Percorsi biografico-musicali: I come… Iron Maiden

iron-maiden.jpg

Anche chi mi conosce solo superficialmente poteva indovinare quale sarebbe stata la I in questo percorso che ho intrapreso. Ricordo peraltro che, chi mi ha seguito fin dall’inizio, ha subito rimarcato che sapeva già cosa aspettarsi giunti alla nona puntata. La band in questione a un certo punto è entrata nella mia vita e non ne è uscita più, mi ha ispirato e tutt’ora mi ispira. Inoltre ne posseggo l’intera discografia. Insomma, il mio gruppo preferito se non si fosse capito. 
Dunque, se volete sarò banale, ma questa è la contrainte di questo percorso: gruppi che facciano parte della mia collezione di dischi e che abbiano avuto una pregnanza non solo nella mia biografia ma anche nella mia formazione musicale. Quindi voliamo dagli U.S.A. di Hendrix nella vecchia Inghilterra di inizio anni ’80, precisamente nell’East End, periferia di Londra. Emerge in questo periodo un fenomeno musicale nuovo, noto come New Wave Of British Heavy Metal (NWOBHM) ma oramai identificato da tutti semplicemente come heavy metal. Il gruppo di oggi ne è tra i capostipiti indiscussi.

I come… IRON MAIDEN

Vi consiglio: Iron Maiden, Killers
Tracklist: The Ides of March / Wrathchild / Murders in the Rue Morgue / Another Life / Gengis Kahn / Innocent Exile / Killers / Prodigal Son / Purgatory / Twilight Zone / Drifter
Etichetta: EMI Records
Anno: 1981 (digitally remastered, 1998)

======================

Voglio raccontarvi una storia. È una storia d’amore. In ogni biografia che si rispetti c’è una storia d’amore. Questa è simile a molte altre, in particolare in alcune caratteristiche: nasce da un colpo di fulmine, comincia piano piano, a passetti cresce e si fa più intensa, rapidamente diviene pervasiva e totalizzate, conosce il suo climax di passione, la sua successiva maturazione e il suo ponderarsi.
A tratti si attenua, sembra sia sul punto di essere superata. Diverse altre papabili partner si fanno avanti, fanno la loro breccia nel cuore del sottoscritto. Ma, pur proseguendo a riconoscere e ad apprezzare la bellezza altrove, c’è sempre il ritorno all’unica cosa che valga davvero la pena di essere amata e che non ha senso sacrificare per altre forme di bellezza.

La relazione non sempre è piana, specialmente negli ultimi tempi conosce i suoi attriti e le sue difficoltà. Eppure, in memoria di tutto il bello che è stato e che ancora c’è, si superano tutte le avversità e si va avanti. E magari si finisce anche con l’apprezzare, seppur con riserva, anche quelle novità non troppo intriganti emerse nel partner negli ultimi tempi.
È una storia fatta di prime volte, di emozioni, di lacrime, di estasi, di sudore, di notti di fuoco e giornate di passione dilagante. È una di quelle storie che, forte di questo cemento, è destinata a durare fino alla fine. Fino alla morte.

Ma state tranquilli, non ve la racconterò tutta. Anche perché non ho ancora finito di farci i conti e ci vorrà tempo. Diciamo dunque che mi soffermerò su un episodio in particolare, forse il più bello anche se non definitivo. Perché nel mio tipo ideale di storia d’amore non esistono episodi definitivi: la storia stessa è definitiva.
Questa è la storia d’amore tra me e la “vergine di ferro”, vale a dire gli Iron Maiden.

iron-maiden-history-

Come detto, comincia tutto da un colpo di fulmine. Non sono in grado di collocare precisamente quando avvenne, ma direi che verosimilmente dev’essere scoccato tra il finire delle scuole medie e l’inizio del liceo.
Nasce per caso e in un modo che rassomiglia al racconto di uno stilnovista. Al giro per le bancarelle del mercato di San Lorenzo, questo lo ricordo distintamente, mi cadde per la prima volta l’occhio su una maglietta su cui campeggiava Eddie, l’oramai celebre mascotte dei Maiden.
Fu amore a prima vista. Non so cosa si scatenò in me in quel momento, quale nascosta corda primordiale o quale tetra fantasia quell’immagine andò a stuzzicare. [1] 

