Italia, una Repubblica fondata sul cemento (abusivo)

L’abusivismo è un fenomeno molto diffuso in Italia, con un’origine lontana e radicata alla cultura del nostro paese a doppio filo. Da un lato, infatti, si è verificata l’incontrollata espansione delle periferie, squallide, degradanti, tristi e depressivi dormitori per i nuovi operai. Tutto questo avveniva a Torino come a Palermo, a Napoli come a Milano, a Genova come a Roma, in nome del “boom economico” e dello sviluppo industriale che ha coinvolto tutta Italia. Dall’altro, invece, speculatori e faccendieri tra colpi di badile e di cazzuola, dal Dopoguerra a oggi, hanno edificato nel “giardino d’Europa”, lasciando un’enorme colata di cemento indifferente ad ogni regola di pianificazione urbanistica e di sviluppo sostenibile, ma soprattutto irrispettosa del bene comune, della res publica, il nostro territorio.

Ecomostro di Punta Perotti (BA)

 

Il grave fenomeno dell’abusivismo è il segno del fallimento, da parte di tutte le istituzioni, nella tutela del territorio. Le motivazioni dell’abusivismo traggono le loro ragioni inizialmente dallo stato di necessità dei cittadini che, non potendo trovare una collocazione adeguata sul mercato immobiliare, scelsero di costruirsi un’abitazione al prezzo più basso possibile; sarebbe dunque figlio del bisogno sociale. Questa argomentazione vale, tuttavia, solamente per i primi vent’anni del Secondo dopoguerra.

Dagli anni ’70, infatti, l’abusivismo è diventato soltanto un segmento dell’illegalità con tutte le connessioni con il mondo della produzione del cemento. Si è dunque costituito un mercato parallelo che ha condotto l’Italia verso la folle corsa dei condoni edilizi che nel giro di vent’anni hanno consolidato nel senso comune il fatto che la pianificazione urbanistica può essere spesso violata senza incorrere in sanzioni. Ripercorriamone brevemente le tappe.

1. Nel Marzo del 1985, Presidente del Consiglio Bettino Craxi e Ministro ai Lavori pubblici il democristiano Prandini, fu approvata la Legge n.47/85 che rendeva possibile condonare gli edifici realizzati fino alla data del 1 Ottobre 1983. Nel Settembre dello stesso anno iniziarono ad esser messi a disposizione i moduli e, nel giro di pochissimo tempo, furono oltre 4 milioni le domande di sanatoria presentate ai sensi della Legge in tutta Italia. Emerse che i piccoli abusi edilizi (ampliamento, chiusura balconi, sopraelevamento, ecc) erano prettamente diffusi al Centro-Nord, mentre tipica delle Regioni del Sud è la realizzazione di intere lottizzazioni a destinazione produttiva (anche direttamente connessa con la filiera del cemento) e l’aggressione dei luoghi di villeggiatura, in particolare delle coste marine. Come testimoniato infatti da molte associazioni ambientaliste, centinaia di chilometri di coste del Lazio, della Campania, della Calabria, della Sicilia e della Puglia sono state cancellate da fraudolente interpretazioni delle regole urbanistiche. È interessante notare che lo stesso anno del lancio del primo condono edilizio il Parlamento approvò la Legge n.431, concernente disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale, dell’8 agosto 1985, la c.d. Galasso dal nome del suo estensore Giuseppe Galasso, che tutela una serie di beni paesaggistici giudicati fondamentali ai fini del mantenimento dei caratteri peculiari del paesaggio italiano. Esso viene così inteso e protetto per ambiti territoriali, come bene ambientale che supera e integra quello originario di bellezza naturale.

2. Anno 1994, la crisi morale prodotta da “tangentopoli” scosse il Paese in profondità. Gran parte della classe dirigente, insieme ai partiti che avevano caratterizzato i primi cinquant’anni della Repubblica, scompare. Alle elezioni politiche di Marzo vince una nuova formazione politica, Forza Italia, condotta da un imprenditore del mondo delle comunicazioni che nel passato aveva fatto fortuna nel settore delle costruzioni. Il 23 Dicembre 1994 viene emanata la Legge n. 724, Misure di razionalizzazione della finanza pubblica, un’approvazione in tempi da primato, che evidenzia due sostanziali novità. La prima riguarda l’utilizzo della chiave finanziaria per giustificare la sanatoria, la seconda è che si limita a prorogare i termini del condono alle opere abusive, condonando quelle che risultano ultimate entro il 31 Dicembre 1993[1]. Il limite di 750 metri cubi fissato è, in realtà, facilmente aggirabile, in quanto vale per ogni singola richiesta di concessione edilizia. Bastava dunque presentare più richieste, magari una per appartamento, e si poteva perfettamente evitare la restrizione, condonando interi complessi immobiliari[2].

