
Qualche mese fa sulle nostre pagine virtuali scrivevamo di un principio di rivoluzione in atto nel mondo del tennis maschile che avrebbe portato i cosiddetti big server, i tennisti dotati di un grande servizio – velocità costantemente sopra i 200-210 km/h ed estrema precisione –, a costruirsi una seconda di servizio (colpo tradizionalmente piazzato) molto simile per potenza alla prima. Scusate, ma ci sbagliavamo. Una rivoluzione nel pianeta tennis c’è e non riguarda il primo colpo ma il secondo, non il servizio ma la risposta (al servizio)[1].
È successo al torneo di Cincinnati, uno dei due Masters 1000 in preparazione agli U.S. Open, vinto da Federer in finale sul numero 1 del mondo, Djokovic. Siamo al tie-break, sul punteggio di 3-1 per il ragazzo di Basilea, che una quindicina di giorni fa ha festeggiato le 34 primavere – un’enormità nel nostro sport con la racchetta. Djokovic è al servizio e non mette la prima. L’atteggiamento in campo di Federer sulla seconda avversaria è qualcosa di incredibile. Per comprenderlo appieno dobbiamo tornare indietro di qualche passo e percorrere una breve contestualizzazione.
Per anni – gli anni del suo dominio incontrastato (2004-2007) e del suo primo, parziale declino (2008-2012) – era stato imputato allo svizzero un atteggiamento eccessivamente passivo e rinunciatario al cospetto dei suoi nuovi avversari di 5-6 e poi 8-9 anni più giovani di lui. Atleti prima ancora che tennisti, costruiti per tenere lo scambio da fondo campo a ritmi che diventavano sempre meno sostenibili per un corpo che, seppur pensato per giocare a tennis, mostrava inevitabilmente i segni di una carriera più che decennale.
Quando nel tennis si parla di aggressività (o del suo contrario, la passività), si parla essenzialmente di spazio. Centimetri e metri che separano un giocatore dalla linea di fondo e dalla metà campo avversaria. L’evoluzione del tennis moderno – che tiene conto di: standardizzazione di velocità e rimbalzo di palla delle superfici, evoluzione degli attrezzi e miglioramento delle capacità atletiche dei primi 100-200 giocatori del mondo – ha posizionato i giocatori a un metro, un metro mezzo di distanza dalla linea di fondo campo.
Il perché si capisce facilmente. Più si sta dietro, più tempo a disposizione si ha per preparare i propri colpi e, visto che la velocità degli scambi è aumentata considerevolmente nel corso degli ultimi due decenni, la strategia ha indubbiamente le proprie ragioni d’esistere.
Ora, ritorniamo a quel termine – aggressività – e precisiamolo. L’aggressività corrisponde a una strategia di gioco verticale, che cerca la presa della rete per chiudere il punto con una volée. Ci sono sostanzialmente due modi per verticalizzare il gioco: con le schema del serve&volley e con i colpi di approccio.
Nel primo caso, a un servizio potente e preciso segue la discesa a rete e l’occupazione dello spazio antistante a essa ed è chiaro che tutto dipende dalla qualità del servizio. Nel secondo caso, invece, non c’è una stretta correlazione tra servizio e presa della rete. Il colpo di approccio può essere sia una cannonata di dritto che un lungolinea di rovescio, o un colpo lento come lo slice (di rovescio) che, rimbalzando poco al contatto con la superficie, non dà modo all’avversario di caricare un passante troppo potente.
A Federer, che dispone di un servizio incredibilmente efficace e della varietà di colpi necessaria per approcciare la rete, è sempre stata chiesta questa aggressività, anche in virtù del fatto che essa è estremamente spettacolare. Finché ha dominato, lo svizzero non ha nemmeno accennato a una variazione del suo tema classico servizio-e-drittovincente.
Quando, nell’estate del 2010, le cose incominciarono ad andare meno bene, la guida tecnica di Annacone – il coach dell’ultimo Sampras – gli ha imposto un avvicinamento alla linea di fondo campo, soprattutto nei turni di risposta, e l’aumento delle risposte in top per togliere tempo e campo all’avversario. La vittoria a Wimbledon, nel luglio 2012, è stata il coronamento di questo percorso, interrottosi nell’annus horribilis 2013, quando Federer, tormentato per tutta la stagione da dolori alla schiena, ha sfiorato l’uscita dalla top 10.
Dalla fine del 2013 Edberg, svedese due volte campione sui prati londinesi e mito dell’infanzia tennistica di Federer, ha assunto la guida tecnica del 17 volte vincitore Slam. Nonostante lo svedese sia stato un illustrissimo alfiere del serve&volley, nessuno si aspettava che la collaborazione tra i due portasse lo svizzero a una riproposizione di un gioco che, bisogna dirlo, oggi sarebbe impraticabile con gente come Djokovic, Murray e Nadal capace di rispondere a un centimetro dalla riga di fondo.