Fatto sta che mi piacque fin dal principio, anche se non avevo ancora la benché minima idea di ciò che ci stava dietro. Ci vollero anni perché lo scoprissi. Anni in cui, ogni volta che mi capitava a tiro quell’immagine, sentivo qualcosa smuoversi dentro. Insomma, doveva ancora cominciare tutto ma la scintilla era già scoccata. 
Funzionò un po’ come funzionano questi colpi di fulmine: visti un paio di volte, reciprochi sguardi, intesa, ma nessuno sviluppo. Poi, a distanza di tempo, ci si rincontra e tutto scatta spontaneamente, con l’immediatezza derivata da quella lunga attesa.

Così possiamo catapultarci (con una maggiore dose di certezza cronologica) verso i miei 15 anni quando, seguendo alterne e non del tutto chiare vicende, iniziavo a veleggiare nei mari ancora per me inesplorati del metal. [2] 
Nella febbrile ricerca di input, di ascolti, di materiale commestibile per il mio udito e per tutti gli altri sensi ad esso connessi, mi ritrovavo spesso e volentieri al giro per negozi di dischi. [3] Ce n’erano tanti specializzati in musica metal, ma quel giorno feci un giro in uno di quelli più generici, senza un particolare settore musicale di specializzazione.
Si tratta di un negozio oramai scomparso che si trovava in via Martelli, il cui fondo è ora occupato da un centro TIM.

The+Best+of+the+Beast+coverIl negozio in questione aveva un banco ben nutrito al settore rock/metal e, in quel maledettamente felice pomeriggio in cui avevo una paghetta da spendere, mi capitò tra le mani la raccolta degli Iron Maiden Best of the Beast. Riconobbi immediatamente la grafica e l’artwork con le diverse forme di Eddie mi catturò all’istante: doveva essere mio. Voglio sottolineare che fu un acquisto a pacco chiuso, io non avevo mai sentito un pezzo dei Maiden, nessuno me li aveva mai consigliati, nessuno me ne aveva mai parlato anche perché non avevo amici con questa passione.

Ma il disco e quelle immagini che mi avevano stregato anni prima stavano nella sezione rock/metal, e tanto bastava. Con un’impazienza e un’avidità che a questo punto forse potete immaginare (ma temo mai abbastanza) arrivai a casa e mi fiondai all’impianto stereo di camera mia.
Ah, la mia prima volta! Fu come una fiumana in piena da cui mi lasciai amorevolmente travolgere a partire da The Number of the Beast fino a Hallowed Be Thy Name, rispettivamente prima e ultima traccia della raccolta in questione.

Mi pare che quel giorno mi arrestai sui tre ascolti consecutivi, non male come esordio. Soprattutto considerando che il disco superava abbondantemente l’ora.
La storia aveva preso l’abbrivio, piano piano cominciava a crescere, e si nutriva (come capita spesso) di impressioni sparse e non ancora omogenee tra loro, alimentata soprattutto dalla voglia di stare insieme e di conoscersi meglio.


E fu così che andò. Dovetti aspettare poco, giusto qualche mese, affinché si rinfocolasse tutto con un regalo del tutto inaspettato. Ero a casa di un mio amico a passare un pomeriggio quando mi caddero gli occhi su un’immagine nota. Sì, era proprio lui, era il primo Eddie che vidi campeggiare su una maglietta degli Iron Maiden, e stava sulla copertina del secondo album della band ossia Killers.
Iron_Maiden_KillersImmediatamente chiesi al mio amico se me l’avrebbe potuto prestare, lui invece me lo regalò perché non gli era piaciuto granché ed era certo che io invece l’avrei apprezzato senza dubbio di più. Ebbe ragione da vendere, non lo ringrazierò mai abbastanza. 

