravo fiscale del 65% rispetto ai contributi versati per la frequenza delle scuole private.
La misura è bilanciata dal fatto che si preveda la detraibilità dei contributi alla Scuola, anche pubblica, ma di fatto le scuole private escono ancora come molto avvantaggiate. 

VA BENE, MA IN MOLTE SCUOLE SONO STATE ERETTE LE BARRICATE: LA RESISTENZA È STATA PROFONDISSIMA. COME LO SPIEGA?
Tra i docenti c’è stata la percezione di alcuni elementi del disegno di legge come fortemente negativi, ma non ne sono stati visti altri che possono essere una risorsa per la scuola. 
La considerazione necessaria da fare, nell’avvicinarsi ad un’analisi di questo disegno di legge, è pensare a cosa è successo nella scuola a partire dal 2003 fino al 2010, prima della proposta attuale. 
Sono state altre le riforme che hanno toccato pesantemente la scuola, sia primaria che secondaria, che hanno avuto un impatto molto forte. Quelle, di fatto, sono comunque passate, anche con un’opposizione più leggera. 
Il disegno di legge proposto dalla Moratti aveva cambiato molto la struttura della scuola, in particolare per quanto riguarda i programmi del primo ciclo. Ha tagliato molte ore di insegnamento, eliminato i laboratori opzionali e fatto sparire nella sostanza la seconda lingua straniera. Ha cambiato prospettiva nell’insegnamento rispetto ad alcune materie, come scienze e storia, che hanno avuto programmi stravolti. Lo stesso discorso può essere fatto per la Riforma Gelmini: scritta da Gelmini e Tremonti, ha tagliato centomila posti di lavoro in 3 anni solo nelle scuole superiori, ma tutti parlavano solo di Università. 

IN CONCLUSIONE?
In conclusione, è stata fatta una lettura molto ideologica della riforma. Rispetto a riforme come la Gelmini e la Moratti, “La Buona Scuola” sta ricevendo un’opposizione accesa sul piano ideologico, ma a differenza delle altre due (rispetto alle prospettive di risorse che le scuole potrebbero avere) contiene dei punti di forza decisivi. su cui non ci si vuole concentrare.

Davide Mela
@twitTagli

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