A Wimbledon 2014 e 2015 Federer ha raggiunto e perso la finale da Djokovic sciorinando un gioco offensivo che, pur concedendo il giusto spazio allo spettacolo, si è dimostrato un giusto mezzo tra il verticalismo edbergheriano e la coscienza di appartenere a una generazione tennistica che non può pensare di proporre gli schemi degli anni Novanta a ogni punto.
La sconfitta dello scorso luglio è sembrata mettere la parola “fine” alle ambizioni slam dello svizzero. Se Federer, giocando il miglior tennis da erba della carriera (e per uno che ha vinto 7 Wimbledon è un’affermazione pesante), non è riuscito a sconfiggere Djokovic ora, non lo farà mai più perché il tempo scorre anche per lui.
Cosa mai potrà inventarsi ancora, per rendere le cose più difficili a un tennista completo e apparentemente inscalfibile come il serbo? Come potrà sparigliare le carte per salire sul tetto del mondo ancora una volta? Facile dirlo, con l’aggressività.
Ed ecco che torniamo all’inizio del nostro discorso e a questa ipotesi di rivoluzione di cui Federer sembra essere protagonista. L’aggressività di cui sembra portatore il nostro svizzero riguarda, ça va sans dire, la presa della rete, ma è decisamente anticonvenzionale perché non riguarda il modo di servire, ma di rispondere. E, se l’aggressività è un concetto spaziale, qui non si parla di centimetri ma di metri.
Con la risposta che Federer ha tirato fuori contro Djokovic nel tie-break del primo set (e attenzione: l’ha riproposta nel secondo set), lo svizzero ha, come dire, cambiato sport. Intendo letteralmente. Nessuno ha mai tentato di fare seriamente ciò che ieri abbiamo visto fare a Federer. Quel colpo appartiene al mondo del ping-pong o, per chi ha frequentato i campi da tennis, a quello del pittino.
Una risposta in controbalzo a un servizio che scorre ai 150 km/h è impossibile. Non esiste. O meglio, non esisteva fino all’inizio di questa settimana, quando Federer l’ha esibita per la prima volta contro lo spagnolo Batista-Agut nel suo incontro di secondo turno. Il fatto che abbia replicato l’esperimento per tutta la settimana – e con avversari che servivano sempre meglio – significa che tutta la faccenda era stata pensata e provata già in allenamento.
Dal punto di vista tattico, un colpo del genere sortisce un triplice effetto: sorprende l’avversario, lo costringe a un passante molto difficile perché la palla ritorna nel suo campo molto velocemente e senza disporre di una grande spinta, cosa che impedisce a chi ha servito di prepararsi per il colpo successivo – meno una palla rimbalza, meno tempo c’è per colpirla; più velocemente una palla torna nel mio campo, meno tempo ho per prepararmi alla preparazione.
Sommate i due effetti e capirete quanto tempo abbia un tennista che, in uscita dal servizio, si veda recapitare una risposta di quel tipo. Senza contare che, oltre all’effetto sorpresa e alla complessità del colpo da eseguire, chi deve eseguire il passante lo deve fare con Federer già perfettamente piazzato a rete e pronto a volleare qualsiasi cosa gli passi a tiro. Della serie: o fai il passante della vita o il punto l’hai perso.
Il terzo vantaggio, che sa di metatennis, è un brutale accorciamento degli spazi di gioco. Se un campo da tennis è lungo 23,76 m, la metà corrisponde a 11,88 m. Coprire quasi dodici metri di campo con una racchetta in mano e dopo aver colpito una pallina che corre a 150-200 km/h in qualche secondo può non essere la cosa più semplice di questo mondo. Ma se il campo si accorcia ai 6,4 m del quadrante di servizio le cose cambiano, eccome se cambiano – tra l’altro, la risposta avviene in avanzamento perché Federer non risponde da fermo e quindi la compressione spazio-temporale è ulteriormente accentuata.
La risposta in controbalzo è chiaramente di una complessità inaudita e non so quanta vita abbia di fronte a sé. È come se qualcuno colpisse la pallina con il manico anziché con il piatto corde in virtù di una maggiore velocità. Probabilmente ai prossimi U.S. Open Federer la riproporrà, di tanto in tanto, ma probabilmente ci vorrà del tempo prima che qualche altro giocatore azzardi una mossa simile.
Di certo, e si tratta di un fatto esteticamente apprezzabile, solo chi possiede un rovescio monomane potrà tentare il colpo perché la preparazione del rovescio bimane mal si adegua con i tempi ristretti di una risposta eseguita subito dopo il rimbalzo.
Le contromosse, nel caso, sono prevedibili. A meno di un cambio di regolamento improvviso, i tennisti dovranno innalzare il livello della loro seconda di servizio. Ma questo discorso non cambia molto lo stato delle cose perché la rivoluzione è già partita.
Federer ha ufficialmente inaugurato l’era in cui lo spazio-tempo tennistico si riduce all’osso e messo in scacco i grandi servitori e i fondocampisti con una tattica di gioco ultraoffensiva e spregiudicata. Chi lo seguirà?
@twitTagli
[1] Non è proprio vero che ci sbagliavamo: i dati statistici a cui facevamo riferimento rimangono veri e pertanto l’ipotesi di un doppio primo servizio rimane confermata.