Consumai letteralmente quel disco che mi appassionò e mi conquistò ancor di più della raccolta. Aveva in sé un’unicità primordiale e pionieristica che il best of non riusciva restituire: l’heavy metal come lo conosciamo ancora non esisteva nel 1981, era un linguaggio e uno stile musicale che si stava strutturando servendosi dell’apporto di tanti gruppi disparati. Gli Iron Maiden sono allora giustamente emersi tra i migliori interpreti perché hanno in effetti creato una formula tra le più intriganti e azzeccate di sempre.
L’album Killers ne è un’ottima esemplificazione poiché vi si possono riconoscere l’attitudine rock classica che viene svecchiata attraverso la furia grezza e diretta mutuata dalla scena punk, utilizzando dinamiche e arrangiamenti semplici e accattivanti. Il sound è pesante e incisivo, ma flessibile e modulabile. 

L’ossatura è sorretta da una sessione ritmica estremamente versatile dove primeggia lo stile allora all’avanguardia del bassista e fondatore Steve Harris, apprezzabile particolarmente per il suo uso delle terzine e per le sue cavalcate. Altro marchio di fabbrica degli Iron Maiden erano gli arrangiamenti di chitarra che, sfruttando un sapiente bilanciamento degli effetti distorti, erano in grado di ottenere armonizzazioni e melodicismi di tipo nuovo senza sacrificare con questo il loro sound violento e urlante. Infine la timbrica rude e calda di Paul Di Anno, frontman col piglio vocale giusto e dalla giusta dose di attitudine istrionica.
Una formula imbattibile che trova nel secondo disco la consacrazione della propria maturazione stilistica.

La maestosa marcia iniziale di The Ides of March ha un elevato effetto suggestionante, sa essere epica eppure breve e concisa, senza esagerare in inutili barocchismi. Irrompe a ruota poi il giro di basso sanguigno di Wrathchild che ci proietta in quello che è a tutti gli effetti un vero e proprio manifesto della scena heavy metal: figli del furore, i Maiden iniziano inconsapevolmente qui a dettare i canoni di un genere, fanno a modo loro scuola.

Paul Di Anno e Steve Harris in una foto del 1980La stessa title-track, con i suoi continui cambi di atmosfera e le sue progressioni ritmiche, è qualcosa di straordinario se consideriamo che non esistevano ancora i parametri stilistici del metal: il tetro e inquietante riffing del basso, il violento irrompere delle chitarre e i passaggi dinamici della batteria sono da seguire passo passo, specialmente durante il bridge che dal secondo ritornello conduce verso l’esaltante assolo di chitarra; la voce di Di Anno, che declama e interpreta la cruenza della mente e dell’atto omicida, è un picchio inarrivabile di performance esecutiva.

Una delle sintesi più riuscite tra rapacità punk e svecchiamento del sound rock in direzione di quello che poi sarebbe stato chiamato heavy metal si ha poi in Purgatory, con la sua linea ritmica velocissima a sostenere le ennesime mirabolanti dinamiche del basso di Harris su cui le chitarre possono divertirsi a svariare tra assalto sonoro e melodie.

Va poi menzionato Another Life, pezzo che passa quasi in secondo piano ma che ha in realtà un elevatissimo potenziale: introdotto da un passaggio di batteria semplice quanto diretto, il brano è un vero e proprio tripudio di chitarre che conosce una folle quanto trascinante sfuriata durante il bridge dove emerge, ancora una volta, un gran arrangiamento di basso.

