Perché tutti credono a certe bufale?

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Perché le bufale diventano virali? Con terminologia rubata alla fisica, potremmo affermare che diventano virali perché, o meglio finché, la forza che spinge alla loro diffusione è maggiore rispetto a quella che spinge al loro smascheramento.
Spinge a favore della viralità, per esempio, il fatto che indignarsi e mettere un like (o condividere sul proprio profilo) è più rapido e istintivo che approfondire e ragionare. L’utenza di un social network, del resto, ha il più delle volte poco tempo e un approccio ludico al contesto in cui si trova.

Ma avete notato che le bufale che attribuiscono colpe fittizie ad appartenenti a categorie politicamente scorrette (politici specie destrorsi, forze dell’ordine, clero, giornalisti, giudici) si diffondono a velocità maggiore delle altre bufale?
La loro viralità è accresciuta principalmente da un ulteriore fattore psicologico. Mettendo il like a una di queste bufale, l’utente medio dice pubblicamente: “Vedete? Anche io, come l’autore del post, non perdo occasione di indignarmi contro questi politici (o sbirri, o preti ecc.)!

 

Il credito sociale che ne deriva è una ragione in più per condividere il messaggio sulla propria bacheca e nel proprio intimo. Al contrario, gli interventi critici sono disincentivati.
Di fronte a un post minimamente “eretico”, ecco torme di utenti affamati di like che non vedono l’ora di pubblicare questo paralogismo infamante: “Se metti in dubbio questa notizia è perché stai dalla parte della casta, dei poliziotti picchiatori e dei preti pedofili!

Al che, magari, uno lascia anche perdere.

 

Andrea Donna
@AndreaDonna

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