Veduta di Agrigento

 

3. Anche il terzo condono edilizio scaturisce da un provvedimento con la funzione di “cornice”, destinato alla manovra di sostegno all’economia, sempre sotto il precedente Presidente del Consiglio dei Ministri. In particolare, il Decreto Legge 269 del 30 Settembre 2003, Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici, introduce una nuova scadenza per la sanatoria edilizia. L’art. 32, infatti, lega insieme due concetti contrastanti e ipocriti. Da un lato prevede lo scioglimento dei consigli comunali che non abbiano ottemperato alla redazione dei Piani Regolatori Comunali. Dall’altro, al comma 26, si sposta la possibilità della sanatoria fino al 31 Marzo 2003, ed in particolare si prevede il condono per i cambiamenti di destinazione d’uso avvenuti illegalmente.

Pare dunque che esistano due tipi di sviluppo urbano, quello che rispetta le pianificazione urbanistica e territoriale, l’altro che ne può fare a meno. A tal riguardo, una delle principali carenze che emerge è la disponibilità di informazioni pubbliche aggiornate e dettagliate.[3] Facendo ad ogni modo riferimento ai dati[4], emerge che cinque Regioni italiane (Lazio, Campania, Sicilia, Puglia, Calabria) concentrano circa i due terzi degli abusi, anche se la loro popolazione è circa il 38% del totale nazionale.

Uno dei tanti “ecomostri” che deturpa le coste italiane.

 

Da questi fatti è dunque facilmente comprensibile che nonostante si sia passati dall’Italia del Secondo dopoguerra, bisognosa di ricostruire e caratterizzata da una fortissima domanda sociale, al benessere largamente diffuso degli ultimi decenni, l’abusivismo è ormai parte integrante dell’economia nazionale, fonte inesauribile di arricchimento, difficile da gestire e controllare[5]. Alcune stime non governative valutano in quasi 2 milioni gli alloggi completamente abusivi, tuttavia emerge con chiarezza una mancanza: i dati.

Nel 2008 i tecnici degli uffici del catasto iniziarono un confronto sistematico tra le mappe catastali, quelle che certificano la legittimità degli edifici e le recenti foto satellitari, svolgendo un controllo che si limitava solamente al 25 % dell’intero territorio nazionale. Da questa analisi si è scoperto che mancavano all’appello circa 570 mila edifici. Sarebbe bastato dunque ben poco per far funzionare “la macchina pubblica” in un modo più efficace.

Purtroppo è da evidenziare che il protrarsi della crisi non arresta il propagarsi dell’abusivismo, anzi, lo favorisce. È provato infatti che sempre più aziende, imprenditori e artigiani del settore, pur di lavorare e cercare di superare la prolungata congiuntura economica (aggravata anche dalla mancanza di accesso al credito), accettano, anche a malincuore, di lavorare per opere edilizie abusive. Per questo motivo lo Stato deve impegnarsi ancora più a fondo nel porre fine ad una crisi economica nel settore edile (motore dell’economia italiana), che accresce in modo spaventoso la deturpazione dell’ambiente e del paesaggio al di là di ogni regola urbanistica, aumentando il consumo di suolo agricolo e lo sprawl urbano.

Se consideriamo inoltre che un ettaro di suolo fornisce cibo per 7 persone all’anno, trattiene 3.750.000 litri d’acqua e contiene 250.000 kg di CO2, mentre in un ettaro urbanizzato tutti questi valori passano a zero, la situazione appare più chiara nella sua drammaticità[6]. È allora fondamentale sensibilizzare non solo le istituzioni, ma anche tutti quei privati cittadini che ogni giorno vivono e lavorano trasformando il suolo libero.