Ma l’intero disco è una perla, non conosce un calo di tono, non ha un pezzo storto: l’incalzante Murders in the Rue Morgue [4] ad esempio, oppure la ritmata Innocent Exile che rivela passaggi e soluzioni ancora prossime all’hard rock, o ancora il primo singolo estratto dall’album, Twilight Zone, [5] dall’andamento accattivante e quasi orecchiabile.
Senza dimenticare la ballad suadente di Prodigal Son col suo toccante assolo, l’altro piccolo episodio di epica strumentale di Gengis Kahn, e la furia dilagante della conclusiva Drifter.

Gli Iron Maiden hanno segnato la mia adolescenza, hanno dato voce a sentimenti ed emozioni latenti che un ragazzo troppo introverso per affrontare il mondo non sapeva come esprimere. Non conto più l’adrenalina, i brividi, la forza e la fantasia che hanno saputo e sanno ancora suscitarmi. La loro musica è stata un vero e proprio evento nella mia vita, e Killers rappresenta il vero inizio di questa storia bellissima. La mia prima t-shirt della “vergine di ferro” fu proprio quella, la stessa che vidi quella prima volta a San Lorenzo.
Mi piace pensare che non sia stata una mera coincidenza, tant’è vero che nonostante lo sbiadimento dovuto agli anni l’ho voluta conservare.

Ora, potrei andare avanti per pagine e pagine a raccontarvi l’estate degli special prize sulla discografia degli Iron Maiden, in cui dilapidai un patrimonio in dischi. Oppure delle lacrime che ho versato a fiumi all’Heineken Jammin’ Festival del 2003 (il primo concerto dei Maiden cui assistetti) e della lunga sequela di live in cui li ho seguiti. O ancora delle giornate salvate da un pezzo random del loro repertorio, e di intense e quasi fraterne amicizie nate in quel periodo intorno a quella famosa maglietta e alla loro musica. Ma non lo farò.

Mi limito a dire che se è vero che il primo amore (nel mio caso i Beatles) non si scorda mai, è anche vero che il vero amore una volta nato non sfiorisce. E ad oggi per me è ancora così, da quel lontano 2002, e dubito che altri gruppi riusciranno mai a sostituirmi i Maiden.

«..my heart is lying there and will be ‘till my dying day».

doc. NEMO
@twitTagli


[1] Molto probabilmente qualcosa di profondamente “sbagliato”. Da sempre questo gusto per l’immaginario evocato dai gruppi metal si attira addosso tutte le critiche possibili, lo sa bene chiunque si sia approcciato a questa musica aderendo anche allo stile. Per una vita intera, e capita infatti ancora oggi, c’è sempre stato qualcuno che doveva farti sentire fuori dalla norma, fuori dai canoni, sbagliato. Con tutte le conseguenze negative che ciò comportava. Il tutto molto spesso solo per i tuoi gusti estetici e musicali, non per ciò che effettivamente facevi.

 

[2] Troppo lungo dilungarsi sul come e il perché, specialmente se considerate che la mia passione nei primi anni del liceo era l’hip hop di Eminem. Ma non è qui che possiamo ricostruire questo erratico itinerario, altre lettere ci aiuteranno.

 

[3] Lo so, non ne potete più, però ribadisco il concetto: niente youtube, niente myspace, internet agli albori e pochi illuminati capaci di masterizzare e/o di scaricare musica. Io sono maturato musicalmente in questo contesto, un contesto in cui la tua unica fonte affidabile era la parola del negoziante al negozio di dischi e (al massimo) il passa-parola con gli amici.

 

[4] Ispirata al celebre racconto di Edgar Allan Poe. Numerosi sono nel repertorio degli Iron Maiden i pezzi che traggono ispirazioni da romanzi o da classici della letteratura. Confesso di dover anche questo al quintetto londinese: avermi riportato alla passione per la letteratura.

 

[5] Paradossalmente il primo singolo estratto da Killers non compariva nella prima stampa inglese dell’LP, ma fu lanciato a circa un mese dall’uscita del disco e quindi inserito nella versione per il mercato statunitense. Nella ristampa del 1998 il pezzo comparve anche nella tracklist della versione europea.

Post Correlati