Tali considerazioni sono state avvalorate durante il Convegno Nazionale FILLEA, tenutosi Venerdì 22 Marzo 2013, attinente al tema del Consumo di suolo zero. L’aspetto fondamentale di questo incontro consiste nel fatto che un organo sindacale sostiene la necessità di “trasformare” il ruolo di chi opera, investe e lavora nel settore edile, promuovendo il passaggio dalla mera cementazione del territorio verso interventi di recupero e riutilizzo di aree dismesse e riprogettazione di aree già dotate di urbanizzazioni, ai fini di fermare il consumo di suolo. Solo così si potrà verificare il rilancio economico del settore, poiché favorendo lo sprawl urbano e la dispersione insediativa a bassa densità si produce sul lungo periodo un ingente nonché persistente costo al quale le casse comunali devono far fronte.

Abusi edilizi nelle coste siciliane.

 

Tutto ciò richiede dunque un duplice cambiamento culturale. Da un lato è essenziale capire che il governo del territorio e le regole urbanistiche che ne derivano devono essere rispettate, dall’altro deve essere promosso il concetto che chi “lavora con il territorio” può farlo guadagnando e senza consumare il suolo, trasformando e recuperano il patrimonio dismesso, degradato e da mettere in salvaguardia.

Il “perché” di questa così vasta espansione urbana, fuori da logiche di pianificazione, è dunque da ricercare anche nel “peso” che il settore dell’edilizia ha sull’economia del nostro Paese. Nelle costruzioni sono coinvolte circa due milioni di persone[7](senza contare il lavoro in nero), ai quali vanno aggiunti gli addetti alle unità commerciali dedicate, gli artigiani di settore collegati, il comparto del trasporto dedicato alle materie prime, alla produzione di macchine operatrici, i lavoratori dei siti di estrazione delle materie prime, delle industrie di lavorazione degli accessori edilizi, ecc. Insomma, non è possibile fare una stima certa degli addetti in questi campi, poiché si tratta di un tessuto di piccole-medie imprese che producono e commerciano anche per altri settori. Considerando, inoltre, anche i nuclei familiari che dipendono, più o meno direttamente, da un lavoratore impegnato nel settore, si stima che circa 10 milioni di cittadini dipendono dal settore delle costruzioni, ovvero il 18% della popolazione[8]. Gli interventi eventualmente messi in campo dal Governo devono, di conseguenza, tener conto della gigantesca estensione sociale coinvolta, il che porta ad ipotizzare un’azione molto progressiva di riassorbimento e riconversione delle forze produttive oggi impiegate nella trasformazione urbana, per orientarle al recupero, al riuso e alla riqualificazione degli spazi già antropizzati[9].

Indubbiamente, la dimensione dei fenomeni abusivi nei diversi contesti territoriali fa la sua differenza, ma che si tratti di grandi operazioni immobiliari, piuttosto che di iniziative sviluppate dai risparmi modesti di una famiglia media italiana, quello che appare più problematico in Italia, non è l’abuso in sé, bensì la cultura dell’abuso che ha invaso la nostra società. Il problema principale non è tanto il condono in sé, ma l’effetto che esso esercita nel medio-lungo periodo nel consolidamento di una cultura diffusa e pervasiva dell’esenzione da una pena, della vanità della sanzione.

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[1]Il riferimento è all’art. 39 della Legge.

[2]Paolo Mondani, I re di Roma, in Report del 5 Maggio 2008.

[3]Terra rubata, Viaggio nell’Italia che scompare, Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo di suolo, 2012.

[4]Rapporti DICOTER del Ministero dei Lavori pubblici.

[5]Dal 1948 ad oggi sono stati documentati oltre 4.600.000 abusi edilizi, circa 200 al giorno.

[6]Dati di Paolo Pileri, Convegno FILLEA 22 Marzo 2013.

[7]Censimento ISTAT dell’industria.

[8]Terra rubata, Viaggio nell’Italia che scompare, Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo di suolo, 2012.

[9]Per approfondire le tematiche presenti vedi: D. Giancola, Consumo di suolo e fiscalità urbanistica: la necessità di una riforma fiscale per il governo ecologico del territorio, Biblioteca Centrale di Architettura, Politecnico di Torino, Torino.

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